POSITIVISMO

Agli inizi dell’800 si viene sviluppando in tutta Europa un nuovo moto di pensiero il Positivismo, che pone alla base di ogni indagine l’esperienza, l’osservazione, lo studio dei fatti.

Già tra il 1600 e il 1700 il termine positivo aveva assunto il significato di preciso, certo, reale, utile: tali accezioni ritroviamo nella parola Positivismo.

Esso, alimentato dalla tecnicizzazione del lavoro, dalle nuove scoperte scientifiche e dall’industrializzazione, assegna alla scienza e alla filosofia il compito di ricostruire su basi nuove e scientifiche la società, l’economia, la cultura.

Si assiste, perciò, ad una rivalutazione della ragione umana e alla conseguente estromissione di tutto ciò che era metafisico e romantico (concetti che, secondo i positivisti, avevano soffocato la stessa ragione).

In campo politico l’ascesa della borghesia con la sua ottimistica fiducia nel progresso e l’affermarsi della scienza trasmettono all’uomo la convinzione di poter modificare la natura a proprio vantaggio e di riuscire a dominarla.

 Si diffonde, perciò, una mentalità laica, l’esaltazione di valori civili e l’accettazione delle tesi delle rivoluzioni borghesi e democratiche.

Il termine positivismo designa, quindi, in un’accezione ampia, tutte quelle concezioni del 1800 che sono accumunate da un rapporto “positivo” nei confronti della scienza.

Quindi più che una dottina e una corrente filosofica fu un’atmosfera, una cultura, un costume.

Benedetto Croce affermò che nell’età del Positivismo “i gabinetti di chimica, fisica, fisiologia erano diventati antri di Sibille” dove risuonavano in modo fiducioso gli interrogativi sulle più alte problematiche dell’umanità.

Certamente ci fu, rispetto al pregresso, un radicale capovolgimento nel valutare le scienze e il loro rapporto rispetto alla filosofia e alla vita in generale.

Il termine si fa risalire al medico francese Burdin, che con tale parola indicò il grado raggiunto dalle scienze che si erano basate su adeguati esperimenti.

Il teorico del Positivismo fu il filosofo francese Auguste Comte (1798-1857).

Egli dichiarò che l’unica conoscenza era quella basata su criteri scientifici, cioè analizzando il rapporto di causa-effetto di tutti i fenomeni.

La scienza era la vera religione, poiché poteva liberare gli uomini dai mali.

E in effetti in questo periodo scienza e tecnica raggiunsero alti traguardi.

In Fisica: onde elettromagnetiche – raggi X – radioattività dell’uranio.

In Biologia: leggi dell’ereditarietà (Darwin) – bacillo della tubercolosi.

In Chimica: Concimi artificiali – coloranti – profumi- esplosivi

In Tecnica: Dinamo – turbina idraulica – sviluppo delle ferrovie e delle comunicazioni.

In campo letterario il medico francese Claude Bernard affermò nella sua opera “Introduzione allo studio della medicina sperimentale” che la medicina doveva basarsi sulla formulazione di ipotesi che dovevano essere sperimentate per poi ricavarne delle leggi.

Uno dei più notevoli contributi alle teorie Positivistiche fu dato dalle opere di   Charles Darwin L’origine della specie” (1859) e “L’origine dell’uomo” (1871).

L’autore sosteneva la teoria della selezione naturale che è determinata da fattori importanti come la lotta per l’esistenza, la capacità di adattamento, i fattori ereditari per cui in natura i più forti prevalgono, i più deboli soccombono.

Si tratta di un’idea secondo la quale le specie viventi sulla terra non sono sempre state identiche a sé stesse ma sono cambiate nel corso dei tempi. La teoria della selezione naturale coinvolge non solo piante ed animali ma lo stesso uomo.

Auguste Comte fornì le basi del Positivismo con “Il Corso di filosofia positiva”

 (1830 – 42). Egli affermò che, proprio perché positiva, questa filosofia non avrebbe avuto nulla a che fare con la ricerca delle cause sia naturali che soprannaturali.

Egli, sulla scia di Gian Battista Vico, paragonò lo sviluppo del genere umano a quello del singolo individuo: nell’infanzia del genere umano è presente un ordinamento a carattere monarchico – militare con prevalenza della casta dei sacerdoti; nella giovinezza compaiono lo stato metafisico e ordinamenti basati sul principio della sovranità popolare, con prevalenza dei giuristi; nella maturità odierna, cioè lo stadio positivo, campeggia il mondo dell’industria.

Secondo Comte oltre all’umanità tutte le scienze percorrono qtueste tre fasi.

Egli vuole applicare il metodo sperimentale proprio delle scienze naturali a tutte le scienze umane, ivi compresa la sociologia. Il presupposto è che uomini e cose ubbidiscono alle stesse leggi necessarie, senza alcun margine di scelta per gli uomini.

Il Positivismo ebbe quindi una visione utilitaristica dell’intelligenza che si faceva valere in tutti i campi: scientifici, estetici, morali, politici.

Si cercò un liberalismo individualistico teso alla ricerca della felicità individuale che doveva coincidere con la felicità del bene comune (ma il libero e corretto uso delle energie individuali doveva essere garantito in maniera adeguata).

Compito dello Stato era: evitare soprusi reciproci, garantire le minoranze; per far ciò era necessario un sistema elettorale che consentisse la libera espressione a tutti gli individui.

L’interesse nuovo per tutti gli aspetti sociali della vita umana favorì l’affermarsi di una scienza nuova: la sociologia che comportava l’esigenza di studiare la vita associata dell’uomo come qualcosa di “naturale”, cioè un campo dotato di leggi proprie al di là di qualsiasi intenzione degli individui partecipanti all’organismo sociale.  

  Dalla metà del secolo il Positivismo si diffuse in tutta Europa.

In campo scientifico nasce lo scienziato che dà un fine utilitaristico al proprio lavoro per migliorare la vita; perciò le indistrie prestano attenzione al suo lavoro.

Va evidenziato il lavoro di Thomas Alva Edison (1847- 1931). Nel suo laboratorio

 nacquero il telegrafo, il ciclostile, la carta paraffinata, la lampadina a filamento, il fonografo, il microfono, la raffinazione della gomma, l’effetto termoionico.

In letteratura tali teorie influenzarono il Naturalismo in Francia e il Verismo in Italia: lo scrittore prende come modelli i metodi usati in campo scientifico e li applica nella sua opera d’arte.

Lo scrittore naturalista considera il romanzo il modo più adatto per dare una rappresentazione veritiera della società in cui vive.

L’arte dev’essere perciò impersonale senza filtri o adattamenti in base a sentimenti o ideologie personali.

Il Naturalismo che nasce in Francia, ha come caratteristica principale la convinzione che sia venuto il momento di descrivere anche gli aspetti poco piacevoli della realtà, gli strati sociali da sempre esclusi ed emarginati.

 Tale caratteristica è individuata dai fratelli Goncourt nella Prefazione a “Le due vite” di Germinia Lacerteux.

La pubblicazione del romanzo costituì per le abitudini letterarie del pubblico medio parigino del 1864 uno scandalo.

Germinia, infatti era di umile condizione sociale. La sua vicenda era scabrosa perché Germinia era lo pseudonimo di una donna realmente vissuta (una cameriera dei fratelli che faceva la prostituta).

Con questo romanzo i due scrittori ritennero giunto il momento di dare diritto di esistenza artistica anche al reale, al peccato, al vizio non solo come necessario contrappunto al bene e alla virtù, ma come entità dotate di una vita e pensiero di una dignità proprie.

Il romanzo suscitò violente reazioni anche perché metteva in scena una storia avente per ambientazione gli strati più bassi della popolazione.

La prefazione, perciò, fu scritta per rivendicare come scelta giusta e necessaria, quella che era stata vista dalla società parigina come volontà di scandalizzare: i Goncourt dimostrarono di avere lucida coscienza delle caratteristiche nuove che la letteratura doveva avere nella moderna società di massa, senza alcuna ipocrisia di fronte si drammatici problemi sociali e morali posti dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione.

I Naturalisti, quindi, elaborano una poetica secondo cui l’arte non ha affatto lo scopo di essere bella, ma di essere vera.

Il compito dello scrittore è quello di esprimere la bruttezza non di mascherarla.

Non è compito dell’artista essere un moralista in quanto il compito dell’arte consiste nel raccontare le cose in maniera oggettiva senza lasciar trapelare nessun giudizio sugli eventi narrati.

L’obiettivo dello scrittore naturalista dev’essere la “impersonalità” eliminando ogni residuo di commento, di partecipazione.

Si tratta di usare una lingua il più possibile vicina a quella parlata dalla gente e di partire da fatti effettivamente accaduti.

 Impersonalità, gergo, documento umano sono i canoni cui si dovrà attenere l’artista.

Siamo nella Francia intorno agli anni 1850-80, c’è boom economico e forti tensioni sociali (come dimostrano la Grande esposizione universale di Parigi, destinata a mettere in mostra i prodigi della nuova tecnica e la rivoluzione del 1870-71, la Comune di Parigi che per qualche mese vide tradursi in realtà il sogno marxista di uno stato gestito dai proletari in senso egualitario).

Il rappresentante più famoso del Naturalismo francese fu Emile Zola.

 Egli nel saggio “Il romanzo sperimentale” del 1880 affermò che bisognava applicare al romanzo gli stessi criteri della scienza partendo dall’analisi della realtà materiale e sociale dell’uomo che soggiace alle leggi fisiche e chimiche ed è influenzato dall’ambiente in cui vive.

 Il romanzo infatti doveva essere realizzato cominciando dall’analisi della realtà materiale, umana e sociale ovvero dell’uomo “sottomesso alle leggi fisico -chimiche e determinato dalle influenze dell’ambiente”

 Il romanzo diventava così un documento umano in cui lo scrittore indagava          scientificamente le leggi che regolano i pensieri, i sentimenti, le azioni.

 Le vicende spirituali non erano altro che un “dato di natura”.

 Zolà   affermò che il compito di tale genere doveva essere quello di presentare uno spaccato di vita, une trance de vie, cioè strumento di laboratorio per condurre una precisa analisi sociologica.

Nel ciclo dei Rougon-Macquart (1870-93) introduce il determinismo biologico.

 Era convinto che gli uomini, anche se immersi nella bruttura e nella turpitudine, sono esenti da colpe: tutto ciò che fanno o sentono avviene a causa di meccanismi: tare ereditarie, alcool, follia, miseria, situazione ambientale o psicologica che ne condizionano l’agire.

Su queste tesi poggiano anche i due romanzi: l’Assommoir e Teresa Raquin.

Portando alle estreme conseguenze questa logica, Emile Zola dichiarò: “Il romanziere è insieme un osservatore e uno sperimentatore. L’osservatore pone i fatti quali li ha osservati, lo sperimentatore fa muovere i personaggi in una storia particolare”.

Il raccontare, quindi, equivale pienamente allo sperimentare; il racconto è come il laboratorio, i personaggi costituiscono i fenomeni.

I positivisti che influenzarono Zola furono: il medico Claude Bernard la cui Introduction à l’étude de la médecine experimentale (1865) sarà il testo base per “Il romanzo sperimentale”.

Zola conobbe di persona anche Hippolyte Taine, un intellettuale che si occupava di letteratura, storia, filosofia.

Taine sostenne che bisognava tener conto di tre fattori che condizionano la vita umana: la race (ereditarietà), le milieu (la società), le moment (il periodo storico)

Riteneva che“il vizio e la virtù sono prodotti come il vetriolo e lo zucchero”.

Taine nel “Saggio sulle favole di La Fontaine” affermò: “Si può considerare l’uomo come un animale di specie superiore che produce filosofie e poemi press’a poco come i bachi da seta fanno i loro bozzoli e le api i loro alveari”

Questa fermazione si adatta bene a spiegare la poetica naturalistica.

La narrativa inglese del periodo ebbe caratteristiche diverse in quanto gli scrittori preferirono esaltare gli ideali umanitari e la vita degli umili e dei diseredati.

 In particolare ciò viene evidenziato da Charles Dickens (1812- 1870) che nel suo “David Copperfield” (1849-50) narra le disavventure del protagonista vittima di ingiustizie e soprusi caratteristici della società del suo tempo.

 In “Oliver Twist” (1838), narrando la storia di un trovatello che suo malgrado cade nelle mani di ladri e sfruttatori, parla delle sofferenze degli umili e dei poveri.

In Italia il maggior teorico del Verismo fu Luigi Capuana che con “Studi sulla letteratura italiana” propose una visione moderata della tesi straniera.