ERNEST MILLER HEMINGWAY

Nasce il 21 luglio del 1898 a Oak Park, vicino Chicago, in Illinois, da un’agiata famiglia; è il secondogenito tra 4 sorelle e un fratello, Leicester che diventerà il suo biografo.

Dal padre medico viene iniziato ai rituali della caccia e della pesca nel paesaggio dell’alto Michigan, durante le vacanze trascorse tra il 1900 e il 1913.

Seguendo il padre nelle visite ai pazienti delle riserve indiane ha la prima visione di cosa sia il dolore e la morte.

 Dopo gli studi a Oak Park, rinuncia all’Università e sceglie la scuola di giornalismo attivo come cronista allo Star di Kansas City.

 Hemingway si arruola nel 1917 alla vigilia dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, ma viene escluso dai reparti combattenti per un difetto alla vista.

Nella Croce Rossa è destinato ai servizi di autoambulanza; poi riesce a farsi mandare in prima linea sul Piave; di sua iniziativa si reca spesso in bicicletta presso le trincee per portare generi di conforto ai combattenti.

Ferito gravemente durante un bombardamento, trascorre alcuni mesi all’ospedale militare di Milano e viene proposto per la medaglia d’argento al valore.

Si innamora, ricambiato, dell’infermiera Agnes Hannah von Kurowsky, che però non mantiene la promessa di sposarlo; rientrato in America ha una grandissima crisi di sconforto.

Terminata la guerra, intraprende l’attività di giornalista, e sposa la pianista Hadley Richardson, che ha 8 anni più di lui.

 Si reca in diverse città europee dalle quali è particolarmente affascinato, avendo come base Parigi dove conosce scrittori e artisti europei e americani (Gertrude Stein, Pound, Fitzgerald e gli altri interpreti della generazione definita” perduta” da Stein).

Nel 1923, il 10 ottobre, in Canada gli nasce il figlio John Hadley Nicador.

Nel 1924 scrive Nel nostro tempo, raccolta di racconti brevi in cui traccia la figura del giovane eroe uscito dalla guerra (Nick Adams) che comparirà anche nella narrativa più tarda.

Nel 1926 scrive Torrenti di primavera, parodia di Riso nero di Sherwood Anderson.

La pubblicazione di Fiesta narra la storia d’amore tra Jake, che a causa di una ferita di guerra diventa impotente, e Brett, una fanciulla pronta a tutte le avventure del vivere.

Questa storia di sradicati e disadattati d’alto bordo gli vale la considerazione che il romanzo faccia parte della cosiddetta “Generazione perduta”

Nel 1927, il 10 maggio, sposa con matrimonio cattolico Pauline Pfeiffer (che da tempo si era intromessa tra lui e la moglie), a Parigi, nella chiesa di Passy.

1929 a Kansas City con taglio cesareo, dopo un travaglio di 18 ore, Pauline partorisce Patrik.

Nel 1929 pubblica Addio alle armi.

Nel 1931 incontra Jane Mason, una bellissima donna, moglie di un funzionario della Pan American; con lei intreccia una relazione che finirà con un tentativo di suicidio da parte della donna.

Il 12 novembre Pauline dà alla luce, con parto cesareo, Gregory Hancok.

Scrive un saggio sulla tauromachia come arte del rischio, Morte nel pomeriggio, e storie di caccia Verdi colline d’Africa: in queste opere entra come personaggio, accreditando la leggenda dello scrittore come “eroe”

Nel 1936 conosce Martha Gelhorn: per lei chiederà il divorzio a Pauline.

Nel 1937 scrive Avere e non avere, un romanzo breve a sfondo sociale basato sul tema del crimine nella società capitalistica.

Nel 1938 appaiono i 49 racconti, esemplari di oggettività e di tersa economia; portano il segno di una fantasia sempre intimamente rinnovata, formando il riflesso di quell’inquietudine che lo ha sempre accompagnato nel suo girovagare da una parte all’altra del mondo.

Nel 1940, dopo 4 anni di convivenza, sposa Martha con matrimonio civile e pubblica Per chi suona la campana, come derivazione della sua partecipazione alla guerra civile spagnola.

Mentre in Spagna infuria la guerra civile (1936-39), Robert Jordan, un giovane professore americano, si arruola volontario nell’esercito repubblicano. Egli ha ricevuto dal generale alleato Gloz l’incarico di far saltare un ponte collocato su un territorio nemico. Per far ciò, ha bisogno dell’aiuto dei ribelli antifranchisti che si nascondono nelle colline iberiche. Grazie alla vecchia guida Anselmo, raggiunge l’accampamento di Pablo, capo della banda. Dopo il crollo di Pablo, comandante del gruppo diventa Pilar, una coraggiosa contadina. Pablo non vuole lasciarsi convincere dall’americano e cerca di ostacolarlo nel concretizzare l’operazione. Ma Jordan ottiene la benevolenza della compagna di Pablo, la zingara Pilar, che convince anche gli altri che l’operazione è necessaria. All’accampamento Jordan conosce la diciannovenne Maria che ha i capelli rasati ed è reduce dalle torture dei falangisti; la giovane è stata. salvata da Pilar. Jordan si innamora di Maria. Intanto Pablo, geloso della stima che l’americano si è guadagnata con i compagni, fa sparire la dinamite.  I franchisti attaccano un avamposto partigiano e lo annientano. Jordan, anche se è consapevole dell’inutilità della sua azione, fa saltare il ponte con le bombe a mano. I falangisti se ne accorgono e la controffensiva è durissima. Jordan ferito gravemente ad una gamba, obbliga i compagni ad allontanarsi insieme a Maria che non vuole lasciarlo. Rimane, perciò, da solo a difendere la ritirata dei rivoluzionari: sulla collina è in attesa del nemico e della morte. 

E’ il racconto di un’esperienza individuale cui lo scrittore riesce a dare un valore esemplare. Il linguaggio quotidiano è privo di complessità sintattiche e descrittive ma presenta un’ampia utilizzazione di brani dialogati. La storia ha la credibilità di un evento realmente accaduto e di un evento mitico.

Nel 1940 parte per l’Estremo Oriente, come corrispondente dai luoghi di guerra della guerra cino-giapponese. Quando gli USA entrano nella II guerra mondiale si impegna in Florida con la propria imbarcazione in azioni di pattugliamento antisommergibili.

Poi segue in qualità di corrispondente l’esercito americano in Europa.  Partecipa allo sbarco in Normandia ed entra a Parigi con le formazioni partigiane. Dopo la seconda guerra mondiale durante la quale aiuta, se pur in modo non ortodosso, la Resistenza Francese, si trasferisce a Key West (Florida) e a Cuba.

Nel 1944 incontra Mary Welsh e la corteggia; il 17 dicembre Martha gli chiede il divorzio.

Nel 1946, il 14 marzo sposa Mary. Il 18 luglio salva la moglie che a causa di una gravidanza extrauterina è in fin di vita.

Nel 1948 torna in Italia, a Cortina e Venezia.

Nel 1950 scrive Di là del fiume e tra gli alberi, maschera del vecchio Hemingway, reduce dalla II guerra mondiale.

Nel 1952 Il vecchio e il mare gli vale prima il premio Pulitzer e poi il Nobel per la letteratura (1954).

Probabilmente lo spunto per il racconto gli viene fornito da un episodio di pesca nel 1935, quando aveva visto sbranare dai pescecani un grosso tonno che aveva appena catturato.  I protagonisti sono in parte ispirati a suoi conoscenti.

Un vecchio pescatore cubano, Santiago, da 84 giorni non riesce a pescare alcun pesce. Egli lavora da solo perché Manolin, un ragazzo che lo aiutava, ha dovuto lasciarlo per ordine dei genitori. Il ragazzo è legato al vecchio da profondo affetto e riconoscenza perché Santiago rappresenta per lui un maestro di saggezza, umanità e fiducia nell’avvenire. L’ottantacinquesimo giorno, quando il sole è più alto, un pescecane abbocca all’amo ma è talmente grosso che trascina la barca verso il largo. Santiago ammira la forza dell’animale che si scontra contro un nemico sconosciuto. Dopo una lotta lunga 3 giorni, il vecchio ridotto ormai allo stremo delle forze, riesce ad uccidere il pesce e a legarlo alla barca. Sulla via del rientro però, si accorge che la sua preda viene a poco a poco sbranata dai pescecani. Giunto a terra, rientra sfinito nella sua capanna e si addormenta. Il mattino successivo Manolin procura al vecchio cibo e bevande calde e poi gli comunica la decisione di tornare a lavorare con lui.

Nel pomeriggio il vecchio addormentato nella sua capanna sogna i leoni che aveva visto in giovinezza sulle spiagge africane.

Anche se sconfitto, il vecchio riporta una vittoria morale sul destino per il coraggio e l’impegno dimostrati. Nel drammatico confronto tra uomo e natura acquistano rilevanza i motivi dell’orgoglio e della pietà, della solitudine e del bisogno degli altri.

Diventato ormai famoso, lo scrittore interrompe la lunga vacanza europea per brevi soggiorni negli Stati Uniti e in Africa, dove è impegnato in battute di caccia.

Travagliato da una profonda crisi artistica e umana, trascorre gli ultimi anni a Venezia e a Cuba.

Il 2 luglio 1961, a Ketchum, nell’Idaho, si toglie la vita (come aveva fatto anni prima il padre che aveva lasciato la famiglia nell’indigenza) sparandosi col suo fucile.

Postumi apparvero: Festa mobile, nel 1964, che racconta la grazia e la disperazione degli anni parigini e Isole nella corrente, nel 1970, tragico ritratto della vecchiaia.

In lui c’è la caratteristica di voler incarnare, e di far incarnare ai protagonisti dei suoi testi, la figura dell’eroe forte e coraggioso, sprezzante per i deboli e per la sua stessa morte. Hemingway esalta l’attivismo fisico a scapito dell’attività intellettuale, in quanto cerca di colmare con l’attività fisica il vuoto di un’esistenza basata unicamente sugli aspetti materiali della vita.

E’ stato spesso definito lo scrittore della violenza, ma tale violenza è il frutto della visione della realtà, cioè che lo scrittore non manca di esaminare nella massima veridicità.

Questa violenza non traspare in “Addio alle armi” che è un testo anti bellico per eccellenza: i soldati di fronte al tenente affermano che se non fosse per le ritorsioni nei confronti delle famiglie, non sarebbero mai andati al fronte, le accuse nei confronti di coloro che dalla guerra si arricchiscono, l’esplicito odio nei confronti del conflitto, ed il comportamento del tenente, evidenziano questa caratteristica.

Nella prefazione Hemingway afferma che le guerre sono combattute da brava gente, ma sono provocate da precise rivalità economiche e da maiali che sorgono a profittarne. Egli sarebbe felice di fucilare questi maiali; evidenzia, inoltre, l’inesorabile tragedia che è la vita e l’inevitabile fine che essa per forza deve avere.

I personaggi di Hemingway sono sconfitti in partenza ed il loro eroismo consiste nella accettazione dignitosa del destino.

Il tenente americano, infatti, si rende conto della nullità che la guerra porta e cerca la propria felicità nell’amore.

Ma, essendo l’intera vita una tragedia, non può essere che l’amore riscatti la sconfitta della vita, ed è per questo che anche Catherine e la piccola muoiono.

(“Ora Catherine sarebbe morta. Questo si faceva si moriva”. “Non si scampa mai da niente”).

Lo stile di Hemingway è asciutto, scabro, spinto al massimo del realismo (basti pensare alla descrizione della morte di Catherine) ma non oggettivo, infatti è evidentissimo nel romanzo il pensiero dello scrittore.

Il linguaggio è talmente crudo che per la pubblicazione nello “Scribner’s Magazine”, lo scrittore viene obbligato a mettere dei puntini al posto delle parole più audaci.

Ciò che è significativo in “Addio alle armi”, è la particolare rilevanza assegnata al lato esistenziale dell’uomo, all’interno della esperienza della guerra.

Protagonista non è infatti la guerra, ma l’uomo che viene a contatto con una delle esperienze più terribili della vita.

Addio alle armi

Il governo fascista vietò la pubblicazione del libro col pretesto che c’era la descrizione della grande ritirata, in realtà il motivo era il clima antimilitarista del testo e il fatto che in precedenza lo scrittore aveva criticato Mussolini.

Addio alle armi è in parte autobiografico: infatti vari episodi riprendono reali esperienze vissute dal protagonista.

 E’ un romanzo d’amore e di guerra, il romanzo che Hemingway sognava di scrivere da tempo, ispirandosi alle proprie esperienze sul fronte italiano durante il primo conflitto mondiale.

I fatti narrati, infatti, si svolgono nel “teatro di guerra italo-austriaca” sul fronte carsico. I luoghi sono vari e minuziosamente descritti.

Il romanzo si apre con la descrizione del villaggio nel quale il giovane tenente americano dimora: i ciottoli del fiume, gli alberi polverosi, la pianura ricca di messi, le montagne in cui si combatte.

Ogni scena si apre con la descrizione dell’ambiente circostante: l’elemento essenziale, è il clima, quasi che da esso dipendano l’umore e le condizioni del protagonista (“faceva caldo e il cielo era luminosissimo…”, “Faceva molto caldo e quando mi svegliai…”, “Non ricordo molto di quei giorni, tranne che erano molto caldi…”).

Le descrizioni riescono a comunicare l’ansia o la tranquillità della situazione e il trascorrere del tempo.

Il mutare del paesaggio, colto nelle diverse stagioni, rende l’idea di una guerra interminabile.

La pioggia non è un semplice elemento atmosferico: è il simbolo della morte che spazza via la vita, a cui nessuno può sfuggire.

Catherine Barkley, l’amante del protagonista, ha paura della pioggia, perché in essa si vede, e vede il proprio uomo morto.

E la pioggia scende anche quando Catherine subisce il taglio cesareo con il quale perde il proprio bambino, e poi anche lei muore. 

La descrizione degli interni, lo chalet e le varie stanze d’albergo, trasmette un certo senso di calore e protezione.

Invece gli ambienti reali, Gorizia, Milano, Montreaux, trasmettono l’idea di una guerra lontana, anche se fanno cogliere tutta la tragedia del momento.

Protagonista del romanzo è un giovane tenente americano che si arruola nell’esercito italiano come conducente d’autoambulanza.

A Gorizia l’amico Rinaldi gli presenta la bionda e bella Catherine Barkley, infermiera inglese.

L’amore tra i due, iniziato dapprima come un gioco, diventa presto un sentimento sincero. E i due si creano un mondo proprio, fingendo di essere sposati.

L’amore sostiene il giovane anche quando, ferito dallo scoppio di una mina, è costretto ad una lunga degenza nella città di Milano, dove Catherine lo raggiunge. Guarito è però, costretto a tornare alla Bainsizza.

Durante la ritirata di Caporetto con i commilitoni Aymo, Piani e Bonello il protagonista abbandona la lunga colonna d’auto per cercare una via di passaggio più rapida.  Imbattutosi in uno squadrone di polizia militare che sta fucilando una serie di ufficiali con l’accusa di diserzione, decide di fuggire; dopo una fuga estenuante, riesce a raggiungere Milano, dove, indossati panni borghesi, decide di lasciarsi alle spalle la stupida guerra e di rifugiarsi in un luogo con la bella Catherine, che aspetta un figlio da lui. A Montreax, dopo un breve periodo felice, giunge per Catherine l’ora di partorire, ma il parto si rivela difficile e madre e figlio muoiono.

 Il romanzo si apre col “finire dell’estate di quell’anno”: è il 1915, costellato da continue piogge e dal colera.

Il 1916 è l’anno della conquista di Gorizia.

La gran parte del romanzo è però dedicata al 1917.

La guerra vera e propria, quella di trincea e di operazioni belliche entra solo di riflesso nel testo tramite il racconto del protagonista.

 “Così passò l’estate. Non ricordo molto di quei giorni, tranne che erano molto caldi e che c’erano molte vittorie sui giornali”

Al fronte l’esercito avanza sul Carso, conquista il monte Cucco, il monte S. Gabriele e la Bainsizza, ma l’esercito si sta logorando dato che restano moltissime montagne da conquistare.

Sul fronte occidentale la situazione è statica: si tratta di una guerra interminabile, in cui nessuno vince.

Vi è un riferimento alle sommosse di Torino: ma l’avvenimento più importante è la sconfitta e la ritirata di Caporetto, avvenimento a cui non partecipa il protagonista; pertanto egli nella descrizione si basa sulla ritirata greca in Tracia, nel 1922, a cui assiste come giornalista.

Caporetto è un villaggio bianco, con un campanile e una bella fontana nella piazza. La ritirata è descritta minuziosamente: un’intera regione si muove verso l’entroterra, ordinatamente, in una lunga colonna. Ai militari si affiancano anche i civili che, nell’abbandonare le proprie case, cercano di portare con sé tutto il possibile, tra cui le cose di maggior valore.

Il “mistero” di Caporetto: quale le cause della disfatta? Non si può parlare di una causa specifica dato che fu il frutto di un insieme di circostanze: diserzioni, mancanza di coordinazione da parte dei gradi maggiori dell’esercito, truppe incapaci di comprendere ciò che stava accadendo.

Buona parte dell’esercito vide in Caporetto la fine della guerra e si autoconvinse di questo: non fu atto di codardia ma l’esplosione di persone stanche di sacrificarsi per una guerra loro estranea. I soldati gettano via i fucili convinti che così facendo non sarebbero più stati obbligati a combattere.

E’ un momento di sfogo anche nei confronti di ufficiali ritenuti responsabili in gran parte della guerra.

Durante la ritirata i gradi maggiori non temono solo la rabbia dei soldati, ma anche le spedizioni punitive della polizia militare, una delle poche sostenitrici dell’importanza della guerra.

Hemingway mette in evidenza come la superbia dei poliziotti derivi dal fatto che essi, pur in mezzo alla morte, ne sono indenni.

Quelli che interrogavano avevano tutta l’efficienza, la freddezza e il controllo di sé degli italiani che sparano senza che nessuno spari loro”

L’assurdità della guerra compare anche nelle parole e negli episodi più assurdi; in modo particolare le opinioni dei soldati sugli eserciti più forti, su chi vincerà la guerra e sulla guerra in genere dimostrano come essi debbano fare supposizioni su di una guerra reale nella quale sono coinvolti ma della quale è come se non conoscessero nulla, se non che possono ritornare a casa.

La vera guerra sembra essere quella del fronte occidentale, mentre il Carso viene dipinto come un fronte pittoresco.

 “Questa era una zona di guerra strana e misteriosa, ma pensavo che fosse abbastanza ben condotta e spaventosa in confronto alle altre guerre contro gli Austriaci”

L’ironia di Hemingway è rivolta principalmente ai comandanti dell’esercito italiano. Secondo lui, infatti, l’esercito austriaco è nato per essere battuto da qualsiasi esercito, purtroppo, però, quello italiano è condotto dal prosperoso Cadorna e da Vittorio Emanuele, l’ometto dal collo lungo e sottile.

Compare spesso l’idea di una guerra infinita che, se si concluderà, sarà solo perché qualcuno deve pur cedere: i soldati ritengono che saranno i francesi a cadere, dato che i tedeschi sono visti come i più attrezzati, militarmente capaci, più determinati, sicuri di ciò che vogliono (molto più degli italiani che sparano per timore su tutto ciò che vedono). Quindi il ritratto che ne deriva è quello di una guerra di supposizioni.

L’altro grande tema è l’amore che né la pioggia né la guerra potrà mai spezzare. Nato come il gioco del bridge, diventa parte dei due protagonisti.

Compare spesso anche il tema dello scambio delle identità, che troverà la massima espressione ne “Il giardino dell’Eden”: i 2 protagonisti si sentono una stessa anima ed è per questo che Catherine parla del taglio dei capelli: “Falli crescere un po’ e io mi faccio tagliare i miei e saremo proprio eguali”. 

Significativo è anche il passaggio in cui il tenente afferma che in ogni coppia, sia l’uomo che la donna desiderano in determinati istanti essere soli e sono a vicenda gelosi di questo. Ma per lui e Catherine questo non si era mai verificato.

La narrazione in prima persona rende ancora più centrale la posizione del protagonista e più evidente la posizione dell’autore. Il tenente americano, arruolatosi nella sanità italiana senza una specifica causa, si rende conto già nei primi mesi di ciò che è la guerra: è l’incarnazione dell’antibellicismo di Hemingway.

Due fasi all’interno del romanzo: la prima è quella dell’odio per la guerra, ma dell’impegno assunto in essa, e la seconda è quella della decisione di allontanarsene.

Il punto di svolta è determinato dalla ritirata di Caporetto durante la quale si determina la maggior presa di coscienza dell’assurdità della guerra e dell’inutilità di continuare a combattere.

E’ infatti da Caporetto che l’amore prevale sulla guerra: la guerra è nulla per cui vale la pena di vivere per l’amore. Da Caporetto egli decide di gettare alle spalle l’esperienza e la soluzione più efficace sembra essere quella di dimenticarla.

Egli sente l’esigenza di non preoccuparsi più, di non pensare più: la guerra compare così oltre che come fatica fisica come fatica psicologica (Non pensiamoci. Sono stanco di pensare”).

L’odio per la guerra raggiunge l’esasperazione nella forma del più totale rifiuto: “la guerra era molto lontana. Forse non c’era nessuna guerra…. Avevo la sensazione di un ragazzo che pensa a ciò che sta succedendo in un certo momento nella scuola che ha marinato”.

In Catherine ciò che colpisce è l’esigenza di amore, corrisposta poi dal tenente.

 I dialoghi esprimono il rapporto fra i due che si soffocano di attenzioni fino al punto di dirsi cose finte nelle quali entrambi sono coscienti. “……No, non è vero. Sei bella cara”. “Sono solo un brutto coso che tu hai sposato”, “Non è vero sei sempre più bella”, “Ma tornerò magra”, “Sei magra adesso”.

 Catherine non è la rappresentazione di Agnes, l’infermiera amata in guerra da Hemingway. Ma è la donna ideale dello scrittore, nata dall’unione di almeno quattro donne da lui amate. Dolce e coraggiosa, ma nello stesso tempo erotica e indipendente, è la donna ideale del machismo di Hemingway.