MORAVIA

Alberto Moravia ,pseudonimo di Alberto Pincherle, nasce a Roma il 28 novembre 1907 in via Sgambati.

Il padre, Carlo Pincherle Moravia, architetto e pittore, apparteneva ad una  famiglia veneziana.

La madre, Gina de Marsanich, era di Ancona.

Lo scrittore aveva due sorelle, Adriana ed Elena; nel 1914 nascerà il fratello Gastone.

All’età di 9 anni Moravia si ammala di tubercolosi ossea, malattia che gli dura, con alterne vicende  fino ai 16 anni.

Moravia, parlando della sua malattia, la definisce  “ il fatto più importante della mia vita”

Trascorre  3 anni a letto in  casa; negli anni 1924-25 è  nel sanatorio Codivilla di Cortina d’Ampezzo.

 Durante questo periodo i suoi studi sono irregolari.

Riesce a frequentare per solo un anno  il ginnasio Tasso, ottenendo  “a mala pena” la licenza ginnasiale.

In compenso  legge molto e scrive , in francese e in italiano, versi  che definirà bruttissimi. 

Studia il tedesco, avendo già conoscenza dell’inglese.

Nel 1925 si trasferisce a Bressanone, in provincia di Bolzano, per la  convalescenza. Legge le opere dei massimi narratori dell’ 800 e del primo ‘ 900, le liriche di Arthur Rimbaud, le opere teatrali di Shakespeare e  Moliere , i pensieri filosofici di Blaise Pascal,Dostojeskj, Goldoni, Manzoni , Ariosto, Dante.

Nell’autunno del 1925 inizia la stesura de Gli Indifferenti, opera di coraggiosa rottura, dal  linguaggio scarno e concreto in contrasto con la ricchezza formale tipica della produzione letteraria del tempo.

Con  crudo realismo  viene descritto lo squallore morale dei protagonisti e dell’ambiente in cui vivono.

Il  romanzo costò a Moravia l’ostilità del regime fascista, che invece propagandava  un’immagine oleografica  della società italiana.

Si dedica poi  al successivo romanzo per 3 anni, dal 1925 al 1928, essendo 2 ormai troppo indietro per continuare gli studi.

 La salute ancora fragile lo porta a vivere in montagna.

A Roma entra in contatto con Massimo Bontempelli e con la rivista da lui diretta,

’ 900 sulla quale nel 1927 pubblica il suo primo racconto Cortigiana stanca.

Gli Indifferenti dovevano uscire presso la stessa rivista, però, l’editore lo rifiutò, dopo averlo letto, con la motivazione poco lusinghiera che era una “ nebbia di parole”.

Moravia parte per Milano per portare il romanzo a Cesare Giardini, allora direttore della casa editrice Alpes. Sei mesi dopo riceve da quest’ultimo una lettera

entusiasta”, seguita poco dopo da una richiesta di pagare le spese dell’edizione, visto che nessuno sarebbe stato disposto a pubblicare un romanzo scritto da un autore completamente ignoto.

Moravia si fa prestare 5000 lire dal padre e fa uscire il romanzo nel luglio del 1929.

Il libro ebbe molto successo: la prima edizione di 1300 copie fu esaurita in poche settimane e fu seguita da altre  4 fra il 1929 e il 1933.

La critica reagì in modi diversi, alternando facili entusiasmi a riserve di ordine morale.

 Sempre nel 1929, pur continuando a scrivere novelle, si intensificarono le sue collaborazioni su riviste: in particolare scrive per  “ Interplanetario”.

Anche per evadere dal clima oppressivo instaurato dal fascismo, comincia a viaggiare e a scrivere articoli su vari giornali, alternando così l’attività di scrittore a quella di giornalista.

Fra il 1930 e il 1935 soggiorna a Parigi e a Londra.

I suoi rapporti col fascismo peggiorano.

Nel 1933 fonda con Pannunzio la rivista “ Oggi”, destinata attraverso vari passaggi e diventare l’attuale testata omonima.

Nel 1935 escono la raccolta di racconti La bella vita e del romanzo  “Le Ambizioni sbagliate” , un libro al quale lavorava da ben 7 anni, la cui resa analitica, delle psicologie e delle ideologie è meno felice, se non velleitaria.

In questo romanzo c’erano senz’altro cose sentite e autentiche ma in complesso vi mancava il carattere spontaneo e necessario che avevano avuto Gli indifferenti”.

E infatti il libro, oltre a non avere successo, venne ignorato dalla critica per ordine del Ministero della Cultura Popolare.

Per allontanarsi da un paese che comincia rendergli la vita difficile (“non solo per la mia vita, ma per la civiltà…Tutto ciò che può esserci di peggio è concentrato in quegli anni”), Moravia nel 1935 parte per gli Stati Uniti.

E’ invitato da Giuseppe Prezzolini alla casa italiana della Cultura della Columbia University di New York.

Vi rimane 8 mesi, tenendovi 3 conferenze sul romanzo italiano, discutendo di Nievo, Manzoni, Verga, Fogazzaro, D’Annunzio.

Breve ritorno in Italia dove scrive in poco tempo un libro di racconti lunghi

L’imbrogliodel 1937.

Il libro fu proposto alla Mondadori che lo rifiutò. Moravia allora incontrò Bompiani e glielo propose. Questi fu favorevole alla produzione e iniziò così una collaborazione praticamente ininterrotta con la casa editrice milanese.

Nel 1938 parte per la Grecia dove rimarrà 6 mesi incontrando saltuariamente Indro Montanelli.

Nel 1939 torna in Italia e vive ad Anacapri con Elsa Morante che ha incontrato a Roma nel 1936 e che sposa nel 1941.

La pubblicazione degli scritti satirici “I sogni del pigro” nel  1940, segna l’inizio di un impegno  letterario e politico in aperta opposizione al regime fascista.

Nel 1941 pubblica il romanzo satirico “ La mascheratain cui mette in scena un dittatore coinvolto in una cospirazione provocatoria organizzata dal suo stesso capo della polizia.

Il libro, che aveva ottenuto il nullaosta di Mussolini, fu sequestrato alla seconda edizione.

In seguito alla censura non poté scrivere sui giornali se non con  il nome di  Pseudo.

Nel 1942 scrive Agostino, prova esemplare di analisi dei turbamenti di un adolescente alla rivelazione della sessualità, che verrà pubblicato nel 1943 a Roma presso la casa editrice  Documento in un’edizione di 500 copie; l’edizione era limitata perché l’autorizzazione alla pubblicazione era stata negata.

Poco dopo fu diramata una “ velina” con l’ingiunzione di non farlo scrivere più e contemporaneamente gli si impedisce di lavorare per il cinema, sua unica fonte di guadagno.

Durante i 45 giorni, collabora al Popolo di Roma di Corrado Alvaro.

Poi il fascismo tornò con i tedeschi e Moravia fu costretto a scappare perché fu informato da Malaparte che era sulle liste della gente che doveva essere arrestata.

 Fugge con Elsa Morante verso Napoli;  non riesce a varcare il fronte e deve passare 9 mesi in una capanna, presso Fondi, fra sfollati e contadini.

Fu questa la seconda esperienza importante della mia vita, dopo quella della malattia, e fu un’esperienza che dovetti fare per forza, mio malgrado

Da questa esperienza trasse ispirazione per La ciociara, apparso per la prima volta come racconto ( 1954) e poi come romanzo ( 1957).

Il 24 maggio 1944, nell’imminenza della liberazione di Roma, la casa editrice Documento stampa  il pamphlet “ La speranza, ovvero Cristianesimo e Comunismo” un saggio che testimonia un primo approccio alle tematiche marxiste, nelle quali intravede la possibilità di nuovi valori per la ricostruzione di un’umanità e società, provate da tanti anni di dolori e sofferenze..

Con l’avanzata dell’esercito americano, Moravia torna a Roma e  riprende con largo successo la sua attività di romanziere, caratterizzata da un’acuta sensibilità per i mutamenti di costume della società italiana e da un’estrema attenzione alle proposte dei più svariati campi culturali, dalla psicoanalisi alla sociologia.

 Al mattino scrive romanzi, al pomeriggio per guadagnare scrive  sceneggiature:

 “ Il cielo sulla palude” per un film di Augusto Genina su Maria Goretti, e La romana, diretta da Luigi Zampa nel 1947.

Gli anni 1947- 51 segnano la fortuna letteraria di Moravia:   La disubbidienza,1948, L’amore coniugale, e altri racconti, 1949.

I romanzi  “La romana”  del 1947 e “La ciociaria” pubblicata nel 1957, presentano tematiche tipiche del Neorealismo.

(Vittorio De Sica dirigerà la celebre versione cinematografica della Ciociara, interpretata da Sofia Loren)

In Agostino, La disubbidienza, Il conformista ( pubblicato nel 1951), il fulcro è costituito dall’esperienza dei rapporti umani e, in particolare, di quelli sessuali in bilico tra normalità e anormalità ( quest’ultima non presentata come pura negatività ma come contrappunto dell’ipocrisia e dello squallore esistenziale esistenti in esistenze normali).

Nel 1952 tutte le opere vengono messe all’indice dal santo Uffizio ma nel luglio dello

stesso anno riceve il Premio Strega per i racconti appena pubblicati.

L’anno dopo vince il Premio Marzotto e nel 1954 esce Il disprezzoe la prima serie  dei Racconti romani che raccoglie brani già apparsi sul Corriere della sera; a questa serie di racconti ne seguirà una seconda nel 1959, Nuovi racconti romani .

Alla fine degli anni 50 i rapporti di Moravia col Partito comunista italiano si raffreddano e nel suo resoconto di viaggio “ Un mese in Urss” lo scrittore avanza serie riserve  sugli esiti del socialismo reale.

Nel   1960 esce La noia” che gli vale il premio Viareggio.

Il romanzo, pur  provocando scandalo, gli permette di ripercorrere la strada che riconduceva all’analisi della crisi della società contemporanea, contraddistinta da un vuoto della coscienza e dei sentimenti.

 Infatti con La noia Moravia  mette a fuoco in maniera esplicita, fin dal titolo, il problema fondamentale dell’uomo contemporaneo.

Dino,il protagonista, simboleggia la condizione di alienazione prevalente nella nostra società. Incapace di trovare interesse per il lavoro, non ha amici perché in realtà non ha voglia di farsene, né partecipa ad alcuna attività.

Ad un certo punto fa una lucida analisi di questa sua situazione.

Invece Cecilia, la protagonista femminile, non sta ad autoanalizzarsi ma, pur non consapevole della propria condizione, non è affatto diversa da Dino: anche lei è  senza radici e assolutamente ferma alla superficie di ogni rapporto.

 L’incontro tra i due, però, fa scattare nell’uomo il desiderio di un possesso che non potrà,viste le caratteristiche di Cecilia, essere mai completo e profondo.

Nella società industriale, insomma, Moravia vede un’ulteriore prova della mancanza di idealità e della riduzione dell’umanità a rapporti mercificati e basati unicamente sulla logica del possesso.

Queste considerazioni costituiscono il fondamento negli anni ’60 di un filone culturale importante che si manifesterà anche nel cinema ( film di Michelangelo Antonioni: L’avventura, L’eclissi, Deserto rosso, basati sulla tematica dell’incomunicabilità e interpretati da Monica Vitti) e che è testimonianza di un disagio diffuso nella coscienza degli intellettuali italiani di fronte alle nuove questioni poste dall’organizzazione di una società industriale avanzata.

Nel 1962 , in aprile, si separa da Elsa Morante e si trasferisce a Lungotevere della Vittoria con Dacia Maraini.

Tra il 1963 e il 1970 vengono pubblicate diverse opere e articoli tratti dai suoi viaggi e dalle sue esperienze.

Tra il 1972 3 il 1981 si colloca la stagione dei suoi viaggi, specie in Africa, vista come terra di intatta e attraente arcaicità.

Nel 1983 vince il Premio Mondello e il 26 giugno rifiuta la candidatura al Senato italiano.

“ Ho sempre pensato che non bisogna mischiare la letteratura con la politica; lo scrittore mira all’assoluto, il politico al relativo; soltanto i dittatori mirano insieme al relativo e all’assoluto”

L’anno successivo, però, diventa deputato al parlamento europeo  con 260.ooo voti.

Sono gli anni de L’attenzione del 1965, Io e lui del 1971, Vita interiore del 1978, La cosa del 1983, dedicato alla scrittrice Carmen Llera.  da lui sposata  il  27 gennaio 1986.

Nonostante l’avanzare dell’età Moravia continua la sua produzione narrativa:

1934 – 1982

L’uomo che guarda – 1985

Viaggio a Roma – 1989

Racconti:

Una cosa è una cosa – 1967

Il paradiso – 1970

Un’altra vita – 1973

Boh –  1976

La cosa – 1983

L’uomo che guarda–  1985

Nel 1976 pubblica i volumi di Teatro che comprendono testi di notevole valore artistico come  Beatrice Cenci  – Il dio Kurt del 1968

La vita è gioco del  1969

Saggistica:

 L’uomo come fine  e altri saggi – 1963

Impegno controvoglia –  1981,  riflessioni  sul proprio engagement

Inverno nucleare – 1986

 Reportages su paesi stranieri: 

La rivoluzione culturale in Cina – 1967

 A quale tribù appartieni – 1972

Lettere dal Sahara – 1981

Il 26 settembre del 1990 muore nella sua casa romana alle 9 del mattino.

Gli indifferenti

Basati su una critica abbastanza dura sulla società borghese negli anni del fascismo italiano, esprimono il tentativo  di trovare da parte della borghesia intellettuale delle valide ragioni per vivere, amare, lottare.

Nel romanzo l’autore rappresenta un ambiente umano circoscritto, data anche la breve durata delle vicende, che rifiuta di riconoscersi e di giudicarsi.

Infatti la maggior parte  della storia si sviluppa nella villa dei protagonisti  con  brevi descrizioni della sala da pranzo o del salone, spesse volte illuminate solo parzialmente, in uno strano gioco di luci e ombre, riflesso di una realtà circondata da un alone di ipocrisia, mistero.

 Raramente l’autore si distacca da quest’ambiente sebbene, dalla descrizione molto frequente delle umide giornate piovose, si possa intuire che si tratta di una piccola cittadina dell’Italia settentrionale.

 Non ci sono accenni ad eventi particolari anche se la vicenda è ambientata negli anni del Fascismo.

Moravia crea personaggi carichi di una profonda autenticità con un  linguaggio chiaro, semplice, moderno e un’ aggettivazione puntuale e precisa.

 C’è la descrizione di una famiglia borghese contro cui l’autore si scaglia perché parassita, priva di moralità,di carattere, di vigore, incapace di reagire, di vivere intensamente, di ribellarsi abbandonando il suo estremo fatalismo. Vi sono notevoli introspezioni psicologiche e acute sottolineature dell’animo umano

I personaggi, tutti coinvolti e trasportati dalle situazioni, dall’abitudine, da un ritmo di vita conforme al loro essere, rispecchiano il rifiuto costante dell’ambiente umano di riconoscersi e giudicarsi e la debolezza consapevole nel reagire agli eventi.

Protagonisti sono il giovane Michele Ardengo e la sorella Carla, disgustati dall’ambiente familiare, intriso di ipocrisia, in cui sono costretti a vivere.

 Mentre il primo appare fin dall’inizio teso verso una sincerità ed una fede irraggiungibile, stanco dell’ipocrisia del mondo borghese che lo circonda, Carla si dimostra capace di orientarsi in quella esistenza sociale, anche se con difficoltà.

 La  vicenda  di Michele invece,è la storia di un adattamento mancato, dato che  vive di gesti ed azioni ripetitive, senza amore, senza sentimenti, solo con l’indifferenza e l’apatia. Il suo agire, infatti, è fondato sul principio di semplice ripetizione, come dimostrano i ripetuti scontri con Leo.

La storia di Carla narra il modificarsi della sua vita, causata dal nascere di una situazione squallidamente nuova e  coincide con la sua raggiunta maturità di donna

 “ stanca di esaminare se stessa e gli altri”.

 Riconosce la violenza del mondo e che la vita era quello che era per cui era preferibile accettarla piuttosto che giudicarla.

Carla voleva finirla,voleva rovinare tutto ma poiché la rovina tardava a venire, cerca di procurarsela da sola, usando violenza  a sé stessa.

Oppressa da quella vita che non cambia o non vuole cambiare, decide di buttarsi fra le braccia di Leo Merumeci, amante della madre, non per amore ma per desiderio di dare una svolta alla propria esistenza.

Leo rappresenta  a pieno la società borghese di quel tempo: è un uomo corrotto, meschino, arido, calcolatore, desideroso di trarre guadagno dalla rovina familiare della donna che finge di amare, Mariagrazia, che, riponendo un’immensa fiducia nell’amante, gli vende la sua villa gravata da un’ipoteca.

  In realtà Leo offre meno del valore reale della casa. Temendo di essere scoperto, cerca di comportarsi bene sia con la donna che con Michele. Quest’ultimo, proprio nella storia con Lisa, amica della madre ed ex fiamma di Leo, che cerca invano di sedurlo, manifesta indifferenza per tutto ciò che lo circonda.

 Michele non ha mai provato niente; solo nelle lacrime di una prostituta che una volta ha portato in una camera d’albergo, pensa di aver trovato un’anima degna.

Una figura a sé è Mariagrazia, vedova e madre di 2 figli ormai grandi, Carla e Michele, ossessionata da una folle gelosia nei confronti dell’amante, sempre pronta a fare pubblicamente interminabili scenate patetiche nelle quali appare la vittima di coloro che tramano alle sue spalle.

 E’ una donna stupida, fallita che cerca in tutti i modi di attirare l’attenzione di Leo. Moravia evidenzia la cecità della donna inutilmente gelosa di Lisa che, invece, è attratta da Michele.

Intanto Leo, stanco di Mariagrazia, rivolge tutte le proprie attenzioni di uomo maturo verso Carla. Aspettando l’amante nel salone della sua villa, si accorge che la prosperità giovanile di Carla lo attrae, così non esita a concederle la possibilità di cambiare quella sua noiosa esistenza.

Curvo, seduto sul divano, egli osservava la fanciulla con una attenzione avida; gambe dai polpacci storti, ventre piatto, una piccola valle di ombra fra i grossi seni, braccia e spalle fragili, e quella testa rotonda così pesante sul collo sottile. “ Eh che bella bambina”; egli ripeté” che bella bambina”. La libidine sopita per quel pomeriggio si ridestava, il sangue gli saliva alle guance, dal desiderio avrebbe voluto gridare…

… daremo il benservito a tua madre, la manderemo al diavolo, e tu avrai tutto quel che vorrai, ..

…Il respiro gli mancava: “ Tutto quel che vorrai…vestiti, molti vestiti, viaggi;…è un vero peccato che una bella bambina come te sia così sacrificata…; vieni a stare con me Carla…

Ed è forse questa nuova prospettiva di vita che convince Carla a fare di tutto, anche a costo di vendere il proprio corpo e la propria anima, per cercare di sconvolgere quell’esistenza così monotona.

Accanto al cedimento della ragazza, si contrappone l’indifferenza di Michele che, per difendere l’onore della sorella,  cercando di dimostrare a se stesso e a Lisa di essere capace di agire, fallisce.

Ma l’impotenza del giovane viene evidenziata dal fatto che, immerso nei suoi pensieri di organizzazione minuziosa del delitto e del successivo processo, dimentica di caricare la pistola. Giunto in casa di Leo, dove ha la conferma della relazione con la sorella, spara inutilmente.

Fino alla fine però spera che Carla non ceda alla proposta di matrimonio riparatore. Consapevole della propria incapacità, Michele desiste dai suoi propositi e ritorna nel suo stato di perpetua indifferenza. Carla finisce per sposare Leo e Michele diventa socio in affari del cognato.

Quest’indifferenza, comunque, è presente in tutti i personaggi,ognuno dei quali è impegnato a badare esclusivamente alle proprie esigenze.

Leo è in assoluto il personaggio della perversione. I suoi occhi bramosi e il rossore del suo viso eccitato alla vista della giovane segnano l’esperienza dell’uomo nell’illustrare con grande evidenza pratica le regole del gioco sessuale borghese, accanto al suo cinico affarismo.

In Lisa è invece l’arte della degradazione, la prima figura in cui viene a delinearsi il motivo dell’ipocrisia erotico borghese.

L’autore analizza con spietata freddezza la crisi dei valori che nessuno dei personaggi rispetta più, eccetto colui che soffre per il degrado morale della propria famiglia, Michele.

Alberico Sala: “ Nell’acqua distillata della nostra letteratura, Moravia gettò l’aspra storia del suo primo libro, una storia si direbbe più ispirata che pensata, perché l’autore stesso non si rese subito conto di aver scritto il primo romanzo esistenzialista”

 Il romanzo si conclude con la scena in cui Carla e  Mariagrazia si recano ad un ballo in maschera, l’una ormai decisa a cambiare la sua vita, l’altra serena perché inconsapevole del duro colpo che la figlia sta per infliggerle.

La ciociara

Cesira e Rosetta ,le protagoniste, per sfuggire ai bombardamenti della 2 guerra mondiale su Roma, si rifugiano sulle montagne di Fondi. Cesira, la madre, si preoccupa di difendere i propri beni, convinta che la guerra a breve finirà. Fra gli sfollati emerge le figura di Michele, un giovane idealista che crede di poter migliorare il mondo servendosi dell’aiuto del ceto operaio e dei contadini. A lui si contrappone Cesira che realisticamente accetta il mondo così com’è. Michele viene ucciso. Cercando di tornare a Roma, Cesira e la figlia vengono violentate da un gruppo di soldati. La giovinetta reagisce in modo apatico e solo la notizia della morte di Michele, a cui si era affezionata, susciterà in lei una reazione  che le consentirà di riprendere a vivere.

…avevamo ripreso a camminare  nella nostra vita, la quale era forse una povera cosa piena di oscurità e di errore, ma purtroppo la sola che dovessimo vivere, come senza dubbio Michele ci avrebbe detto se fosse stato con noi.

Agostino  

Tema di natura psicologica. La vicenda si svolge in una località marina, su una spiaggia, forse sulla costa tirrenica della Toscana , essendo il protagonista di Pisa.

Si svolge d’estate in un brevissimo arco di tempo. L’autore vuole comunicare delle emozioni derivanti da particolari stati d’animo in cui viene a trovarsi il protagonista. Alcune situazioni ci fanno riflettere sul comportamento dei ragazzi in determinati periodi e in particolari condizioni. Uno dei motivi che è alla base del romanzo è l’incomunicabilità, evidente nella figura di Agostino.

Scritto nel 1945, è il racconto dello scontro violento e angoscioso con le cose e col sesso da parte di un ragazzo. Emerge il disperato desiderio di un mondo diverso.

Agostino ha 13 anni e trascorre le vacanze al mare con la madre, giovane e bella. Il ragazzo ha con lei uno strano rapporto: egli non la vede più come mamma ma come una donna capace di suscitare in lui forti emozioni quando la scorge in vesti succinte. Incontra casualmente dei ragazzi del popolo  che formano una banda guidata da un equivoco bagnino cinquantenne, Saro.

Agostino guardò e vide venire correndo dal mare un altro gruppo di ragazzi…Il primo era un ragazzotto di forse più che diciassette anni, in costume da bagno, atticciato e tozzo; poi veniva, con grande meraviglia di Agostino, un negro; terzo un biondo, che dal portamento e dalla bellezza del corpo parve ad Agostino di origine più signorile degli altri, ma come si avvicinò, il costume tutto rotto e bucato e una certa elementarietà di tratti nel bel volto dai grandi occhi cerulei, lo palesò anch’esso popolano. Dietro questi primi tre, seguivano altri quattro ragazzi, tutti della stessa età, tra i tredici anni  e i quattordici.

Essi lo coinvolgono nelle loro imprese.

Agostino è attratto dalla loro spregiudicatezza. Anche se la  brutalità plebea dei loro modi lo offende, tuttavia li sente più vicini a una realtà che gli riesce ancora enigmatica. Essi  lo portano alla conoscenza del sesso  le cui manifestazioni provocano in lui  forte turbamento, problemi ed interrogativi senza risposta. Così cambia atteggiamento, comincia a pensare in modo diverso, diventa uomo.

 La madre è vista come oggetto che attrae, bella, femminile. Egli non vuole che gli altri amici la guardino o facciano apprezzamenti. A volte sente il bisogno di non frequentarli ma poi torna tra loro e cerca di imitarli.

Non se ne rendeva conto, ma ciò che l’attirava al bagno Vespucci, oltre alla compagnia così nuova dei ragazzi, era proprio quel dileggio brutale su sua madre e i supposti amori. Egli avvertiva che l’affetto di un tempo stava cambiandosi in un sentimento tutto diverso, insieme obbiettivo e crudele;  e gli pareva che quelle ironie pesanti, per il solo fatto di affrettare questo cambiamento, andassero ricercate e coltivate. Perché poi desiderasse tanto di non amare più sua madre, perché odiasse questo suo amore, non avrebbe saputo dirlo. Forse per il risentimento di essere stato tratto in inganno e di averla creduta cos’ diversa da quella che era nella realtà; forse perché , non avendo potuto amarla senza difficoltà e offesa, preferiva non amarla affatto e non vedere più in lei che una donna…

 Scoperta l ‘ esistenza di una casa di piacere, decide di andarvi, avvertendo acutamente il bisogno di precisare l’immagine della donna che gli è stata appena rivelata e che si mescola in lui, a quella della madre.

Agostino aveva già altre volte sentito parlare dai ragazzi di queste case dove abitano soltanto donne e vi stanno chiuse tutto il giorno e la notte pronte e disposte per denaro ad accogliere chicchessia;ma era la prima volta che ne vedeva una….”sì- disse il Tortima – è il più caro della città” E aggiunse molte particolarità sul prezzo, il numero delle donne. La gente che ci andava, la quantità del tempo che si poteva rimanerci. Queste notizie quasi dispiacevano ad Agostino, sostituendo, come facevano, meschine precisioni all’immagine confusa e barbarica che si era fatta dapprima di quei luoghi proibiti

Ma il tentativo è frustrato:

 ..Tutto era finito male, pensò, il Tortima l’aveva tradito prendendogli i quattrini e lui era stato scacciato..

 La conclusione è amara e ci fa sentire che il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza è critico.

 La noia

Dino, un pittore di 30 anni, ha abbandonato la propria ricca famiglia per dedicarsi all’arte e soprattutto per sottrarsi ai condizionamenti dell’infanzia: una madre possessiva, preoccupata solo del suo patrimonio, e una figura paterna evanescente. Sin dalla fanciullezza, Dino è preda di un sentimento di noia che gli impedisce di stabilire un rapporto armonico con la realtà che lo circonda. Dino tenta invano di evadere dalla noia rifiutando la ricchezza materna e dedicandosi all’arte, ma dopo 10 anni di lavoro l’atto di distruggere la tela alla quale sta lavorando gli si rivela come il suo primo vero gesto creativo. Decide allora di troncare con la propria attività e di ritornare nella villa materna dove cerca di analizzare  l’ambiente in cui è nato sottoponendo la madre ad un vero e proprio interrogatorio. Ma la madre vede nel ritorno del figlio solo l’occasione per legarlo definitivamente a sé e comincia a coprirlo di regali di ogni tipo. Tutto ciò non fa che acuire il disagio psicologico del giovane che fugge di nuovo per tornare al proprio studio e alla propria attività. Incontra così una giovane modella, Cecilia, di cui si dice che abbia portato alla disperazione e alla morte un uomo. Se ne innamora e ne diventa l’amante, curioso di scoprire che cosa l’aveva resa indispensabile per l’altro. La ragazza gli si rivela disponibile a tutto e a tutti e perciò inafferrabile; nonostante il possesso fisico, Dino avverte che essa gli sfugge. Vorrebbe sentirla sua perché venendogli a noia si ricollocherebbe nella dimensione consueta della realtà. Ma non riesce ad averla né col denaro che lei accetta e spende con un altro né con una proposta di matrimonio – respinta -, né con un gesto omicida, dal quale si ritrae appena in tempo.

Sopravvissuto ad uno schianto della sua auto contro un platano, ferito e  costretto all’immobilità in un ospedale, Dino giunge finalmente a purificarsi del sentimento che ha alimentato sia la sua noia che il suo dolore.

Dino si accorge che non desidera più possederla: l’ama in modo diverso accettando che viva al di fuori di lui.. Infatti, pensando alla ragazza, scopre di essere contento della sua felicità e capisce che l’avrebbe amata per sempre.

Ricordo benissimo come fu che cessai di dipingere..la noia aveva lentamente ma sicuramente accompagnato il mio lavoro durante gli ultimi sei mesi, fino a farlo cessare del tutto in quel pomeriggio in cui avevo lacerato la tela; un po’ come il deposito calcareo di certe sorgenti finisce per ostruire un tubo e far cessare completamente il flusso d’acqua..

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..Mia madre, come sapevo, non credeva a niente, salvo che al denaro. Ma credeva, tuttavia, come ho già detto, a quello che lei chiamava: “la forma”; la quale, tra l’altro, imponeva di essere “praticante” e, comunque, di rispettare le cose della religione…

..Mi stava adesso molto vicina, quasi incombente, con il busto piegato in avanti e gli occhi fissi su di me, dandomi un senso di squilibrio, per cui pensai di nuovo che era un recipiente, un bel vaso a due anse, snello e pettoruto, colmo di desiderio, che stesse per traboccarmi addosso e sommergermi…..Era un disordine donnesco e bellicoso; il quale discordava curiosamente con l’innocenza infantile e inespressiva del volto. Veramente, Cecilia pareva sempre duplice, ossia donna e bambina nello stesso tempo; e non soltanto nel corpo ma anche nell’espressione e nei gesti…

…E capivo pure che con Cecilia non potevo che annoiarmi o soffrire: finora mi ero annoiato e avevo desiderato, di conseguenza, di lasciarla; adesso soffrivo e sentivo che non avrei potuto lasciarla finché non mi fossi di nuovo annoiato….Mi accorsi che la guardavo con desiderio; e capii che la desideravo non già perché era nuda, bensì perché mentiva….Pensai che lei “era tuta lì”, in quell’atto di abbassare la chiusura lampo, senza margini di autonomia e di mistero, tutta lì e per questo, appunto, inesistente; posseduta in anticipo prima ancora che il rapporto sessuale desse una conferma superflua a questo possesso del sentimento; posseduta e perciò noiosa…

…Ma a partire dal momento che ebbi il sospetto d’essere tradito e questo sospetto mi ebbe improvvisamente trasformato Cecilia da irreale e noiosa in reale e desiderabile, fui preso dalla curiosità di sapere di più sulla sua vita familiare, quasi sperando, attraverso una conoscenza più approfondita, di giungere a quel possesso che il rapporto amoroso mi negava…

…Il tempo di Cecilia e del suo amante non era il mio. Il loro era il tempo calmo, sicuro, regolare dell’amore; il mio quello rabbioso e ineguale della gelosia…Comunque, non ricordo di avere mai amato Cecilia con tanta violenza come in quei giorni in cui la spiavo e sospettavo che mi tradisse…

…Naturalmente, subito dopo l’amplesso, mi accorgevo di non averla posseduta. Ma era troppo tardi: Cecilia se ne andava e io sapevo che il giorno dopo tutto sarebbe ricominciato: l’inutile sorveglianza, il possesso impossibile, la finale delusione…

…Ricordavo tutte le volte che avevo dato del denaro a delle prostitute e mi dicevo che se Cecilia era davvero venale, alla fine avrei provato per lei lo stesso sentimento che provavo per quelle donne dopo che le avevo pagate: un senso di possesso scontato e sovrabbondante, di riduzione della persona che aveva ricevuto il denaro ad oggetto inanimato, di svalutazione completa dovuta, appunto, alla valutazione mercenaria…

…Sì, preferivo sapere Cecilia mercenaria piuttosto che misteriosa; poiché saperla mercenaria mi avrebbe dato un senso di possesso che il mistero mi negava..

Fine modulo

La vita interiore

“ Questo è il mio ultimo romanzo…Scrivere romanzi costa fatica. Una vera fatica fisica…

Queste le parole di Moravia che ha impiegato 7 anni per finire il romanzo  imperniato sulla lucidità e sul dominio razionale delle contraddizioni.

Infatti in apparenza l’opera è la confessione  di una ragazza al narratore. Desidera, la protagonista, confessa la propria ribellione alla famiglia, alla propria classe sociale, alla società. Ma il narratore con opportune domande, riesce a spingerla ad una maggiore sincerità anche se,alla fine, non tira alcuna conclusione, rimanendo affascinato dall’enormità delle rivelazioni che evidenziano eccessi di amore, di furore, di sopraffazioni, di delitti, di innocenze ma anche di colpevolezze di ogni genere.

Il romanzo è il ritratto di una borghesia omicida e nel contempo suicida per odio non solo verso se stessa ma soprattutto verso la vita esteriore.  

Il mio nome è Desideria. E ho avuto una voce…

Tutto è cominciato una notte che avevo una gran fame e mi sono alzata per andare a mangiare qualche cosa in cucina…

…Mangiavo per consolarmi, col cibo, della mia infelicità. E infatti mangiavo anche quando non avevo fame, per una specie di stimolo nervoso un po’ simile a quello che spinge i fumatori ad accendere una sigaretta dopo l’altra..

…Viola non era veramente mia madre. Viola e suo marito mi avevano adottata poco dopo essersi stabiliti a Roma.. La mia vera madre era una donna del popolo che, a quanto pare, si era disfatta di me per essere più libera di fare la vita che le piaceva. Ho il sospetto che questa donna fosse stata cameriera in casa nostra; e che , anche se Viola non era mia madre, suo marito fosse davvero mio padre……Viola era diversa se vista di fronte o di dietro. Se la guardavi di faccia vedevi una donna matura, dal corpo sciupato, smontato, disfatto. Il collo appariva macerato, con 2 o 3 collane di righe torno, torno; dal petto, i seni le pendevano giù simili a 2 sacchetti bruni sgonfi e vizzi, il ventre, forse a causa di un gravidanza interrotta, era tutto un reticolato di pieghe sottili. Ma se le dicevi di voltarsi, allora vedevi la schiena di una donna giovane, sotto i trent’anni. Le spalle, il dorso, le natiche, le cosce apparivano misteriosamente e tuttavia eloquentemente graziose, sensuali, provocanti…