MITOLOGIA

La nascita del mito

Chi sono? Perché mi trovo qui? Da dove provengo? Qual è la mia origine? Chi ha creato il mondo nel quale mi trovo? 

Questi e tanti altri interrogativi l’uomo si è posto sin dalle sue origini.

Guardava il cielo, le stelle, la luna e rimaneva incantato dalla loro bellezza.

Ma aveva anche paura delle belve che potevano sbranarlo, dei fenomeni atmosferici, delle malattie, della morte.

Gli antichi filosofi cercarono di trovare delle risposte che placassero la sete di conoscenza dei loro conterranei, attribuendo facoltà divine alle forze della natura: attribuirono perciò un’anima agli animali, agli alberi, alle rocce, ma anche agli spiriti dei defunti (animismo) che cercavano di propiziarsi con offerte votive e riti particolari.

Attribuendo a tali forze divinizzate una volontà simile a quella umana, crearono poi gli dei a propria immagine e somiglianza (antropomorfismo).

Ma agli dei conferirono anche peculiarità che gli umani non possedevano: erano immortali, giovani e belli; avevano poteri eccezionali ma anche virtù e passioni tipiche dell’uomo: amavano, mangiavano, bevevano, si sposavano, si arrabbiavano, parteggiavano e proteggevano i loro pupilli, combattevano e odiavano chi consideravano loro nemico.

 Col passare del tempo su ogni divinità cominciarono a circolare narrazioni che man mano, passando di bocca in bocca, si arricchivano, dando luogo a un tessuto di favole: i miti.

Alle vicende degli dei si aggiunsero in un secondo tempo anche le imprese di eroi e semidei, esseri al di sopra dell’ordinario, figli di un dio e di un umano, che esemplificano comportamenti e valori, positivi o negativi, da applicare o evitare nella vita quotidiana.

Tali miti, trasmessi dapprima oralmente e noti a tutti, vennero rielaborati in modo personale e con esiti anche molto diversi dai letterati nelle epoche successive.

Tra le varie mitologie la più interessante è da considerarsi quella greca.

 Romani, dopo la sottomissione della Grecia nel 146 a.C., ereditarono da quel popolo un ricco patrimonio di narrazioni sugli dei, sulle origini del mondo e della razza umana e sulle vicende degli eroi che si intrecciano con le tradizioni leggendarie di origine autoctona (es. la storia di Romolo e Remo e la venuta nel Lazio di Enea dopo la distruzione di Troia, da parte dell’esercito greco)

Secondo la mitologia greca in origine c’era il Caos, una materia disordinata che dette origine al:

1. Destino/ Fato: divinità potentissima a cui tutti dovevano obbedire: poteva essere benevola o malevola.

2.Erebo: abisso tenebroso, posto sotto la terra.

3.Notte

4. Moire/ Parche: tre sorelle, figlie della Notte e dell’Erebo, ministre del Destino.

5. Discordia

6.Vecchiaia

Successivamente nacquero divinità più benevole:

Concordia – Amore/ Eros – Giorno – Urano, il Cielo – Gea, la Terra.

Dal Caos nacque il Cosmo, l’Universo ordinato.

Urano sposò Gea ed ebbe molti figli:

1.Titani: di alta statura e forza prodigiosa; erano 6 maschi: Oceano – Ceo –  

              Crios – Iperione – Giapeto – Cronos.

         e 6 femmine: Thea – Rhea – Temi – Mnemosine – Febe – Teti.

Figli di Giapeto, che si era unito all’oceanina Climene, erano: Epimeteo – Atlante, Menezio, Prometeo (che generò Deucalione e fu perciò considerato capostipite del genere umano).

Figlie di Ceo, che si era unito alla sorella Febe, erano: Leto / Latona ed Asteria.

Figli di Iperione, che sposò la sorella Teia, erano: Helios – Selene – Eos.

2.Centimani / Ecatonchiri (giganti con 100 braccia e 50 teste che rappresentavano la violenza dell’acqua) erano 3: Briareo – Cottus – Gyas.

3. Ciclopi: Brionte, il tuono, – Sterope, il lampo, – Arge, il fulmine.

                  Avevano 1 occhio solo in mezzo alla fronte.

Poiché Urano aveva paura dei Centimani e dei Ciclopi, appena nascevano li gettava nel Tartaro.

Allora Gea, la madre, convinse i Titani a detronizzare il padre e diede a Cronos una falce con cui mutilò Urano.

Dal sangue di Urano nacquero:

1. le Erinni/ Furie: Aletto – Tisifone – Megera: erano 3 vecchie orribili, con serpenti per capelli e occhi fiammeggianti. Perseguitavano i colpevoli finchè essi non espiavano le loro colpe.

 2. i Giganti: avevano il corpo enorme e code di draghi al posto dei piedi.

       I più famosi erano: Alcioneo – Porfirione – Efialte – Encelado – Eurito.

3. le Ninfe Meliadi: proteggevano i frassini e col legno facevano i fusti delle lance che adoperavano nelle battaglie.

I Titani, liberati i Centimani e i Ciclopi, elessero re Cronos ma questi, avendo paura di loro, rigettò Centimani e Ciclopi nel Tartaro.

Cronos sposò Rhea / Cibele.

Dal matrimonio nacquero Hestia / Vesta – Demetra/ Cerere – Hera/ Giunone – Hades/ Plutone – Poseidone/ Nettuno – Zeus/ Giove.

Un oracolo però disse a Cronos che sarebbe stato spodestato da un figlio. Per evitare ciò, Cronos, appena nascevano, ingoiava i suoi figli.

Ma Rhea, saputo che stava per nascere un altro bimbo, si nascose in una caverna del monte Ida, nell’isola di Creta: lì partorì Zeus e lo affidò alle Ninfe.

Poi portò al marito una pietra avvolta in fasce che Cronos, credendolo il nuovo nato, subito ingoiò come aveva fatto con i figli precedenti.

Intanto Zeus veniva nutrito col latte della capra Amaltea: le api gli fornivano il miele, le colombe l’ambrosia e un’aquila il nettare, cibo che donava immortalità ed eterna giovinezza.

Per evitare che Cronos sentisse i vagiti del piccolino i Coribanti, i Cureti – sacerdoti di Rea Cibele – danzavano e cantavano, facendo un rumore assordante.

I Ciclopi fornivano al piccolino i fulmini con cui giocare.

Un giorno Zeus ruppe involontariamente un corno di Amaltea.

Per ricompensare l’animale, il dio riempì di frutta e di fiori il corno spezzato e promise alla capra che esso avrebbe dato al suo possessore ogni cosa questi avesse desiderato. Così nacque la Cornucopia.

Divenuto grande, Zeus detronizzò il padre e gli fece rigettare i figli che aveva inghiottito.

Poi divise il potere con i fratelli: a Poseidone assegnò il dominio sul mare, ad Ade quello sull’Averno, il regno dei morti.

Gli antichi avevano collocato la dimora degli dei sull’Olimpo, il monte più alto della Grecia; la sua cima, posta a circa 2918 metri, spesso innevata e coperta da nubi, è nascosta a chi sta a terra. Il monte è situato nella parte nordorientale della Tessaglia. La reggia era stata costruita dal dio Efesto.

Zeus / Giove

La madre con uno stratagemma lo sottrasse al padre che divorava tutti i figli che nascevano per paura di essere detronizzato.

Fu allevato dalle ninfe Adrastea, identificata poi con la capra Amaltea, Melissea e dall’ape Panacri. Divenuto adulto, su consiglio di Meti, diede al padre un farmaco che gli fece vomitare tutti i figli. 

Dopo aver spodestato il padre, divenne signore del cielo e della terra, e padre degli dei e degli uomini.

Aveva la supremazia su tutte le altre divinità e talvolta interveniva anche sui domini dei suoi 2 fratelli, Poseidone cui aveva affidato il dominio del mare e Ade che era il signore del mondo sotterraneo.

Controllava tutti i fenomeni atmosferici: la neve, la pioggia, la grandine, ecc.

Per ammonire gli uomini, con un cenno del capo addensava le nubi, scagliando lampi e fulmini, la sua più terribile arma.

Proteggeva i confini, presiedeva ai giuramenti, concedeva la vittoria agli eserciti: il generale trionfatore gli offriva poi le spoglie dei vinti.

Decideva con somma giustizia: infatti prima di ogni decisione pesava i fatti con una precisa bilancia d’oro; in tal modo premiava i buoni e puniva i malvagi.

Tuttavia anche lui era soggetto ai voleri del Fato, il figlio della Notte.

Conoscendo il passato e il futuro, era anche il Dio dei vaticini.

Gli erano sacre la quercia e l’aquila (simbolo della sua maestà e della sua presenza).

Lo scettro rappresentava il suo potere; con la folgore puniva i malvagi.

Era rappresentato seduto su un trono, con una folta chioma e la barba riccioluta.

In suo onore ad Olimpia, nel Peloponneso, ogni 4 anni venivano celebrate le Olimpiadi a cui partecipavano tutte le poleis greche.

Era particolarmente venerato a Dodona, a Creta, in Tessaglia e in Arcadia.

Aveva sposato Meti che poi divorò per sfuggire ad un oracolo infausto;  poiché la donna era incinta di Atena, Zeus partorì la figlia dalla propria testa.

Sposò poi Era da cui ebbe i figli Ares, Efesto, Ebe, Ilitia.

 Ebbe anche molte avventure amorose, scatenando la gelosia di Era.

Con la titanide Temi generò le Ore e le Moire;

con l’oceanina Eurimone ebbe le Cariti;

da Demetra ebbe Persefone;

da Dione ebbe Afrodite;

con Mnemosine ebbe le Muse;

con Leto ebbe Apollo e Artemide;

dalla pleiade Maia ebbe Ermes;

da Semele ebbe Dioniso;

da Alcmena ebbe Eracle;

da Leda ebbe Elena e Polluce;

da Europa ebbe Minosse, Radamanto e Sarpedone;

da Danae ebbe Perseo;

da Io ebbe Epafo;

dalla ninfa Callisto ebbe Arcade.

I romani lo assimilarono al loro Giove. Insieme a Giunone e Minerva costituiva la Triade Capitolina; in suo onore si celebravano i Giochi capitolini.

Sul Monte Albano era indetta una festa speciale, le Ferie latine in quanto era protettore della Confederazione latina.

Il suo primo santuario, sul Campidoglio, risale a Romolo.

A lui i romani attribuivano vari appellativi Capitolino, Elicio, Optimus, Maximus, Fidius, Stator, Tonans, Pluvius, Feretrius.

Le feste romane in suo onore erano dette Gioviali.

Hera/Giunone

Volendo sposarsi, Zeus aveva posto gli occhi su una dea giovanissima che viveva nell’isola Eubea, in casa della Nereide Teti. Su di lei vegliava ininterrottamente la nutrice Macris. Una volta casualmente la giovinetta si trovò sola in una zona di campagna. Ad un tratto si posò sulla sua spalla un cuculo tremante di freddo: era Zeus sotto mentite spoglie che la chiese in moglie; la fanciulla accettò.

Dalle nozze nacquero 4 figli: Ebe – Ilizia – Marte – Vulcano.

In quanto sorella e sposa di Zeus, era regina degli uomini e degli dei.

Proteggeva i matrimoni, la fedeltà coniugale, le partorienti.

 Le erano sacri l’oca, la cornacchia e il pavone.

Un celebre santuario a lei molto caro si trovava a Lanuvio.

Era soprannominata Matrona, Domiduca, Regina, Moneta, Sospita, liberatrice, Lucina, che dà alla luce, Pronuba, che protegge le nozze.

In suo onore erano celebrate le feste familiari delle Matronalie.

Poiché era molto gelosa un giorno, sospettandolo di tradimento, abbandonò il marito, e tornò nell’isola di Eubea.

Allora Zeus escogitò uno stratagemma: rivestì con abiti da sposa un pupazzo di legno e lo pose su un carro trainato da 4 buoi bianchi. Poi sparse il giro la voce di un suo prossimo matrimonio.

Allora Era salì sul carro, strappò le vesti alla presunta rivale e, accortasi dell’inganno, rasserenata tornò sull’Olimpo.

Era raffigurata con un’abbondante chioma e con occhi molto belli.

Assisa sul trono, in una mano reggeva una melograna, simbolo di fecondità, e con l’altra lo scettro sormontato da un cuculo, annunciatore della primavera.

 Era particolarmente venerata ad Argo, a Samo e Micene.


Pallade Athena/Minerva

Nacque dal cervello di Giove che, accusando un forte mal di testa, si fece spaccare la fronte da Efesto, il fabbro divino. La dea balzò fuori dalla fronte armata di elmo, corazza, scudo, lancia. La nascita avvenne sulle rive del lago Tritonio da cui l’appellativo di Tritogenia.

Era considerata invincibile ed era sempre guidata dal sentimento della giustizia.

Aiutò Zeus nella guerra contro i Giganti.

Concedeva ai popoli vittoriosi i benefici della pace.

Proteggeva medici, maestri, artigiani. I vasai la veneravano come loro benefattrice perché aveva inventato la ruota, utile per modellare i vasi di creta. Per i falegnami aveva inventato la squadra e la riga; per i contadini l’aratro, il rastrello, il baroccio. Le erano sacri la civetta, l’olivo e il dragone.

Era definita Parthènos, cioè Vergine.

Partenone fu chiamato il tempio a lei dedicato sull’Acropoli di Atene: conteneva una grande statua della dea, alta 12 metri, scolpita da Fidia.

Era rappresentata armata, in piedi, rivestita da una tunica lunga fino ai piedi.  Aveva il petto coperto dall’Egida, una pelle di capra con frange dorate.

In mezzo allo scudo c’era la testa mozzata della Medusa che aveva serpi per capelli e rendeva di pietra chi la guardava.

Nella mano sinistra aveva la vittoria alata; con la mano destra era appoggiata ad uno scudo ovale. 

Gli occhi erano tanto cerulei che fu definita   Glaucopide.

Di tutte le città che erano sotto la sua protezione, prediligeva soprattutto Atene.

Lì in suo onore venivano celebrate le feste Panatenee: le Grandi ricorrevano ogni 5 anni; le Piccole ogni anno all’inizio di settembre.

 Entrò nella religione ufficiale di Roma sotto i Tarquini e fu considerata il terzo membro della Triade capitolina.

Fu venerata come dea della sapienza e della saggezza.

Proteggeva artigiani, medici, maestri.

A Roma le furono dedicati vari templi: quello della Triade, sull’Aventino, ai piedi del Celio (Minerva Capta), sull’ Esquilino (Minerva Medica).

In suo onore erano celebrate le feste Quinquatrie.

Su di lei in Grecia circolavano molte leggende.

Avendo scelto l’Attica come regione preferita, Atena si scontrò con Poseidone che anche lui ambiva a tale zona.

Gli dei, chiamati come giudici, stabilirono che la regione sarebbe andata al dio che avesse dato agli abitanti il dono più utile.

 Poseidone donò un focoso cavallo, il primo a comparire sulla Terra, Atena fece spuntare un albero di ulivo. 

E gli dei le attribuirono la vittoria in quanto dall’olivo si ricavava l’olio.

Le fu attribuita l’invenzione del flauto: preso l’osso cavo di un cervo, lo forò con una serie di buchi; soffiando nella canna e otturando alternativamente i buchi, ottenne delle bellissime melodie. Subito si mise a suonare davanti agli dei ma Afrodite ed Era la derisero perché per soffiare nello strumento, Atena aveva dovuto gonfiare le guance, rendendosi poco piacente.

 Mortificata dai motteggi, la dea fuggì via. Passando davanti ad un ruscello vide la propria immagine sgraziata riflessa nelle acque e, indispettita gettò via il flauto.

Come protettrice dei lavori femminili aveva tessuto con le proprie mani la veste nuziale di Era in modo tanto mirabile che tutte le donne della terra riconobbero nella dea la loro bravissima maestra. Solo una giovane della Lidia, Aracne, sostenne di essere più brava della dea e la sfidò.

Le due donne si posero all’opera davanti ai rispettivi telai.

 Atena raffigurò l’Olimpo con tutti gli dei; Aracne alcune scene d’amore.

Alla fine la dea, non avendo trovato alcun difetto nell’opera della giovane, accecata dall’invidia, strappò la tela della ragazza.

Poiché la poveretta voleva impiccarsi, Atena la trasformò in ragno.

Un giorno Atena, mentre era immersa nelle acque di un fiume, vide passare il vecchio indovino Tiresia che, essendo assetato, si avvicinò al fiume per bere. La dea sdegnata per essere stata vista da un mortale, toccò gli occhi dell’uomo e lo rese cieco.

Dai Romani fu identificata con Minerva.

Febo/ Apollo

Zeus ebbe molti amori. Un giorno si innamorò di Leto (chiamata Latona dai Romani), simbolo della notte, una dea appartenente alla stirpe dei Titani: il padre era Ceo, la madre Febe, la sorella di Rhea e Temi. 

Dalle loro nozze a Delo, ai piedi del monte Cinto, nacquero Artemide e Apollo, cioè la Luna e il Sole.

Giunone, gelosa, le mandò contro il serpente Pitone ed impose alla Terra di non darle alcun rifugio.

Leto vagò in ogni luogo finché, sfinita, giunse in un’isola natante in mezzo alle Cicladi.

L’isola era Asteria, un tempo dea e sorella di Leto.

Asteria, avendo rifiutato l’amore di Zeus, era stata tramutata in quaglia; l’animale, precipitando nel mar Egeo, si era mutato nell’isola di Asteria detta anche Ortigia, cioè isola della quaglia.

Nell’isola Leto dette alla luce 2 gemelli: Artemide e Apollo.

 Allora Zeus fissò l’isola al suolo e, poiché era circonfusa di luce, fu chiamata Delo, cioè luminosa.

Apollo, in quanto dio del Sole, dai poeti fu identificato con Elios.

Elios ebbe il figlio Fetonte e varie figlie, le Eliadi: Circe – Eeta – Faetusa – Pasifae.

Quando Apollo vide la luce, Temi scese dall’Olimpo e gli portò nettare e ambrosia. Ma crescendo, Apollo chiese arco e frecce affermando che avrebbe potuto vaticinare il futuro. I cigni che Zeus gli aveva donato alla nascita, lo portarono nel paese degli Iperborei e poi nella Focide, ai piedi del monte Parnaso. Qui, in un’orrida caverna   trovò Pitone che aveva insidiato la madre incinta; con le sue frecce uccise l’abominevole serpente e prese possesso dell’oracolo custodito dal mostro.

Da allora la caverna divenne l’oracolo di Delfi. Da alcuni crepacci della roccia uscivano vapori che inebriavano la sacerdotessa Pizia che, assisa su un tripode, emetteva oscuri vaticini.

Per espiare il peccato di aver ucciso un mostro che era figlio di Gea, Apollo trascorse in esilio 9 anni in Tessaglia e si pose al servizio di Admeto, re di Fere, che lo nominò guardiano dei suoi cavalli e buoi. Apollo rese molti servigi al suo padrone.

1.Admeto si era innamorato di Alcesti ma il padre Pelia aveva destinato la fanciulla a chi si fosse presentato su un carro tirato da leoni. Apollo allora domò due leoni che trascinarono un carro guidato da Admeto. In tal modo i due poterono sposarsi.

Poiché la camera degli sposi era invasa da rettili velenosi, Apollo intervenne e mise in fuga le bestie.

Un giorno Thanatos si presentò alla reggia per portare Admeto nell’Erebo. Apollo convinse il dio infernale a lasciar vivere il re se qualcuno si fosse offerto di morire al suo posto. Ma nessuno, neppure i vecchi genitori, però accettarono lo scambio. L’unica fu Alcesti, che offrì la propria vita in cambio di quella del marito. Per fortuna passò di lì Eracle che riuscì a strappare la donna dalle grinfie di Thanatos, restituendo la vita a lei e al marito.

 Da Alcesti Admeto ebbe i figli Eumelo e Perimele.

Un giorno Apollo mentre era lungo le rive del fiume Peneo, vide una splendida fanciulla: Dafne, figlia di Peneo, protettore del fiume. La giovane disdegnava l’amore, preferendo dedicarsi alla caccia. La fanciulla, per sfuggire al dio che la inseguiva, cominciò a correre come una furia, chiedendo aiuto agli dei. Allora Gea, impietosita, la trasformò nella pianta di alloro. 

Da allora Apollo decise che i rami dell’albero avrebbero incoronato la fronte di poeti e guerrieri valorosi.

Giacinto, figlio di Amicla e Diomeda, era un giovane assai bello. Divenuto amico di Apollo spesso col dio presso il fiume Eurota si esercitava al lancio del disco.

Ma Zefiro, geloso della preferenza che Apollo accordava al giovinetto, col suo soffio spinse contro la testa di Giacinto il disco che il dio aveva lanciato. Il giovinetto morì ma dalla sua ferita Apollo fece nascere il fiore di giacinto.

Fetonte era figlio di Apollo e della ninfa Climene, figlia di Minia.

Un giorno i compagni di gioco del ragazzo misero in dubbio che Fetonte fosse figlio di Apollo. 

Allora il giovinetto andò dal padre e gli chiese, per dimostrare che era figlio di un dio, di guidare il carro del Sole.

Invano Apollo cercò di dissuaderlo mostrandogli la pericolosità della guida. Ma il giovane insistente tanto che il padre lo accontentò.

Purtroppo, però, Fetonte, data la giovane età, non riuscì a governare con perizia i 4 cavalli che trascinavano in carro e Fetonte precipitò nel fiume Eridano, il Po.

  Poiché le Eliadi, le sorelle di Fetonte, piangevano disperatamente per la perdita del loro consanguineo, Zeus, impietosito, le tramutò in pioppi.

 A Roma ad Apollo venivano attribuite alcune capacità: di dare la salute fisica, di vincere le malattie, di proteggere i campi, i pastori, gli amanti della musica, del canto e della poesia.

Apollo, pur essendo il dio della salute, poteva anche mandare malattie scoccandole col suo arco.

Tantalo, figlio di Zeus e della ninfa Plute, era un ricco re che viveva in Frigia.

 Era benvoluto dagli dei tanto che spesso era invitato ai loro banchetti.

Un giorno però si rese colpevole di un misfatto: per saggiare l’onniscienza degli dei, offrì loro in pasto le carni del figlio Pelope; a causa di ciò fu gettato nel Tartaro dove ebbe un crudele supplizio: giaceva in una palude presso alcuni alberi carichi di frutta. Era continuamente tormentato dalla fame e dalla sete, ma ogni volta che si avvicinava ai frutti o all’ acqua, questi si ritiravano.

Secondo altre versioni fu condannato ad avere un macigno sempre incombente sul suo capo.

Tantalo aveva sposato Taigete, una delle Pleiadi, da cui aveva avuto molti figli, tra cui Pelope e Niobe.

Niobe aveva sposato Anfione, re di Tebe; da lui aveva avuto 7 maschi e 7 femmine. Costoro erano tanto belli che Niobe si vantava della sua progenie e si definiva più prolifica di Leto che aveva avuto solo due figli.

Questo vanto arrivò alle orecchie di Apollo che decise di punire la donna che aveva oltraggiato sua madre.

 Con le frecce uccise i 7 figli maschi che erano andati a caccia sulle falde del monte Citerone.

Niobe, pur addolorata ed adirata, come rivalsa, asserì che le rimanevano ancora le 7 figlie femmine. Allora Artemide uccise con le frecce le fanciulle che erano andate sul Citerone a piangere la morte dei fratelli.

Davanti a tutti i figli morti Niobe si disperò tanto che Zeus ebbe misericordia di lei (che, girovagando disperata era giunta in Lidia, ai fianchi scoscesi del monte Sipilo); la trasformò in una roccia che ancora oggi è pervasa da gocce d’acqua che la rendono umida.

Il dio silvestre Pan suonava la siringa pastorale tanto bene che volle sfidare Apollo. Fu nominato come giudice Mida, re della Frigia, figlio di Gordio. Il re, pur essendo ricchissimo, era sempre più avido di ricchezze. Mida chiese a Dioniso di far tramutare in oro tutto ciò che toccava. Ma ahimè da quel giorno non poté più né mangiare né bere perché tutto si trasformava nel dorato metallo. Allora Mida supplicò Dioniso di riprendersi il dono; il dio gli consigliò di immergersi nel fiume Pattolo e finalmente Mida fu salvo. Da quel giorno le acque del fiume Pàttolo trasportarono pagliuzze d’oro.

La gara tra Pan e Apollo ebbe luogo. Mida attribuì la vincita a Pan. Allora Apollo, per vendicarsi, fece spuntare delle orecchie d’asino sul capo del re. Mida, per la vergogna, nascose la testa sotto un berretto frigio; fu scoperto dal suo barbiere al quale il re impose il silenzio, pena la vita.  Ma il barbiere, per liberarsi del segreto, scavò una buca e lì dentro urlò il segreto; poi ricoprì il fosso con la terra estratta per lo scavo: dal terreno, però, in breve nacquero molte canne. Poiché il vento le faceva muovere, col loro oscillare raccontarono a tutti il segreto di Mida.

Nel frattempo il satiro Marsia aveva trovato per terra il flauto che Pallade Atena aveva gettato via. Essendo prodigioso, lo strumento emetteva suoni assai melodiosi. Fidando su questo, Marsia volle sfidare Apollo in una gara.

Arbitre furono le Muse che decretarono la vittoria del dio.

Allora Apollo, per punire la tracotanza del satiro, lo appese ad un albero e lo scuoiò vivo.

Uccise anche con le sue frecce il gigante Tizio che aveva attentato alla virtù di Leto e gli Aloidi, due giganti gemelli, figli di Poseidone e di Ifimedea, che, bramosi di dare la scalata all’Olimpo, avevano sovrapposto il monte Pelio al monte Ossa.

Apollo era rappresentato come un giovane sereno, dai capelli fluenti su cui poggiavano mirto e alloro. In mano aveva la cetra. Gli erano cari il cigno, lo sparviero, il lupo, le cicale.

Ebbe molti amori con Ninfe, Muse e donne mortali:

la ninfa Acanto, poi trasformata nell’omonimo fiore;

Cirene, da cui ebbe il figlio Aristeo;

Cassandra, la sfortunata figlia di Priamo, re di Troia e di Ecuba. Per non aver corrisposto il dio, fu da lui condannata a vaticinare il futuro ma a non essere creduta;

 Acacallide, da cui ebbe Mileto;

Coronide, da cui ebbe Asclepio;

Driope, da cui ebbe Anfisso.

Amò anche gli efebi Giacinto e Ciparisso, trasformati poi in piante.

Gli erano dedicati molti santuari ma il più famoso era quello di Delfi, dove in suo onore si svolgevano i giochi Pitici.

A Roma si celebravano i Ludi Apollinares e al tempo di Augusto i Ludi Saeculares.

Apollo come dio della poesia soggiornava sul Parnasso, ai cui piedi c’era il santuario di Delfi. Mentre il dio suonava la lira presso la fonte Castalia, le Muse danzavano e cantavano in suo onore. Come capo delle Muse era detto Musagete.

Le Muse erano 9: figlie di Zeus e Mnemosine, erano nate nella Pieria, ai piedi del monte Olimpo. Ognuna aveva una specifica peculiarità.

Clio – ispiratrice della storia, era rappresentata con un rotolo di carta in mano.

Euterpe – proteggeva la musica e recava in mano un flauto.

Talia – proteggeva la commedia, ed era rappresentata con una maschera comica in mano e un bastone da pastore; in testa aveva una corona di edera.

Melpòmene – musa della tragedia, era raffigurata con una maschera tragica, la clava di Eracle e una spada. In testa aveva pampini, ai piedi calzava i coturni.

Tersìcore – era la musa della danza e della poesia corale; in mano aveva la lira e il plettro, sul capo una ghirlanda di fiori. Era rappresentata nell’atto di danzare.

 Eràto – era la musa della poesia lirica, amorosa e mimica, aveva in capo una corona di mirto e di rose.

Polimnia – era la musa degli inni civili e religiosi e dell’oratoria.

Urania – era la musa dell’astronomia; in mano aveva il mappamondo e il compasso.

Calliope – era la musa della poesia epica; in mano aveva lo stilo e una tavoletta spalmata di cera.

Le Muse erano le ispiratrici dei poeti, veniva punito chi le offendeva.

Infatti le 9 figlie di Pierio, re della Tessaglia, furono trasformate in gazze per aver voluto paragonarsi alle Muse: per questa vittoria le Muse spesso erano denominate Pieridi.

Esse frequentavano anche il monte Pindo e l’Elicona e viaggiavano su Pegaso, un cavallo alato. A loro erano consacrati l’alloro e le palme.

I Romani le chiamavano Camene, cioè cantatrici.

Artemide/ Diana

Sorella gemella di Apollo, come dea della caccia, dei boschi e della vegetazione, era accompagnata dalle ninfe dei boschi e seguita da una muta di cani. Era rappresentata con una veste corta, l’arco e la faretra. Sul capo aveva una corona di stelle o una falce di luna. Le erano sacri la cerva, il cinghiale, il cane, il lupo, l’alloro, il cedro, l’olivo.

Come dea della salute e poteva mandare contagi o guarire i malati.

Col tempo fu identificata con la Luna, che era figlia del tiranno Iperione e di Thea e percorreva il cielo su un carro tirato da mucche bianche.

Artemide veniva spesso invocata anche col nome di Ecate, cioè signora della notte, e dimorava nell’Erebo.

In Tauride si venerava una Artemide Tauria a cui si facevano anche sacrifici umani. Agamennone fece venire la figlia Ifigenia in Aulide dove la flotta greca non riusciva a salpare per la Troade, col pretesto di darla in sposa ad Achille. In realtà la fanciulla doveva essere sacrificata ad Artemide. Ma la dea, mossa a compassione, sostituì con una cerva Ifigenia e la trasportò in Tauride dove divenne sua sacerdotessa.

 A Roma col nome Diana, fu considerata un’antica divinità italica che proteggeva i boschi ed era patrona degli schiavi e del popolo. Il suo nome sarebbe derivato da dies, giorno. All’epoca di Servio Tullio le fu dedicato un tempio sull’Aventino; altri templi erano a Capua (santuario di Diana Tifatina) e a Nemi (santuario di Diana Aricina).

Molte le leggende su Artemide:

1.Atteone, figlio di Aristeo e di Antinoe, era un indomito cacciatore tebano. Era stato addestrato alla caccia dal centauro Chirone. Una notte, inseguendo un cinghiale, sulle pendici del monte Citerone, vide davanti ad un laghetto Artemide che con le sue ninfe faceva un bagno. La dea alla vista dell’uomo arrossì per essere stata vista da un mortale; attinse con la mano un po’ d’acqua e la scagliò contro il malcapitato che fu subito trasformato in cervo. I cani, non riconoscendo, il padrone lo sbranarono.

2.Orione era figlio di Hirieo, re di una città della Beozia. Divenne compagno di Artemide nella caccia e la dea, innamoratasi, voleva sposarlo. Apollo cercò di dissuadere la sorella ma non riuscendoci, escogitò un trabocchetto. Avendo visto il giovane immergersi nelle acque del mare, esortò la sorella a colpire con una freccia il punto nero che emergeva dalle onde. Così Orione fu ucciso. Poiché Artemide ne piangeva la misera morte, Zeus trasformo Orione in una costellazione.

3.Artemide disdegnava gli omaggi degli uomini preferendo rimanere casta. Ma un giorno si innamorò di un pastore bellissimo, Endimione, che pascolava sul monte Latmo in Caria. Il giovane, terrorizzato dall’idea di invecchiare, chiese e ottenne da Zeus di poter dormire un sonno eterno. Perciò ogni notte la dea scendeva nella caverna dove dormiva Endimione e lo guardava, accarezzandolo con la sua pallida luce.

Uccise il gigante Grazione e provocò la morte degli Aloidi.

Con Apollo uccise il gigante Tizio che insidiava la loro madre.

Indusse Asclepio a risuscitare Ippolito, ingiustamente accusato da Fedra.

Trasformò la ninfa Callisto in orsa per punirla di essersi fatta sedurre da Zeus.

 Mutò Siprete in donna perché colpevole di averla vista mentre faceva il bagno.

Hermes/ Mercurio

Era figlio di Zeus e Maia, la più bella delle Pleiadi, le 7 figlie del titano Atlante e di Pleione. Perseguitate da Orione, furono tramutate in colombe e assunte in cielo come costellazioni. Per tale motivo il dio era definito “nipote di Atlante”.

Era nato in una grotta sul monte Cillene, al confine tra Arcadia e Acaia; per tale motivo era denominato Cillenio.

Suoi attributi erano la velocità, la leggerezza, l’incostanza.

Appena nato, si tolse le fasce e uscì dalla caverna. Incontrata una tartaruga, le tolse il guscio e sulla cavità di esso mise 7 corde con le interiora di un bue, fabbricando così una cetra.

Un giorno rubò 50 capi di bestiame, proprietà degli dei, che Apollo faceva pascolare in Pieria, nella Tessaglia. Poi per non farsi scoprire, trascinò le bestie per la coda per far credere che i buoi rientrassero e non si fossero allontanati dal loro posto.

Giunto sulle rive del fiume Alfeo, in Elide, per nascondere il bestiame, lo fece entrare in una spelonca molto profonda. Poi rientrò nella grotta nativa e si rimise nella culla fingendo di dormire. Ma Apollo, come dio dei vaticini, identificò subito l’autore del furto e si recò nella grotta di Hermes. Il fanciullo, nonostante l’evidenza, adduceva mille scuse ma, poiché Apollo non si lasciava convincere dalle sue giustificazioni, si mise a suonare la cetra. Apollo rimase affascinato e, desiderando avere lo strumento, si convinse a fare un baratto: la cetra in cambio dei 50 buoi. Raggiunto l’accordo, i due diventarono amici ed Apollo regalò ad Hermes una verga magica, il caduceo, intorno alla quale più tardi vennero attorcigliati 2 serpenti d’oro.

Poiché Hermes era l’araldo degli dei, da Zeus ebbe il petaso, i sandali alati e il caduceo che divenne poi anche il simbolo dei messaggeri.

Spesso Hermes riceveva da Zeus o dalle altre divinità missioni importanti che poteva svolgere a sua discrezione. 

Questi alcuni dei suoi incarichi:

1.liberò Ares, caduto prigioniero di Oto e di Efialte, due giganti gemelli;

2.persuase Hades a restituire per 6 mesi Persefone alla madre Demetra;

3.condusse Era, Afrodite e Atena sul monte Ida, nella Troade, per sottostare al giudizio di Paride;

4. guidò il re Priamo nella tenda di Achille perché riscattasse il cadavere del figlio Ettore;

5.protesse Ulisse contro i raggiri di Circe;

6.sottrasse la giovenca Io all’assidua vigilanza di Argo dai 100 occhi;

7. evitò al piccolo Dioniso l’ira di Era, portandolo da Acamante;

8. raggirò il mostro Delfine e con Pan recuperò e riattaccò i tendini di Zeus;

9. procurò il Vello d’oro a Nefele;

10. incatenò Prometeo sul monte Caucaso;

11. vendette Eracle alla regina Onfale.

Ebbe molti figli:

Ermafrodito da Afrodite;

Cefalo da Erse;

Autolico da Chione;

Evandro dalla ninfa Carmenta;

Pan dalla ninfa Driope;

Era anche il dio dei sogni che erano considerati dei messaggi di Zeus.

Se qualcuno non prendeva sonno, gli poteva chiudere gli occhi toccandoli con la verga.

Portava inoltre le ombre dei morti nell’Erebo e per tale incarico era denominato Psicopompos, cioè conduttore di anime.

Era anche il dio dell’eloquenza sottile e persuasiva.

Poiché era sempre in viaggio, fu considerato il patrono dei viaggiatori e della sicurezza delle strade. Perciò nei punti in cui una strada si biforcava in suo onore veniva posta una Erma, una pietra quadrangolare sormontata dalla testa del dio.

Soffiava sulle vele delle navi per agevolare il loro viaggio.

Come dio dei commerci possedeva astuzia ma anche mancanza di scrupoli. Perciò era anche protettore di imbroglioni e ladri.

Gli attribuivano l’invenzione dell’alfabeto, dei numeri, della musica, dell’astronomia, degli esercizi ginnici, dei pesi e delle misure.

Era rappresentato giovane, snello e col volto benevolo. Ai piedi indossava i talari, calzari alati, in testa aveva un cappello a tesa larga, il pètaso, a cui furono aggiunte successivamente due ali; in mano aveva il caduceo.

A Roma era venerato col nome di Mercurio come dio del commercio. In suo onore fu fondato il collegio dei commercianti, i cui componenti erano chiamati mercuriales.

Ares/ Marte

Figlio di Zeus e di Era, era dio della guerra. Litigioso e propenso alle contese, era accompagnato dalla sorella Iris, la discordia, e da Deimos, lo spavento e Phobos, il terrore, figli suoi e di Afrodite. Un giorno Zeus disse che Ares era il più odioso tra gli dei. Il suo culto in Grecia si limitava alla sola Sparta.

Tra i pochi i miti a lui attribuiti, Omero nell’Iliade racconta che Oto ed Efialte, due giganti di 9 anni, figli di Aloeo, avevano catturato Ares e, dopo averlo incatenato, lo avevano rinchiuso in un vaso di bronzo per 13 mesi. Essi volevano vendicare la morte di Adone. La matrigna dei due ragazzi rivelò il nascondiglio ad Hermes che liberò il fratello appena in tempo perché non morisse. Più tardi i giganti furono uccisi da Apollo.

Ares aveva avuto da Pirene il figlio, Cicno, che viveva assalendo e depredando i viaggiatori. Un giorno, avendo tentato di aggredire Eracle, fu da questo abbattuto. Allora Ares mutò il figlio in cigno.

Poseidone aveva un figlio, Alirrozio che si innamorò di Alcippe, la figlia di Ares e di Aglauro.Ares, però, uccise il giovane dopo averlo visto chiacchierare con la propria figlia. Poseidone allora convocò i 12 Dei maggiori dell’Olimpo affinché giudicassero Ares per il delitto commesso. La riunione, avvenuta su una collina di Atene, portò all’assoluzione di Ares. La collina da allora fu chiamata “collina di Ares” cioè Areopago. E qui gli ateniesi istituirono la più alta Corte di giustizia per giudicare gli assassinii.

Ebbe intensa attività amorosa:

dalla relazione clandestina con Afrodite ebbe Armonia, Eros, Anteros oltre ai due precedentemente citati;

da Aglauro ebbe Alcippe;

dalla ninfa Cirene ebbe Diomede di Tracia;

da Pelopia ebbe Cicno;

da Otrera ebbe Pentesilea, regina della Amazzoni;

dalla ninfa Asterope ebbe Enomao.

A lui erano anche attribuiti come figli Driante e Meleagro.

Ares era rappresentato come un giovane robusto, dal volto accigliato, con la testa coperta con l’elmo, innamorato di Afrodite.

I Romani lo identificarono con Marte, considerato un dio benevolo che difendeva gli uomini da ogni danno e allontanava lupi e contagi dai campi e dai greggi.

I Fratelli Arvali, durante le loro feste, Ambarvalia, lo invocavano come protettore dei seminati. Ogni anno il 1marzo, i sacerdoti Salii lo onoravano come difensore di Roma,portando in processione gli scudi del dio e celebrando in suo onore solenni banchetti. Considerato padre di Romolo e Remo, con Giove e Quirino (come venne chiamato Romolo una volta assurto al cielo) formava una triade che veniva invocata nelle battaglie; Roma gli dedicò il Campus Martius e altri templi.

Aveva l’appellativo di Gradivo, cioè colui che si getta nella mischia. Gli veniva attribuita come moglie, Neriene, la “robusta”. Gli erano sacri il lupo e il picchio. Aveva numerosi templi: il più importante si trovava sulla via Appia, accanto alla Porta Capena. Lì era custodito l’ancile, uno scudo che secondo la tradizione era caduto dal cielo. La ninfa Egeria aveva detto che era un dono del dio ai Romani e che dalla sua conservazione dipendeva il futuro di Roma. Perciò, per evitare che fosse rubato, il re Numa Pompilio ne aveva fatti costruire altri 11 identici al precedente. Quando un dux doveva partire per la guerra, si recava nel tempio e toccava i 12 scudi; poi invocava il dio dicendo “Marte, vigila sulla nostra salvezza”

In onore del dio nel mese di marzo si celebravano le feste Equiria, perché Marte era anche protettore dei cavalli.

Efesto/ Vulcano

Era il dio del fuoco. Nato zoppo; secondo la tradizione, era stato gettato dalla madre Era giù dall’Olimpo, poiché lo riteneva brutto. Rotolando finì in mare e fu allevato in una grotta sottomarina dalla nereide Teti e dall’oceanina Eurinome.

Secondo un’altra tradizione sarebbe stato scagliato giù dal padre Zeus, dato che nei litigi tra i genitori il dio prendeva sempre le difese della madre. Rotolando sarebbe finito nell’isola di Lemno, azzoppandosi nella caduta.

Fu accolto dai Sintii e da un misterioso nano avrebbe appreso l’arte di lavorare i metalli. Così aprì un’officina di fabbro utilizzando il fuoco del vulcano che era lì.  Qui rimase 9 anni lavorando ma aveva il desiderio di tornare sull’Olimpo.  Allora costruì un magnifico trono d’oro e lo inviò alla madre. Era si sedette subito ma due potenti braccia di ferro le impedirono di alzarsi. Gli altri dei non furono in grado di aiutarla. Allora Zeus richiamò il figlio. Ma Efesto, prima di liberare la madre, pretese di tornare sull’Olimpo e di avere in moglie Afrodite, la più bella delle dee.

Sull’Olimpo Efesto aprì un attrezzatissimo opificio. Tra gli altri oggetti fabbricò:

  • lo scettro e il trono d’oro di Zeus.
  • una bellissima collana come dono nuziale per Armonia, figlia di Ares e Afrodite quando la fanciulla sposò Cadmo.
  • due corazze d’oro per Heracle e Diomede.
  • l’armatura completa e lo scudo per Achille e più tardi anche per Enea.
  • ad Apollo costruì lo splendido Palazzo del Sole.  E per sé un palazzo di bronzo e oro. 
  • inventò una poltrona per le riunioni degli dei che accorreva da sola quando un dio la chiamava.
  • modellò statue a cui dava movimenti vitali.
  • per Eete, re della Colchide, fabbricò i buoi che lanciavano fiamme dalle narici.
  • per ordine di Zeus diede forma e vita a Pandora.

Lavorava anche sulla Terra nel luogo in cui c’era un vulcano ma i suoi laboratori principali si trovavano a Lemno dove era aiutato dai Cabiri, e nell’Etna dove era aiutato dai Ciclopi con i quali arroventava i fulmini di Zeus.

Era considerato un benefattore dell’umanità in quanto mostrò l’immensa potenza del fuoco e l’arte di fondere e lavorare i metalli.

Era rappresentato come un robusto artigiano con la barba e i capelli scarmigliati, sormontati da un cappello di cuoio senza tesa: era rotondo e terminava a punta.

Aveva una tunica corta, senza maniche che lasciava scoperta la parte destra per avere maggiore libertà di movimento. Nella mano destra aveva un martello, nella sinistra una tenaglia.

Anche se sgraziato, sposò donne bellissime: Aglaia e Afrodite. Quest’ultima, però, lo tradì spesso con Ares.  Avvertito da Elio, preparò una leggera rete di oro con cui imprigionò gli amanti che erano sdraiati sul letto. Poi chiamò tutti gli altri dei perché vedessero con i propri occhi il tradimento. Poi, pregato Poseidone, si convinse a liberare i due.

Gli furono attribuiti alcuni figli: i Cabiri, Ardalo, Perifete, Erittonio, Palemone,   

Ad Atene la sua statua era posta accanto a quella di Atena, la dea delle arti. A loro erano dedicate feste comuni tra cui la corsa con le fiaccole.

I romani lo avevano chiamato Vulcano ma anche Mulciber, cioè fonditore. Nel culto domestico era affiancato a Vesta. All’aperto sul Volcanal gli si tributavano onori e le sue feste erano i Volcanalia, celebrate il 23 agosto.

Afrodite/ Venere

Era la dea della bellezza e dell’amore. Secondo Omero era figlia di Zeus e della ninfa Dione; invece secondo Esiodo sarebbe nata in primavera dalla spuma del mare (da cui Afrodite, dal greco afros, spuma).

Emersa dalle onde sopra una conchiglia di madreperla, fu portata da Zefiro nell’isola di Cipro (per cui era denominata Anadiomene, l’emersa, e Ciprigna).

Dapprima, dea della luce, poi fu dea della bellezza e dell’amore. Appena Afrodite camminava i fiori spuntavano al suo passaggio.  Le vennero incontro le Ore, le Cariti, Peito, cioè la persuasione, Potos, cioè il desiderio. Himeros, cioè la brama.

 Essi la vestirono, le fornirono una bellissima cintura, orecchini d’oro e gemme, braccialetti, collana splendente.

Dal cielo scese un carro gemmato trainato da due colombe che trainarono la dea in cielo.  Sull’ Olimpo tutti gli dei, riuniti in consesso, al suo apparire si alzarono in piedi e la applaudirono. Solo Era ed Atena non lo fecero in preda alla gelosia.

Ebbe numerose storie amorose anche con mortali:

  • Amò Nerite fino a quando Zeus la chiamò all’Olimpo e le fece sposare Efesto come premio perché il dio gli aveva fabbricato i fulmini con cui aveva sconfitto i Giganti.
  • Si unì ad Ares da cui ebbe i figli Eros, Armonia, Antero, Deimo, Fobo.
  • Da Ermes ebbe Ermafrodito.
  • Da Dioniso ebbe Priapo.
  • Tra gli umani amò Anchise da cui ebbe Enea.
  • Dall’argonauta Bute ebbe Etrice.

Il suo culto era di origine orientale. I Fenici la chiamavano Astarte e la introdussero a Cipro e di lì a tutta la Grecia. Era onorata a Cipro, Pafo, Citera, Cnido, Idalia.

Le erano sacri: il mirto, la rosa, il melo, il papavero, il passero, la lepre, il cigno, il delfino, e soprattutto la colomba.

La dea era rappresentata con grandi occhi soavi e dolci. Sui veli aveva una cintura

contenente tutte le grazie, il sorriso, i sospiri degli innamorati, ecc.

Numerose le statue a lei dedicate: Venere dei Medici pare copia della Afrodite di Cnido di Prassetele; la Venere di Milo, scolpita nel IV sec.a.C.

Dopo qualche tempo sul monte Pelio a Ftia si celebrò il matrimonio tra la nereide Teti e Peleo, re dei Mirmidoni. Tutti gli dei erano stati invitati alle nozze, tranne Eris, la discordia. La dea, per vendicarsi, gettò sulla mensa una mela d’oro con su scritto “Alla più bella”.

Era, Afrodite e Atena, considerandosi bellissime, volevano la mela.

 Per evitare risse, Zeus ordinò che Paride avrebbe fatto da giudice.

 Il giovane era figlio di Priamo, re di Troia e di Ecuba. La madre, mentre era incinta, aveva sognato che il nascituro avrebbe portato alla rovina la città. Perciò, appena nato, il bimbo fu affidato al pastore Agelo che aveva l’ordine di abbandonare il piccolo sul monte Ida. Il pastore obbedì ma dopo 5 giorni tornò sul monte e trovò che il neonato veniva allattato da un’orsa. Allora prese il bimbo e lo allevò come se fosse suo. Paride crebbe facendo il pastore. Quando le tre dee incontrarono il giovane a cui   Ermes, consegnatagli la mela, aveva riferito che per volere di Zeus il pomo fosse attribuito alla più bella, Paride rimase perplesso. Allora ciascuna dea, per farsi assegnare la mela, gli fece delle promesse: Atena gli avrebbe dato la saggezza, Era il dominio dell’Asia, Afrodite la donna più bella del mondo.  Paride allora consegnò il pomo ad Afrodite. Questo fatto causò la guerra di Troia nella quale Afrodite parteggiò per i troiani e avvolse nella nebbia il duello tra Paride e Menelao salvando così il suo protetto. Protesse anche Enea che stava per soccombere per mano di Diomede. Quest’ultimo allora, assecondato da Atena, ferì la dea ad una mano.

Afrodite era venerata con i nomi di Pandemia, dea dell’amore sensuale; Urania, dea dell’amore casto e puro, Anadiomene, dea che emerge dalle onde.

Suoi appellativi erano, in base al luogo del culto: Ciprigna, Ceterea, Cnidia, Acidalia, Amatusia, Pafia, ecc.

Adone – era figlio di Cinira, re di Cipro e sacerdote di Afrodite e di Mirra che, per sfuggire al crudele destino, aveva ottenuto dagli dei di essere trasformata nell’albero di mirra, una pianta da cui sgorga una resina dal profumo amaro.  Adone nacque in primavera dall’albero che si aprì per farlo uscire. Afrodite raccolse il bimbo, lo chiuse in un cofano e lo diede a Persefone, dea dell’Erebo, perché lo allevasse.  Il bimbo crebbe e diventò bellissimo. Perciò Afrodite scese nell’Erebo per riprenderselo ma Persefone non glielo restituì perché si era affezionata. Allora Zeus decise che per 6 mesi il giovane sarebbe rimasto nell’Erebo e per altri sei sarebbe salito sulla Terra.

Un giorno, però, mentre passava l’estate sulla terra, Adone che stava cacciando sui monti del Libano, fu assalito ed ucciso da un cinghiale. Afrodite pianse per il giovane e dalle sue lacrime nacque l’anemone. In onore del giovane le donne celebravano le feste Adonie, che duravano 2 giorni: nel primo si celebrava la morte con lacrime e riti funebri, nel secondo c’erano manifestazioni di gioia per celebrare la sua resurrezione.

Su Afrodite circolavano vari miti:

– Punì la musa Clio che aveva criticato l’eccessivo amore per Adone;

– punì Ippolito, figlio di Teseo, che disprezzava l’amore,

–  la stessa cosa fece con Pigamalione, re di Cipro e abilissimo scultore che non aveva tempo per l’amore. Allora la dea fece sì che si innamorasse di una sua scultura raffigurante una fanciulla. Pigmalione smaniava d’amore e supplicava la dea di aiutarlo. Afrodite alla fine si intenerì e rese viva la statua. Lo scultore la sposò e da loro nacque Pafo.

Afrodite ebbe vari figli:

  • da Anchise, principe troiano, ebbe Enea;
  • da Dioniso ebbe Imene, dio che veniva invocato dio durante le nozze;
  • da Marte ebbe Eros e Antero;

Quando nacque Eros, la madre si lamentò con la dea Temi perché il figlio non cresceva. Temi le disse che per farlo crescere avrebbe dovuto avere un fratello, Così Afrodite fece nascere Antero, cioè colui che ricambia l’amore. Il mito sta a significare che l’amore, per crescere, dev’essere ricambiato.

Eros, che i Romani identificarono con Cupido, era rappresentato come un fanciullo di 8/ 9 anni munito di arco e frecce. Talvolta aveva gli occhi bendati per indicare che l’amore è cieco. Chiunque fosse colpito dalla sua freccia si innamorava. Era trainato da un carro tirato da leoni. Qualche volta gli spuntavano due alette. Gli erano sacri il gallo e il cigno.

Si narra che Psiche (= anima), la più bella delle 3 figlie di un re, diventò oggetto d’amore del dio.  Perciò di notte, mentre era addormentata, Eros trasportò la fanciulla in un castello fatato in mezzo al bosco.  Qui sposò Psiche a cui non era concesso di vedere in volto il dio perché in tal caso egli sarebbe scomparso. Ma la fanciulla, suggestionata dalle chiacchere delle sorelle invidiose che le avevano messo in testa di aver sposato un mostro, per la curiosità una notte mentre il marito dormiva, avvicinò una lampada al viso del dio, lo guardò e si accorse che era bellissimo. Però una goccia di olio caldo cadde sul viso di Eros che si destò; deluso dal fatto che la sposa aveva mancato alla promessa fatta di non guardarlo, scomparve.  Ma Psiche innamorata, per trovare il marito, attraversò in lungo e in largo tutte le terra finché non giunse al palazzo di Afrodite. La dea odiava la fanciulla per la sua bellezza e per il dolore che aveva causato ad Eros. Psiche fu sottoposta ad ogni genere di angherie, ma Eros placò la madre e da Zeus ottenne che le nozze fossero benedette dagli dei e che a Psiche fosse concessa l’immortalità.

Dai Romani era identificata con Venere, in origine una divinità della primavera; le fu dedicata la luminosa stella del mattino.

 Giulio Cesare e Augusto le tributarono onori solenni in quanto madre di Enea e progenitrice della gens Iulia. A Roma aveva molti templi; le era consacrato il mese di aprile, come inizio della primavera.

Ades/ Plutone

Era figlio di Cronos e Rhea Cibele e fratello di Zeus e Poseidone. Quando ci fu la divisione del dominio del padre, ad Ades toccò l’Erebo, detto anche Ade o Averno.  Era il regno dei morti che tutti aborrivano, perciò preferivano chiamare il dio Plutone, cioè ricco, dato che sottoterra si trovavano le radici di molte cose (piante, metalli, marmi, gemme)

Era raffigurato col volto arcigno dai lineamenti duri, pallido, con una folta barba ispida, irsuta, nera, Dalla testa scendevano capelli neri scompigliati. Aveva occhi incavati, tristi.

Era rappresentato seduto sul trono con in mano lo scettro e la chiave dell’Erebo e col cane Cerbero ai suoi piedi. Accanto a lui su un altro trono c’era la moglie Persefone, rappresentata come una bella giovane col capo circondato da edera e con una fiaccola in mano.

Dal suo trono Ade giudicava le anime dei morti, attorniato da demoni infernali: Arpie, Moire, Erinni, Chere.

Si pensava avesse un elmo, fornitogli dai Ciclopi, che rendeva invisibile chiunque lo portasse. Il dio, che non era geloso del dono, talvolta prestava il copricapo anche agli altri dei. Un giorno lo prestò ad Atena durante i combattimenti intorno alla città di Troia.

Era molto temuto e gli antichi si riferivano a lui solo con gli appellativi di Plutone o Agesilao. I Romani lo chiamavano Dite.

Gli erano sacri: il narciso e il cipresso.

Gli venivano sacrificate pecore nere: durante il rito l’officiante guardava indietro per non vedere ciò che stava facendo.

Ermes portava giù le anime dei morti: Caronte le traghettava, Minosse, Radamanto ed Eaco le giudicavano.

 Il dio controllava che nessuno fuggisse. Lui stesso non usciva mai dal suo regno ad eccezione del giorno in cui dovette risalire per procurarsi una moglie dato che nessuna donna voleva scendere nell’Erebo.

Il dio mise gli occhi su Persefone, la bellissima figlia di Demetra e Zeus, che aveva dato il consenso alle nozze.

Un giorno la giovinetta (sempre guardata a vista dalla madre che chiamava la figlia Core, cioè bambina) mentre raccoglieva fiori in un prato vicino Enna, in Sicilia, involontariamente si allontanò dalle compagne. Ad un certo punto la terra si aprì: ne uscì un carro tirato da 4 cavalli neri, guidato da Ades.  Il dio afferrò la fanciulla e la trascinò con sé nell’Averno.  

Demetra (dal greco = madre terra) era figlia di Cronos e di Rhea Cibele, dea dell’agricoltura (che poi i Romani identificarono con Cerere); era di carattere semplice, dai costumi austeri e aveva insegnato la coltivazione dei campi agli uomini trasformandoli da nomadi in sedentari. Proteggeva soprattutto le biade e i cereali.

Il suo culto era soprattutto diffuso in Tessaglia, nella Beozia, nell’ Attica, a Megara, a Corinto, in tutto il Peloponneso. Da lì era passata in Sicilia, la sede prediletta della dea.

Nell’Attica, ad Eleusi, città a due miglia da Atene, in suo onore erano celebrati i Misteri Eleusini, istituiti dalla stessa dea. Dapprima semplici feste rusticane che si riferivano alla semina e alla mietitura, in seguito diventarono idee mistiche sull’immortalità dell’anima. La festa diventò il culto segreto di Demetra, di Persefone, di Ecate, a cui i fedeli dovevano farsi iniziare e i cui riti non dovevano svelare ai non adepti.

Demetra, bella ed affabile, era raffigurata in atteggiamento severo e maestoso, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola nella mano destra e un canestro di frutta nella sinistra.

A lei erano sacrificati i buoi, le giovenche e i maiali, la frutta e i favi di miele.

Le erano sacri: i papaveri, gli alberi da frutta e le spighe.

A Roma il 12 aprile si celebravano in suo onore le feste Cerealia.

Quando Demetra non trovò la figlia, si mise a cercarla dovunque. Sopraggiunto il buio, la dea invocò Ecate, signora della notte. Questa fu alquanto evasiva ma poi le consigliò di recarsi a casa del Sole per avere migliori ragguagli. Il Sole ricevette la dea che aveva percorso in lungo e in largo la terra per 9 giorni e 9 notti, e le raccontò come si erano svolti i fatti.  Demetra, saputo che tutto era avvenuto col consenso di Zeus, esacerbata non tornò nell’Olimpo e, assunto l’aspetto di una vecchia derelitta, cominciò a camminare e dalla Sicilia giunse ad Eleusi. Qui, si lasciò cadere vicino ad un pozzo, sotto un frondoso ulivo e cominciò a piangere dirottamente.

Per caso passò di lì una donna con 2 pecore che ebbe pena della vecchia e la portò a casa sua. Era una capanna miserrima abitata del pastore Celeo che dalla moglie Metanira aveva avuto 2 figli: Trittolemo e Demofoonte. Quest’ultimo era malato e quasi in fin di vita. Nonostante le sofferenze, però, la famiglia diede generosa ospitalità alla vecchia. La dea, grata per le attenzioni ricevute, durante la notte, preso in braccio il bimbo, gli fece bere un decotto di papaveri e gli spalmò sul corpo un balsamo misterioso, pronunciando formule magiche; poi depose il piccolino tra le fiamme per purificarlo col fuoco. In quel momento apparve Metamira che, pensando che la vecchia fosse pazza, le strappò il figlio dalle braccia.  Demetra allora riprese le proprie sembianze di dea e spiegò alla madre che, avendo agito in quel modo, aveva fatto guarire il bimbo.  La dea poi decise che Eleusi diventasse il centro del suo culto e che fosse costruito un tempio presso la fonte Callidoro.

 Come sacerdote scelse Celeo: a lui sarebbe succeduto il figlio Trittolemo, a cui la dea, quando il fanciullo divenne adulto, insegnò i riti del proprio culto e l’arte di coltivare la terra. In tal modo il giovane fu il primo a costruire un aratro e ad arare il suolo.

Alla fine la dea, per potersi riprendere la figlia, escogitò un mezzo: rese infruttuosa la terra sicché per un anno intero i contadini non ebbero grano né frutti.

Zeus, allora, preoccupato, inviò Iris, la messaggera divina per placare la dea.  Ciò non avvenne. Allora Zeus, dovendo scendere a patti con Demetra, mandò Ermes nell’Erebo per e convincere Ades a far risalire la fanciulla.  Il dio dell’Averno accettò ad una condizione: la moglie doveva ritornare da lui. Per essere sicuro di ciò, fece mangiare a Persefone una intera melagrana. Si credeva infatti che il Destino avesse stabilito che colei che avesse mangiato nella casa del marito alcuni chicchi di melograna, il simbolo del matrimonio, dovesse presto o tardi ritornare da lui. Tornata sulla Terra, Persefone poté riabbracciare la madre che, per bontà d’animo, fece rifiorire tutto sulla terra.

Zeus a sua volta stabili che Persefone sarebbe rimasta sulla terra per due terzi dell’anno e per l’altro terzo sarebbe tornata nell’Ade.

Il mito si riferisce al seme del grano che sepolto nella terra, spunta alla luce a primavera e germoglia alla luce del sole.

Successivamente il mito simboleggiò la morte e la risurrezione dell’anima.  

Poseidone/ Nettuno

Era figlio di Cronos e di Rhea Cibele, fratello maggiore di Zeus. Ingoiato dal padre dopo la nascita, era stato riportato alla luce da Zeus. Riconoscente, aiutò il fratello nella lotta contro i Titani e i Giganti che volevano detronizzarlo.

Fu allevato dai Telchini e dalla ninfa Cafira, figlia di Oceano. Zeus gli affidò il dominio del mare. Per tale motivo era definito il dio che racchiude e tiene prigioniera la Terra. Si diceva che, per ingrandire i suoi possedimenti, mandasse le onde del mare ad erodere le coste.

Una volta avvenuto ciò, il dio interveniva col tridente e staccava enormi massi che trasformava poi in isole.

Divenuto adulto, dalla ninfa Alia, sorella dei Telchini, ebbe 6 figli e una figlia, Rodo, eponima dell’isola di Rodi (che talvolta viene citata come figlia sua e di Anfitrite.)

 Abitava in fondo al mare con la moglie Anfitrite e il figlio Tritone, in un magnifico palazzo, i cui muri erano incrostati di madreperla, con intarsi di coralli e gemme.

 Quando era sereno, saliva in superficie su un carro tirato da 4 cavalli bianchi con zoccoli di bronzo. Lo seguivano Tritoni, Nereidi, Sirene, Oceanine, Proteo. 

I delfini e i gabbiani lo festeggiavano.

Ma Poseidone talvolta si incupiva e cavalloni furibondi si scagliavano sulle terre, producendo anche catastrofici maremoti. Anche i terremoti erano attribuiti a lui tanto che era definito “scotitore della terra”

Del suo dominio era assai geloso. Si narra che quando Eolo, re dei venti, per piacer a Era, scatenò una fiera burrasca contro le navi di Enea, il dio, furioso emerse dalle acque e risollevò le navi affondate, minacciando di tremendi castighi Eolo.

Un giorno, però, insieme ad Era e ad Apollo cercò di detronizzare Zeus ma fu scoperto. Per punizione Apollo e Poseidone furono inviati a Troia per servire il re del paese.

Si trattava di Laomedonte, figlio di Ilo, padre di Priamo, e di Euridice. Apollo fu mandato a pascere buoi ai piedi del monte Ida, Poseidone fu incaricato di costruire le mura della capitale. Poiché il lavoro era gravoso, fu aiutato da Apollo e Eaco, re dei Mirmidoni, padre di Peleo e nonno di Achille.

Alla fine del lavoro gli dei richiesero la ricompensa che era stata loro promessa ma il re negò la parola data. Allora Apollo scagliò le sue frecce contro la città scatenando una pestilenza; a sua volta Poseidone fece uscire dal mare un drago che divorò messi e uomini. Fu interrogato l’oracolo: egli affermò che, per placare gli dei, il re doveva sacrificare la propria figlia Esione, dandola in pasto al mostro. La fanciulla fu incatenata su uno scoglio in attesa che il drago la divorasse.  Per fortuna passò di lì la nave Argo che portava nella Colchide, alla conquista del Vello d’oro, i più forti eroi greci, tra cui Eracle.  Questi, sceso a terra, vedendo la fanciulla e conosciuta la sua vicenda, uccise il drago. Ma Laomedonte ancora una volta non mantenne fede agli impegni presi. Infatti aveva promesso ad Eracle i due cavalli bianchi di Troe, assai veloci.  Eracle, dovendo ripartire, rimandò la consegna al suo ritorno. Ma quando giunse per avere il compenso, il re si rimangiò la parola. Allora Eracle uccise in leale duello Laomedonte e fece sposare Esione all’amico Telamone, figlio di Eaco. Così Poseidone fu vendicato.

Poseidone aveva sposato Anfitrite, la bellissima figlia di Nereo e di Doride, una delle 50 Nereidi. Il dio del mare si era innamorato della fanciulla dopo averla vista. Ma Anfitrite, turbata dall’aspetto grave del Nume, era fuggita a nuoto e si era messa sotto la protezione di Atlante che si trovava ai confini estremi del mondo occidentale. Poseidone allora mandò un delfino a cercarla. L’animale riportò la giovane dal dio. Dalle loro nozze nacquero Tritone, “il mormoreggiante”, Rode, che diede il nome all’isola omonima, e Bentesicima, “la sollevatrice dei flutti profondi”, che poi finì in Etiopia.

Siccome Poseidone ogni tanto aveva avventure amorose, un giorno Anfitrite decise di vendicarsi di una rivale. Si trattava di Scilla, la bellissima ninfa, figlia di Ecate e di Forcis, un dio marino che aveva generato oltre a Scilla e a Toosa, molto belle, molti orridi mostri: le Graie, le Gorgoni, il drago Ladone, che custodiva le arance d’oro nel giardino delle Esperidi. Anfitrite, per riavere il marito, chiese aiuto a Circe che le fornì delle erbe magiche dicendole di stemperarle nelle acque della costa calabra dove la ninfa di solito si immergeva.  Appena Scilla si tuffò nel mare impregnato delle erbe, fu trasformata in un mostro con 12 piedi e 6 colli terminanti in orribili teste dalle cui bocche, armate di una triplice fila di denti, fuoriusciva un continuo latrare. Il mostro uscì dall’acqua e si rintanò nelle grotte del promontorio calabro. Sulla sponda opposta sulla costa siciliana c’era una rupe sulla quale cresceva un enorme fico, ai cui piedi c’era Cariddi, una mostruosa figlia di Poseidone e Gea. Essa, con la sua bocca enorme, inghiottiva tre volte le acque del mare e tre volte le rigettava. Le navi che passavano da lì, dovevano cercare di evitare entrambi i mostri per non essere distrutte.

Poseidone si innamorò anche di Toosa da cui ebbe il figlio Polifemo, un gigante mostruoso che abitava in una spelonca della costa sicula. Aveva molti capelli incolti, spalle enormi, e un unico occhio sulla fronte. Faceva il pastore e depredava le navi che spesso a cause delle tempeste finivano sulla spiaggia. Un giorno, mentre pascolava il gregge, vide Galatea, una ninfa assai graziosa, che stava raccogliendo fiori insieme alla madre e se ne invaghì.  La ragazza era promessa sposa di Aci, un pastorello di 16 anni. Un giorno i due giovinetti furono visti dal gigante mentre amoreggiavano vicino alla spiaggia.  Polifemo, mosso dalla gelosia, scagliò contro il giovane un masso e lo uccise. Galatea in lacrime ottenne dagli dei che il povero Aci fosse tramutato in un fiume.

Ebbe numerosi figli:

  • da Medusa ebbe Crisaore e Pegaso;
  • da Libia ebbe Agenore e Belo;
  • da Chione ebbe Eumolpo;
  • da Calica ebbe Cicno, re di Colone;
  • da Tiro ebbe Pelia e Neleo;
  • da Alcione ebbe Irieo;
  • da Toosa il ciclope Polifemo;
  • da Amimone ebbe Nauplio;
  • da Etra ebbe Teseo;
  • da Ifimedea ebbe gli Aloidi;
  • da Euriale ebbe il cacciatore Orione;
  • da Onea ebbe il musico Arione;
  • da Salamina ebbe Cicreo;
  • da Ceroessa ebbe Bizante;
  • da Demetra ebbe il cavallo alato Arione.

Amò anche il bellissimo Pelope e lo trasportò sull’Olimpo nominandolo suo coppiere.  

Poseidone poteva cambiare forma a suo piacimento (come Proteo, Nereo e altre divinità marine). Si cambiava in toro, in fiume, in cavallo, in delfino, in alcione.

Litigò con Atena per il possesso dell’Attica, con Era per l’Argolide, con Elios per Corinto.

Tuttavia possedeva l’isola di Atlantide, a occidente delle Colonne d’Ercole.

La stirpe greca degli Ionii lo considerava il dio nazionale. In suo onore si celebravano Feste e Giochi solenni.  A Corinto si tenevano ogni 3 anni i Giochi Istmici, di carattere panellenico.

Gli erano sacri il delfino e il cavallo tanto che era invocato per tutelare le corse equine. Gli era sacro anche il pino, albero con cui si costruivano le navi.

Gli venivano sacrificati tori neri, cinghiali, arieti e il fiele derivante dalle vittime offerte alle altre divinità.

Era rappresentato con una muscolatura possente, capelli neri e barba arruffati, col tridente in mano.

I Romani lo identificarono con Nettuno elo adorarono solo dopo essere diventati potenza marinara. In precedenza lo avevano adorato come protettore dei cavalli soprannominandolo Nettuno Equestre o di Conso.  A Romolo si faceva risalire l’istituzione delle Feste Consuali, che venivano celebrate nel Circo con corse di cavalli.

Dioniso/ Bacco

Era figlio di Zeus e di Semele. Siccome il suo culto come dio della viticoltura era molto rumoroso, era chiamato anche Bacco, cioè clamore.

Con tale nome fu adorato a Roma.

Sèmele era la bellissima figlia di Cadmo, re di Tebe, e di Armonia. Quando Zeus si innamorò di lei, Era decise di uccidere la rivale. Si tramutò in Beroe, la nutrice della fanciulla e insinuò in lei il dubbio che Zeus non la amasse dato che compariva sempre in abiti dimessi. La spronò a chiedere al dio di palesarsi in tutta la sua possanza.  Invano il dio cercò di dissuaderla. Quando il dio le si palesò, Semele e la reggia furono investite dalle vampate di calore. Sarebbe morto anche il feto di 6 mesi se Zeus non gli avesse fatto schermo con l’egida e avesse cucito il piccolo dentro una coscia per i restanti 3 mesi. Quando nacque, Zeus affidò il bimbo ad Ermes che lo portò a Orcomeno, da Ida, sorella di Semele e moglie di re Atamante consigliando la donna di vestire il piccolo con abiti femminili per ingannare Era.  Ma questa scoprì l’inganno e punì Atamante, facendolo impazzire. Allora Zeus mutò Dioniso in un capriolo e lo mandò con Ermes alle ninfe di Nisa, una montagna altissima piena di selve, perché fosse allevato.

Quando Ermes portò il bimbo in una caverna, questa si illuminò. Le Ninfe, svegliate dalla luce, deposero il bimbo in una culla d’oro.

Le Ninfe erano 7 sorelle, Iadi, che per aver allevato Dioniso, furono poi tramutate da Zeus in stelle che formarono una nuova costellazione.

La caverna era mimetizzata dai pampini di una folta vite. Una ninfa insegnò al piccolo come si suona il cembalo, un’altra gli regalò una verga circondata da edera e tralci, verga che in seguito col nome di tirso, diventerà compagna e attributo principale del dio e dei suoi seguaci. Col tempo Ino, sorella della madre, le Muse e Sileno, completarono la sua educazione. Sileno era figlio di Ermes. Era nato a Nisa ed era raffigurato come un vecchio dalla testa calva, il naso camuso, dalla corporatura grossa e tondeggiante.  Camminava su un asino era saggio, bonario e suonava bene il flauto.

Divenuto adulto, Dioniso si appassionò alla caccia, inseguiva cervi e caprioli, li abbatteva e con le loro pelli si copriva. Un giorno catturò due piccoli leoncini, li addomesticò tanto che loro riuscirono a trainare il suo carro.

Un altro giorno, visto un grappolo d’uva che pendeva dai pampini, lo prese, e, premendolo, fece uscire il vino. Lo bevve e lo diede anche alle Ninfe, a Sileno, ai satiri, agli Egipani, alle Driadi, alle Amadriadi e tutte le divinità dei boschi.

Lo regalò poi anche agli uomini che si misero a danzare al suono di flauti e tamburi. Tutti cominciarono a vaneggiare per cui il delirio bacchico divenne parte integrante del culto di Dioniso.     

Per far conoscere il vino e i suoi effetti dappertutto, Dioniso cominciò a viaggiare seguito da Ninfe, Satiri, Egipani, Menadi che, impugnando il tirso, danzavano, suonavano flauti e tamburi e urlavano di gioia al grido di “Evohè”.

Le Menadi dette anche Baccanti, Thiadi, Bassàridi, erano le sacerdotesse di Dioniso. Erano rappresentate con occhi stravolti dall’ebbrezza, le voci rauche e minacciose, i capelli sciolti sulle spalle.

Con tale seguito, chiamato Thiaso, Dioniso si recò in Egitto, in Siria, in Asia, in India dove rimase diversi anni. Poi passò in Frigia, in Tracia, in Beozia, in Argolide, nell’isola di Chio e nell’isola di Nasso, la più grande delle Cicladi. Nei vari luoghi non sempre era accolto benevolmente anche se insegnava a coltivare la vite e a ricavarne il vino. Spesso era costretto a punire i suoi nemici.

Il passare del tempo temperò la sua esuberanza e, sposata Arianna, liberò dall’Erebo la madre Semele e, col nome di Thione, la condusse con sé sull’Olimpo insieme alla moglie.

Mentre Dioniso era in Tracia, accompagnato dai rumorosi canti del suo seguito, urtò la sensibilità di Licurgo, il figlio di Driante, che era il re del paese. Licurgo con i suoi arcieri scagliò frecce contro le Baccanti e i Satiri e li fece prigionieri. Si salvò solo Dioniso che si gettò in mare accolto da Teti. Accadde però che Licurgo nel suo odio impazzì e, cercando di stroncare tutte le piante di viti, con un colpo di scure ammazzò il proprio figlio, ferendosi anche ad un piede. Allora Satiri e Menadi slegatisi, si lanciarono su di lui e lo fecero a pezzi.

Dioniso, giunto in Beozia, incontrò il re di Tebe, Penteo, figlio di Agave, sorella di Semele e quindi cugino del dio.  Ma il re, vedendo che le donne tebane abbandonavano i lavori domestici per seguire le Menadi nei loro baccanali, imprigionò il cugino. Ma il dio si liberò mentre Zeus per punizione fece crollare tra le fiamme la reggia di Penteo. Questi divenne ancora più rabbioso e si recò sulle pendici del Citerone dove baccanti e donne tebane celebravano i riti del dio. Le donne, tra cui la stessa madre del re, esasperate per l’interruzione, si scagliarono contro di lui per ucciderlo; poi la stessa madre e le sorelle Ino e Autonoe lo squartarono.  

  A Orcomeno, in Beozia vivevano Alcatoe, Leucippe, Arsippe, le 3 figlie del re Minia, dette Minèidi. Esse contrariamente alle altre donne non presero parte alle orgie. Allora Dioniso, prese le sembianze di una fanciulla, le esortò a partecipare ai riti. Le ragazze lo scacciarono in malo modo. Allora il dio si tramutò in toro, poi in leone e infine in pantera. Le ragazze per lo spavento impazzirono.  Ermes le trsformò: una in pipistrello, l’altra in civetta e l’ultima in gufo.

Giunto in Attica, Dioniso fu ospitato da Icaro che, pur benestante, coltivava da solo i propri campi. Per riconoscenza Dioniso gli insegnò l’arte di coltivare la vite e di ricavarne del buon vino. Per generosità Icario cercò di far conoscere anche agli altri il vino che aveva ricavato. Un giorno offrì la bevanda a un gruppo di pastori. Questi ne bevvero tanto che, vedendo un compagno cadere a terra, pensarono che Icaro li avesse avvelenati Perciò lo uccisero e ne nascosero il corpo in mezzo al bosco senza seppellirlo. Secondo la tradizione pagana però gli insepolti non potevano scendere nell’Erebo ed erano costretti a vagare senza pace. Intanto una sera a Erigone, figlia di Icario, apparve l’ombra del padre che le raccontò ciò che aveva subito. Allora la fanciulla seguita dalla fedele cagnetta Maira, girò nel bosco finché non trovò il corpo del defunto e tra le lacrime lo seppellì. Poi per la disperazione di impiccò. La cagnetta allora si distese ai piedi dell’albero e si lasciò morire di fame. Gli dei impietositi, trasformarono Icario nella stella Arturo, Erigone nella costellazione della Vergine, Maira in quella del Cane.

Passato nell’Argolide su una nave, il dio si fece trasportare nell’isola di Chio. Qui mentre era su un’altura, vide un veliero e chiese ai marinai di essere trasportato nell’isola di Nasso. Ma i pirati si diressero verso l’Asia sperando di vendere come schiavo il bel giovane. Il dio protestò ma invano, anzi fu legato all’albero maestro. A questo punto il vento cessò e le corde che legavano il dio si spezzarono. Il pilota, riconoscendo la divinità, cercò di convincere i compagni a liberarlo. Poiché i pirati si rifiutarono, Dioniso trasformò le corde in serpenti, fece apparire un’orsa, due pantere e un leone che divorò il padrone della nave. I pirati si gettarono in mare per la paura e furono trasformati in delfini. Allora il veliero da solo volse la prua verso Nasso.

Qui sulla spiaggia Dioniso incontrò una fanciulla che piangeva: era Arianna, figlia di Minosse, re di Creta, e di Pasifae.

Ella, innamoratasi di Teseo, l’eroe greco inviato da Atene per uccidere il Minotauro, lo aveva aiutato nell’impresa, con la promessa che l’avrebbe sposata.

Il minotauro era un mostro con corpo d’uomo e testa di toro, era nato dall’accoppiamento tra Pasifae con un toro. Era perciò fratello di Arianna.

Teseo era figlio di Egeo, re di Atene e di Etra: aveva accompagnato i suoi concittadini, 6 maschi e 6 fanciulle che costituivano il tributo che la città di Atene doveva pagare al re. I giovani dovevano essere dati in pasto al Minotauro, che era stato rinchiuso nel labirinto, un palazzo assai intricato che impediva a chiunque vi fosse entrato di uscirne. Il labirinto era stato costruito dall’architetto Dedalo.

 Arianna, innamoratasi del giovane che le aveva promesso le nozze, aveva aiutato Teseo fornendogli un gomitolo di filo col quale l’eroe dopo aver ucciso il mostro, avrebbe potuto ritrovare la via d’uscita. Teseo riuscì nell’impresa e trasse in salvo sé e i compagni. Fece salire sulla sua nave anche Arianna ma giunto a Nasso, aveva abbandonato la fanciulla mentre dormiva.

 Dioniso, commosso dal racconto, posò sul capo della fanciulla la propria corona gemmata e la chiese in sposa. Come segno del consenso di Zeus, la corona salì in cielo e le sue gemme si trasformarono in stelle.

Alle nozze partecipò tutto il seguito di Dioniso. Gli sposi salirono su un carro d’oro tirato da 6 pantere e si diressero verso la propria dimora.

Pian piano il culto di Dioniso e dei suoi Misteri si diffuse in tutto il mondo. In suo onore si celebravano le feste Dionisiache due volte all’anno. Durante le feste veniva cantato il Ditirambo che narrava le gesta del dio.  Dal ditirambo ebbe origine il dramma, in cui le vicende del dio erano rappresentate dagli attori mentre il coro le commentava.

Dioniso era rappresentato in due modi: con un aspetto maestoso, lungi i capelli e la barba, con una tunica lunga fino ai piedi e con un mantello.

In altra forma era rappresentato da giovane, con fattezze femminee e volto pensoso, una corona di pampini e di edera sui capelli riccioluti e con una pelle di pantera o di capriolo sui fianchi.

Gli erano sacri: la vite, l’edera, la quercia, il toro, il caprone, la pantera, la tigre, la lince.

A Roma era chiamato Bacco o Libero: il 17 marzo si celebrava una festa “Liberare” in omaggio suo e di Cerere.

Hestia/Vesta.

Aliena da guerre e da risse, resistette alle avances di Apollo e Poseidone, preferendo rimanere sempre vergine. Figlia primogenita di Crono e di Rea era onorata da Zeus come preservatrice della pace sull’Olimpo.  Rappresentava il simbolo della castità domestica. Quando una città mandava alcuni cittadini a fondare una colonia, affidava loro una favilla del fuoco sacro che ardeva sull’altare della patria perché accendessero il focolare della nuova città e si ricordassero sempre di essere una germinazione del luogo di provenienza.

Presso i suoi altari trovavano rifugio i profughi e i supplici.

A Roma aveva nel Foro un tempio rotondo, nel quale era custodito il fuoco sacro; feste particolari, le Vestalie, si celebravano il 9 giugno, durante le quali si invocava la dea perché concedesse cibo in abbondanza. Al suo tempio venivano mandati asini adornati con collane di pane.

Le Vestali erano le sue sacerdotesse: venivano scelte tra le fanciulle di estrazione nobile e dovevano avere tra i 6 e i 10 anni. A capo c’era la Virgo Maxima. Restavano in servizio per 30 anni durante i quali dovevano rimanere caste. Chi infrangeva il voto veniva sepolta viva. Le Vestali godevano di numerosi privilegi: vivevano presso il tempio di Vesta e dovevano mantenere acceso sempre il fuoco. Se il fuoco si spegneva, la colpevole era fustigata dal Pontifex Maximus.