Si basava sulla religione del focolare e degli antenati e veniva trasmessa per via maschile; un certo margine era consentito anche alle donne ma la loro situazione non era molto facile, dato che potere e cultura erano appannaggio degli uomini.
La storia infatti riporta le imprese dei grandi personaggi maschili e riserva solo pochi cenni alle donne.
Es: Clelia che riuscì a sfuggire dalle mani di Porsenna, Veturia madre di Coriolano, che convinse il figlio a risparmiare Roma, Cornelia, madre dei Gracchi che elogiava i figli definendoli i propri gioielli.
Della familia facevano parte il padre, la madre, i figli, i nipoti, le nuore, i generi, gli schiavi, i liberti, i clientes, i Lari, i Penati
Ogni persona si riconosceva in una familia, alla quale si sentiva legato dai costumi e dalle tradizioni.
Una rigida gerarchia metteva a capo il pater che esercitava la patria potestas in modo indiscusso e totale.
Aveva, infatti, diritto di vita e di morte su tutti: poteva vendere, legare, punire, uccidere i figli anche se sposati, poteva non riconoscere i figli alla nascita e gettarli in strada dove potevano morire a meno che non venissero raccolti da qualche mercante di schiavi, poteva adottare e permettere ad un plebeo di diventare patrizio.
All’interno della famiglia i rapporti erano sanciti dalla nascita, dall’adozione, dalla comunità di sangue. Venivano riconosciuti legalmente fino a 6 generazioni in senso ascendente o discendente.
Accanto al pater c’era la matrona, domina che fin dall’infanzia prendeva parte al culto degli avi assistendo agli atti religiosi del padre.
Una volta sposata, però, era costretta ad invocare le divinità del marito, dato che per legge non poteva invocare due focolari o due famiglie di antenati, nè poteva portare il pasto funebre ai propri morti.
Il giorno delle nozze il marito le presentava il fuoco e l’acqua, simboli rispettivamente della divinità domestica e dei riti religiosi; da quel momento la donna si staccava completamente dalla famiglia di origine e diventava “figlia” del marito ( filia loco)
In età repubblicana alle donne era lecito studiare insieme ai coetanei maschi.
Ma, terminato il primo ciclo di studi, le appartenenti a famiglie agiate si istruivano privatamente: ricamavano, cucivano, filavano. Alcune imparavano il greco, dipingevano, danzavano e suonavano.
Il matrimonio era combinato dal padre in base agli interessi della famiglia intorno ai 10 anni.
Il matrimonio era l’istituzione alla base della società in quanto garantiva la perpetuazione di una stirpe. Si celebrava alla presenza del pontifex maximus e a 10 testimoni.
Era regolato da norme assai precise, ius connubii:
cum manu prevedeva la patria potestas dell’uomo sulla moglie;
usus per cui la donna dopo un anno di convivenza col marito veniva considerata figlia della nuova famiglia; poteva essere sciolto con facilità.
confarreatio, tipologia, ben presto abbandonata, in base alla quale gli sposi consumavano una focaccia di farro stando seduti su 2 sgabelli coperti da una pelle di pecora ;
coemptio, la potestas della donna dal padre passava nelle mani del marito;
sine manu la sposa conservava il diritto di appartenenza alla propria famiglia e poteva gestire il suo patrimonio.
C’erano delle restrizioni: era nullo il matrimonio tra cittadini e forestieri e in età antica anche quello tra patrizi e plebei.
I senatori e i loro figli non potevano sposare attrici o liberte.
Il tutore non poteva sposare la pupilla.
Durante il fidanzamento, sponsalia, il giovane offriva un anello di ferro o di oro che la fidanzata metteva all’anulare, dito che secondo gli antiche era in collegamento col cuore.
Venivano firmati contratti privati che regolavano gli aspetti finanziari dell’unione.
Come data delle nozze si sceglieva un periodo considerato favorevole: quasi sempre nei giorni finali di giugno. Assolutamente vietato il mese di maggio
Davanti al sacerdote e ai testimoni gli sposi si scambiavano la formula: “Ubi tu Gaius, ego Gaia” ( dove ci sei tu, o Gaio, ci sarò io Gaia).
I presenti auguravano loro ogni bene.
Il giorno prima delle nozze la fanciulla consacrava a una divinità protettrice le bambole e i giocattoli infantili.
Alla cerimonia nuziale si presentava indossando una tunica bianca tessuta con fili messi in verticale, stretta in vita da una cintura di lana.
Sopra aveva un mantello color zafferano mentre un velo arancione flammeum, ed una corona di fiori completavano l’acconciatura caratterizzata da 6 trecce, anche posticce, ornate con nastri.
Dopo la cerimonia la donna, scortata dai parenti entrava nella nuova casa, sostenuta dalle braccia del marito che le consegnava le chiavi, l’acqua e il fuoco. La sposa a sua volta ungeva con l’olio i cardini della porta e poi li asciugava con un panno di lana.
Nell’atrium della casa in modo propiziatorio agli dei dello sposo si sacrificava una pecora o un maiale.
Dopo il matrimonio la moglie si occupava dell’educazione dei figli in tenera età a cui trasmetteva il mos maiorum, ma anche i primi rudimenti culturali; sovrintendeva anche alle attività delle schiave.
Quando la domina partecipava ai banchetti stava seduta in modo corretto e non beveva vino per non essere tacciata di condotta immorale a causa dei fumi dell’alcol.
Nel campo dei diritti civili soltanto gli uomini erano considerati cittadini, le donne potevano agire solo tramite un tutore ( padre, fratello, marito); non potevano votare o essere elette ad alcuna carica.
In età imperiale, però, le donne romane acquisirono modi di vivere più liberi: potevano disporre dei loro beni, divorziare e risposarsi; alcune diventarono gladiatrici. Cominciarono anche a curare maggiormente la preparazione culturale e il loro aspetto fisico.
Alcune, più disinibite, passavano le notti tra banchetti e gozzoviglie e rifiutavano la maternità.
Cesare e Antonio si sposarono 4 volte, Pompeo 5.
Vesti muliebri erano:
Tunica – lunga veste indossata dalla matrone. Era legata in vita con un cingolo
Palla – mantello rettangolare avvolto intorno al corpo
Infula– copricapo a forma di diadema o turbante, simbolo di autorità e inviolabilità
Calautica– cuffia di tessuto spesso ornata con fili di oro, di ispirazione orientale.