SILONE

Ignazio Silone  ( pseudonimo di Secondo Tranquilli,  dagli anni ’60 diventato anche  il nome legale), nacque a Pescina dei Marsi ( L’Aquila)  il 1 maggio 1900 da un piccolo proprietario di terre e da una tessitrice.

 

Uscita di sicurezza, un insieme di racconti – saggio, pubblicato nel 1965, costituisce la fonte privilegiata  per conoscere la figura dello scrittore.

Infatti nella prima parte del testo ( che non incontrò l’approvazione della Sinistra) l’autore narra  gli episodi più importanti della propria infanzia.

Mentre la figura della madre è appena accennata, il padre viene descritto come un uomo dal carattere chiuso che però ha un forte  senso dell’onore e dell’ospitalità oltre ad una  continua pratica di opere di misericordia.

Silone, ad esempio, cita, tra gli altri, un episodio assai importante: il padre  ospitò  in casa in casa propria  il postino del paese  che  si era  appropriato delle  rimesse di un  emigrante la cui moglie Giuditta aveva tentato il suicidio per la disperazione di aver subito dei ricatti sessuali da parte del postino; il giorno dopo, però, il padre aveva  consegnato l’uomo nelle mani dei carabinieri.

 

In Visita al carcere viene narrata la vicenda di un uomo che un tempo  aveva regalato mezzo sigaro al giovane Ignazio perché lo portasse al padre che, intento al lavoro dei campi, aveva sentito la necessità di fumare.

A qualche anno di distanza il padre va a trovare l’uomo in carcere per restituirgli il favore: “Quanto piacere mi fece che egli subito mi riconobbe” .

 

Nel 1915 a causa del terremoto nella Marsica, lo scrittore perdette i familiari e la casa: sopravvissero solo la nonna e un fratello, Romolo ( morto successivamente a 27 anni a causa delle torture ricevute in un carcere fascista).

Lo scenario viene descritto in modo  terrificante: grandi macerie,  rifugi provvisori,  freddo intenso, lupi e soprattutto l’avidità di alcuni sopravvissuti che non esitavano ad uccidere per appropriarsi di qualche bene altrui.

Il giovane Ignazio assistette, tra le altre cose, anche alla metamorfosi di due famigliari: uno zio a cui aveva confidato di aver trovato, cercando il corpo della madre, l’armadio dove la donna teneva il denaro, se ne appropria di nascosto mentre una zia impedisce che venga tratto in salvo il marito dato per morto e invece ancora vivo sotto le macerie.

 

A causa della tragedia il giovane  venne inviato in un collegio religioso a Roma per studiare ma dopo un po’ fuggì.

Ritrovato dopo 3 giorni, rischiò l’espulsione ma un sacerdote, don Orione, intercedette per lui che fu poi accolto in un altro istituto a Sanremo.

L’incontro con don Orione ha molta importanza e sarà determinante nella formazione  dello scrittore.

 

In  Incontro con uno strano prete, infatti, l’uomo  viene descritto  in modo positivo tanto che costituirà la base memoriale per le successive rappresentazioni  narrative di preti, considerati strani agli occhi del mondo  perché  liberi dai condizionamenti  dell’istituzione.

 

Nel racconto Polikusc’ka  Ignazio narra la sua scelta di classe, che era stata preceduta dall’abbandono, dal rifiuto anche come abitazione, della società dei benpensanti.

Egli  dopo il terremoto aveva preso a frequentare la baracca dove risiedeva la lega dei contadini: lì aveva  letto un racconto di Lev Tolstoj che parla del tragico destino di un servo disprezzato dalla gente. Tale lettura lo aveva fortemente influenzato.

 

In Uscita di sicurezza il brano che dà il titolo alla raccolta, lo scrittore narra gli inizi del proprio apprendistato di militante rivoluzionario come scrivano della lega. Conosce Lazzaro, l’uomo buono, il cristiano autentico, incarnazione dei santi cafoni.

Lazzaro pone le assemblee dei contadini poveri sotto il segno di Cristo ma non entra più nella chiesa del paese da quando il parroco forcaiolo l’ha messa al servizio dei proprietari di terra, facendo squillare le campane a stormo ogniqualvolta si tiene un discorso del partito socialista.

 

La prima grave scelta di rottura con la classe dominante, con le possibili complicità magari anche solo di silenzio, avviene nel 1917 con l’invio di tre articoli all’Avanti per denunciare le malversazioni della ricostruzione dopo il terremoto.

 

Da qui  ha inizio la sua intensa attività di politico  rivoluzionario.

Viene cooptato come segretario regionale della federazione dei lavoratori della terra ma è processato e imprigionato per aver capeggiato una violenta manifestazione contro la guerra.

Allora si aggrappa al brillante commissario Guido Bellone  e comincia a collaborare segretamente con la polizia.

 

Trasferitosi  a Roma, diventato segretario della gioventù socialista , viene eletto direttore del settimanale l’Avanguardia, organo del partito.

 

Dal ’21 al ’31 Silone consuma la propria  esperienza di militante comunista: aderisce al PCI e diventa  redattore presso Il Lavoratore di Trieste.

 

Entrato nella clandestinità in seguito alle persecuzioni fasciste, compie missioni di partito in Germania, in Spagna, in Francia, oltre a  viaggi in Russia.

Insieme a Gramsci, Terracini e Bordiga è tra i più ascoltati esponenti del partito.

 

Nel 1926 con le leggi speciali vengono sciolti tutti i partiti, viene soppressa ogni stampa di opposizione e sono imprigionati numerosi dirigenti.

 

Togliatti assume la direzione del centro estero del PCI mentre a Silone viene affidata la segreteria del Centro interno.

Nel 1927 partecipa  a Mosca  ai lavori del Komintern che portano al trionfo dello stalinismo.

Siccome si rifiuta  di approvare la condanna dei trotzkisti viene espulso dal partito nel 1931: egli, infatti  ha una diversa accezione del concetto di libertà per i comunisti occidentali e i comunisti russi; contesta il culto mummificato per Lenin, l’ambiguità e l’elusività degli alti dirigenti sovietici, il metodo costante della doppia verità dell’Internazionale.

 

Con la nuova vita di “ senza partito”,  a turno perseguitato e calunniato da fascisti e comunisti, nel 1929, malato ai polmoni,  si stabilisce in Svizzera,  in una casa di cura, ritirandosi a vita privata e approfondendo i contatti con la cultura europea..

 

Lì inizia la sua attività di scrittore: Fontamara esce, infatti, nel ’33.

Si spegne a Ginevra il 21 agosto 1978.

 

  Fontamara

Uscì in tedesco a Zurigo nel 1933;  successivamente, tradotto in italiano, venne  pubblicato nel 1948 a causa delle proibizioni fasciste.

 

Fu scritto in un momento “ in cui il tempo probabile che mi restava da vivere non pareva lungo”

 

Silone, infatti, si trovava a Davos in Svizzera sotto falso nome e pensava di non avere molto da vivere a causa della sua malattia .

 

Il romanzo è in 10 capitoli.  I narratori  della storia sono i 3 membri di una famiglia di cafoni di un villaggio immaginario della Marsica in Abruzzo: il padre Giuvà, la madre Matalè, il figlio adolescente.

Essi si trovano sull’uscio di casa dello scrittore  e cominciano a parlare in modo alternativo di ciò  che li ha costretti all’esilio dopo le angherie dei fascisti.

Compito dello scrittore sarà quello di divulgare , traducendola dal dialetto, la narrazione di come si sono svolti i fatti.

Il problema della terra e dell’acqua è al centro della vicenda di Fontamara ( il nome è quello della via dove era nato lo scrittore)  dove

 

l’intera storia universale si svolge: nascite, morti, amori, odii, invidie, lotte, disperazioni

 

I protagonisti sono i cafoni del cui punto di vista lo scrittore si appropria

 

Questa parola io adopero in questo libro nella certezza che quando nel mio paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di rispetto , e forse anche di onore”

Cafone “ è carne abituata a soffrire” dice un’espressione popolare in Fontamara.

 

I cafoni   da sempre sono in una situazione di  soggezione quasi feudale nei confronti dei grandi latifondisti, una sudditanza fatta di soprusi e sopraffazioni: il loro  è un mondo arcaico  ed immutabile, regolato dalla circolarità delle stagioni e delle colture.

 

“Per vent’anni la solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite feste, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la solita miseria: la miseria ricevuta  dai padri, che l’avevano ereditata dai nonni , e contro la quale il lavoro onesto non è mai servito proprio a niente. Le ingiustizie più crudeli vi erano così antiche da aver acquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento, della neve.”

“ Prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura, poi la vendemmia. E poi? Poi da capo…Sempre la stessa canzone, lo stesso ritornello. Sempre. Gli anni passavano, gli anni si accumulavano, i giovani diventavano vecchi, i vecchi morivano, e si seminava, si sarchiava, si insolfava, si mieteva, si vendemmiava. E poi ancora? Di nuovo da capo. Ogni anno come l’anno precedente”.

 

La vicenda prende le mosse da un evento verificatosi nell’estate del 1929.

Un giorno nel paese di Fontamara  arriva un gerarchetto fascista che con l’inganno, approfittando dell’analfabetismo diffuso,  fa firmare dei fogli ai cafoni.

 

“Il cav. Pelino…ci spiegò – “E’ finito il tempo in cui i cafoni erano ignorati e disprezzati. Ora ci sono delle nuove autorità  che hanno un gran rispetto per i cafoni e vogliono conoscere la loro opinione. Perciò firmate Apprezzate l’onore che le autorità vi han fatto, mandando qui un funzionario per raccogliere la vostra opinione”

 

Subito dopo dal capoluogo arrivano dei cantonieri per deviare verso le terre di un ricco signore del capoluogo,  detto Carlo magno,  il corso del ruscello che irrigava i campi dei fantamaresi, che vedono così compromesse le loro colture

Scoppia una rivolta: gli abitanti vanno nel capoluogo per parlare col sindaco  ma al suo posto trovano  una nuova figura, il podestà, detto  l’Impresario.

Si tratta di un uomo senza scrupoli, latifondista e impresario edile, che ha acquistato le terre di Carlo Magno e vuole irrigarle.

Apparentemente appoggiati dall’ex sindaco, don Circostanza, i fontamaresi riescono a parlare con l’Impresario, ma inutilmente.

Il regime fascista, considerando i fantamaresi contrari al regime, impone il coprifuoco  e vieta di parlare di politica nei luoghi pubblici.

Tra i cafoni rassegnati solo Berardo, nipote del famigerato brigante Viola, predica la rivolta  guidando i  suoi compaesani.

Ma la reazione fascista  è cruenta: le milizie organizzano una spedizione e si abbandonano  ai danni dei contadini e delle loro donne ad ogni genere di violenze  che restano impunite.

Allora Berardo, inascoltato, decide di pensare solo a se stesso.

Accompagnato dal figlio di Giuvà e Matalè, si reca a Roma per trovare lavoro e sposare Elvira, una brava ragazza del paese.

 

“ Era di una modestia e riservatezza straordinarie…Al suo avvicinarsi, nessuno osava bestemmiare o pronunziare parole sconce”

 

La decisione di  Berardo di interessarsi solo dei fatti propri, non trova , però, l’approvazione  di  Elvira che rimprovera il giovane:

 

“ Se è per me che ti comporti in quel modo, ricordati che io cominciai a volerti bene quando mi raccontarono che tu ragionavi nel modo contrario”

 

Berardo parte lo stesso ma nella capitale incontra molte difficoltà burocratiche; inoltre  a causa dei suoi precedenti, non trova lavoro e, a corto di denaro, arriva a fare la fame.

Un giorno  incontra l’Avezzanese, un giovane studente operaio impegnato nella lotta antifascista. Quest’ultimo lo informa che la milizia è a caccia del Solito Sconosciuto, epiteto dietro il quale  si nasconde il militante clandestino che, ricercato da tempo,  tiene viva l’opposizione al regime fascista.

L’incontro determina la  maturazione politica di Berardo e il suo passaggio dall’istintivo ribellismo alla coscienza di classe.

Nel frattempo a Fontamara Elvira va in pellegrinaggio e offre alla Madonna la propria vita per la salvezza dell’amato.

Arrestato per errore insieme agli altri 2 con l’accusa di produzione e diffusione di volantini antifascisti, Berardo, appresa la notizia della morte di Elvira, afferma  di essere il Solito Sconosciuto.

Duramente torturato,  accetta consapevolmente di morire per cementare l’unità di classe del popolo e per servire da bandiera per tutti i cafoni oppressi;  capisce infatti che allo sfruttamento di classe si può rispondere solo con la lotta di popolo.

Egli  muore cosciente di essere diventato un simbolo rivoluzionario ma  il commissario riuscirà a convincere il compagno di cella ( l’io narrante) che il giovane si è ucciso impiccandosi ad una grata della  prigione.

Dopo la sua morte per la prima volta a Fontamara si compie un gesto politico.

Aiutati dall’Avezzanese, che è stato liberato, i cafoni stampano un giornale  clandestino  “ Che fare?” in cui denunciano i torti subiti e la tragica fine di Berardo.

Ma il regime non può  tollerare tale ribellione  e manda la milizia che fa strage dei fontamaresi.

I superstiti, sconfitti, ma non domati, si danno alla macchia o prendono la via dell’esilio.

 

Con questo romanzo  Silone sceglie di collocarsi dalla parte dei cafoni abituati ad una vita grama per le secolari ingiustizie cui sono sottoposti.

Con l’avvento del Fascismo, tra l’altro, agli antichi proprietari terrieri si sono affiancate nuove figure di rapaci imprenditori, di cui l’Impresario è l’emblematico rappresentante.

I cafoni, non sapendo scrivere, affidano i loro pensieri alla tradizione orale

 

E’ l’arte di mettere una parola dopo l’altra..di spiegare una cosa per volta..chiamando pane il pane  e vino il vino”,  dice lo scrittore nella prefazione a Fontamara.

 

L’argomento del romanzo, permeato  dalle motivazioni politiche, è in parte autobiografico: l’autore  da giovane aveva frequentato la “ Lega  dei contadini” della sua regione il che gli era costato l’ esilio e la clandestinità.

La scelta stilistica di aver dato voce  a 3 personaggi contadini, che dal loro punto di vista raccontano le vicende accadute, garantisce il tono di veridicità documentaristica a quanto narrato.

Lo stile scarno e asciutto lontano da esiti linguistici dialettali, “ senza imbrogli” , senza allusioni, senza sottintesi” gli permette di comunicare che il riscatto dell’uomo può avvenire solo attraverso l’iter della coscienza interiore.

Infatti  è lo Sconosciuto, che parla l’italiano, ad aprire la mente a Berardo, alla  coscienza della propria condizione e alla necessità della lotta per riscattarla.

In tale ottica il libro svolge una duplice funzione: è contro la retorica del bello scrivere, contro il folklore meridionale di maniera e contro gli oleografici ritratti della felicità rurale tratteggiati dalla propaganda fascista.

E’ un romanzo corale: i soggetti agiscono unitariamente anche se i singoli non sono appiattiti grazie ad una tecnica che lega il profilo del personaggio a un nome vivace, a una battuta, a un gesto.

Ma il racconto può essere visto anche in chiave universale: i fontamaresi diventano l’immagine delle popolazioni arretrate e oppresse di tutto il mondo, l’incarnazione di un Sud planetario sfruttato – “ l’universalismo dei cafoni” dirà nell’ Introduzione alla nuova edizione del 1936.

 

Ma il romanzo può essere definito realistico in quanto tempi e luoghi sono determinati, così come i fatti sono reali, anche se talvolta si avvale  di procedure di trasfigurazione mitico- fantastiche.

Infatti la denuncia della durezza delle condizioni di vita delle plebi meridionali, il loro frustrante rapporto con lo stato, l’aggravamento dell’oppressione prodotta dall’ascesa del fascismo, avviene tramite  i toni e la libertà di semplificazione proprie di un racconto popolare.

 

Una tradizione di parabole, esempi, moralità, proverbi, sapienza abruzzese, una sorta di vangelo popolare, autoctono possiamo cogliere  nelle  parabole dei pidocchi,  delle gerarchie, dello stendardo di san Rocco, della vita e morte di S. Giuseppe da Copertino.

Nella parabola dei pidocchi si racconta con sarcasmo l’immaginario viaggio del Crocifisso e del papa sopra la Marsica nella notte della Conciliazione.

Al Crocefisso che propone dei benefici per alleviare la condizione dei cafoni, il papa oppone gli interessi del principe, dei governanti, dei grandi commercianti.

Alla fine l’unico dono per i cafoni che il papa ritiene produttivo estrarre dalla bisaccia del Signore, è una nuvola di pidocchi:

 

“Prendete, o figli amatissimi, prendete e grattatevi. Così nei momenti di ozio qualche cosa vi distrarrà dai pensieri del peccato”

 

Nell’episodio dello stendardo di S. Rocco il vessillo  che agisce come manto protettivo di introduzione alla terra promessa ha un tono di epica biblica, di viaggio verso la Palestina.

Viene ordine ai  Fontamaresi  adulti, di recarsi  ad Avezzano dove si riuniranno le autorità per decidere la questione del Fucino; i cafoni dovranno  alzare il gagliardetto durante il viaggio in camion e di cantare all’entrata del capoluogo.

Ma i  fontamaresi ignorano di quale gagliardetto si tratti ( era la bandiera del PNF) e innalzano la bandiera di S. Rocco che all’entrata in Avezzano, dopo una serie di scontri con le bande fasciste, sono costretti ad abbandonare ai carabinieri.

 

La vita e la morte di S. Giuseppe sono oggetto di una predica di don Abbacchio

( cognome gastronomico che rappresenta l’immagine del suo possessore); il santo viene descritto come un cafone fattosi frate senza essere  mai riuscitoad apprendere il latino.

Dopo la morte, salito per i suoi meriti  in Paradiso,  al Signore che lo amava e lo voleva ricompensare,  Giuseppe chiese solo un gran pezzo di pane bianco.

La rievocazione di un  Paradiso, dove quotidianamente ci si può saziare col pane bianco, un cibo di lusso, lontano mille miglia dalla quotidianità  degli affamati cafoni di Fontamara, lasciava i paesani con la bocca spalancata  per la meraviglia.

Questo  cristianesimo non ufficiale del mondo popolare di Silone, non dogmatico ma morale, che si muove in  chiave  evangelica e francescana, estremamente realistico, perché   dipendente dalle realtà quotidiane, funziona sia come messa alla berlina della classe dirigente, dei notabili, delle autorità sia  come momento di prevaricazione sui poveri.

Un esempio in tal senso è la burla dell’asino vestito da prete  ( quella delle burle ai cafoni di Fontamara è quasi un’abitudine da parte degli abitanti del capoluogo)

I Fontamaresi da circa mezzo secolo sono senza prete fisso perché la parrocchia ha una rendita troppo piccola; i paesani continuano, però, ad inviare suppliche al vescovo per avere un rappresentante della Chiesa.

Ad un certo punto ricevono la notizia che la loro richiesta è stata accolta e che devono  prepararsi a festeggiare l’arrivo del nuovo curato.

I cafoni fanno del loro meglio per preparare un degno ricevimento; aggiustano la chiesa; costruiscono un grande arco di trionfo con drappi e fiori all’entrata del paese; adornano le porte delle case con drappi diversi.

Infine nel giorno fissato escono tutti incontro al pastore che deve arrivare.

 

… e ne venne avanti, spinto a furia di calci e di sassate, il nuovo curato nella forma di un vecchio asino, adorno di carte colorate come paramenti sacri..”.

 

Un altro episodio quasi di derivazione gogoliana,  è costituito dalla storia dei morti –vivi.

Molte  persone  non denunciavano la morte dei propri familiari per votare  in loro nome un candidato – don Circostanza – che li pagava per tale servizio.

Il paese, perciò, diventa  famoso  nelle statistiche nazionali, per l’alto grado di longevità e di mortalità  pressocchè inesistente.

 

Nel 1936 viene pubblicato Vino e pane, di stampo autobiografico.

Ambientato durante la guerra d’Etiopia, ha come protagonista  Pietro Spina, un giovane intellettuale che, superando lo scontro tra ideologia e realtà, si dedica agli umili e agli oppressi avendo come ideale di vita la lotta per il  trionfo della  giustizia e della libertà.

Pietro è un militante politico che, malato e braccato dalla polizia, ritorna clandestinamente in Italia, avendo nostalgia della propria terra.

Il libro fu bollato dalla stampa fascista come una codarda diffamazione del popolo italiano dato che denunciava uno spaccato di storia  tra il  ‘35 e il ’40, caratterizzato da  fascismo, nazismo, autocrazia staliniana.

 

A 75 anni don Benedetto invita a casa propria  gli ex alunni: intervengono solo Nunzio e Concettino,  ma il prete che ha a cuore soprattutto la sorte di Pietro, un ribelle rivoluzionario, decide  di farlo cercare.

Un giorno il dottor Nunzio Sacca  riconosce l’amico tra i suoi pazienti: è stanco, malridotto e soprattutto malato.

Pietro spiega che, per sfuggire alla polizia che lo ricercava perché dissidente, si era cosparso il volto di tintura di iodio per rendersi irriconoscibile.

Per tale motivo il viso, pieno di rughe, gli conferisce un aspetto da vecchio.

Nunzio per aiutarlo a guarire, lo nasconde nel pagliaio di Cardile, un luogo solitario e quindi sicuro.

Pochi giorni dopo, però, Pietro, sentendosi in forze, parte per Fossa dei Marsi sotto le false spoglie di un prete, don Paolo Spada, sacerdote in convalescenza.

Viene accolto da Berenice la cui figlia,  Bianchina,  morente  a causa di un aborto clandestino, si fa benedire dallo pseudo prete.

Questi si reca poi a Pietrasecca, luogo della convalescenza, dove la lettura di libri sacri lo riavvicinano al Cristianesimo.

Nel frattempo Bianchina, miracolosamente guarita, lo raggiunge; a lei  viene affidato l’incarico di portare un messaggio ai compagni di partito a Roma.

A Pietrasecca  Paolo conosce molte persone, i cafoni del paese, don Pasquale e la figlia Cristina che  vuole farsi  suora.

Ella  diventa la confidente dell’uomo che nei suoi quaderni comincia a scrivere dialoghi immaginari con la giovane.

Al ritorno di Bianchina, abbandonato il travestimento, Paolo si reca a  Roma  per riprendere i contatti col Partito ma a causa di due avvenimenti ( conformismo acritico e degenerazione tirannica) decide di rompere con gli ex compagni.

Nel frattempo ritrova Uliva, con cui ha discussioni su cosa sia la libertà e sul senso della lotta rivoluzionaria.

L’amico, dopo poche ore, amareggiato nei confronti dell’ideologia rivoluzionaria, si  uccide.

Ripresi gli abiti di don Paolo, il protagonista  rientra a Pietrasecca dove apprende la dichiarazione di guerra all’Etiopia, che egli giudica negativamente.

Anche se immerso in un mondo di superstizioni, miseria e diffidenza, prova a stimolare nel popolo il sogno di un mondo migliore,  alimentando con  scritte murarie contro la guerra d’Abissinia , la voce del dissenso.

Egli parte dal presupposto che, siccome la dittatura si regge  sull’unanimità, anche una sola opposizione mette in pericolo l’ordine pubblico, crea panico e ravviva il fuoco sotto la cenere.

 

“ tra i cafoni corre il fuoco. State attenti, il fuoco di giorno non si vede, ma di notte luccica”

 

La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo. Si può vivere anche in paese di dittatura ed essere libero, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura”

 

La propaganda con le sue celebrazioni trionfali, però, riesce a convincere anche la povera gente.

Conosce Luigi Murica, divenuto a forza infiltrato della polizia di Roma, che  non sopportando tale situazione,  è tornato nella sua terra.

Viene però arrestato e muore in carcere tra le torture ( la sua morte è narrata con la simbologia sacrificale del Cristianesimo).

Pietro, scoperto dalla polizia,  fugge sulle montagne.

Cristina, a cui ha rivelato la propria identità, lo insegue portando con sé viveri e coperte pesanti. Ma, attorniata dai  lupi,  chiude gli occhi dopo aver fatto il segno della Croce.

La morte della fanciulla, che ha il valore simbolico della vittoria del male sull’innocenza, era stata preannunciata da Cassarola, la fattucchiera del villaggio

 

Sopra la montagna ci sta una bianca agnella e un lupo nero la guarda”.

 

Da un punto di vista stilistico sono presenti nella narrazione numerosi flashback.

Il narratore, esterno e misto, illustra i fatti in modo dettagliato.

Ma l’alternanza  Pietro- Paolo;  Spina-Spada ci dimostra come il procedimento per trame simboliche e allegoriche probabilmente derivi dalla cultura tipica della terra materna, l’Abruzzo, coi suoi fermenti millenaristici e profetici.

 

Il seme sotto la neve, del 1941, ha come protagonista ancora Pietro Spina costretto a nascondersi perché marxista.

Ma a causa delle vicissitudini e delle problematiche interiori, l’uomo  muta il proprio credo politico in un ideale di giustizia e di solidarietà umana fino a concludere che

 

Gesù è in ogni uomo che soffre

 

La scuola dei dittatori esce nel ‘38 in tedesco e compare  in Italia nel ’62.

Si tratta di un saggio sul totalitarismo, scritto in forma di dialogo  fra 3 protagonisti.

A causa della tematica trattata, le autorità svizzere  ostracizzano lo scrittore nella sua nuova attività di dirigente del Centro estero del Partito socialista.

Egli, perciò, si definisce “ socialista senza partito e cristiano senza chiesa”

Siamo nel 1939, prima dello scoppio della 2 guerra mondiale.

L’americano Mister Doppio –Vu vuole instaurare una dittatura in America.

Per scoprire se esistano delle tecniche per attuare tale proposito, cerca di trovare, compiendo lunghi viaggi, persone qualificate  che gli insegnino il percorso.

Giunto a Zurigo per motivi di salute,  incontra Tommaso il Cinico, alter ego dello scrittore, un ex comunista in esilio.

Il nome non è attribuito a caso: Tommaso fa riferimento al santo che voleva toccare con mano la verità; Cinico è usato in senso etimologico di cane , cioè errante, ma anche come richiamo ai filosofi che inseguivano la virtù.

Tommaso  è il contraltare del Mister  a cui vuole opporsi .

Accanto a Mister  c’è il connazionale  professor Pickup, inventore della pan tautologia (  che dovrebbe diventare “ la dottrina ufficiale e obbligatoria dello stato”)  che in Europa  cerca di trovare l’uovo di Colombo.

Tommaso comincia il racconto parlando del fascismo e del nazismo, entrambi regimi totalitari.

Si sofferma in particolare sulla personalità di Mussolini e Hitler che, pur con mediocri capacità intellettuali, sono riusciti a creare intorno a loro  una sorta di mito che ha fatto presa sulle masse.

Essi sono degli “ opportunisti di genio”che, muovendosi per istinto  sfruttano le debolezze  del loro tempo, sia politiche che religiose, per giungere al potere.

Dal testo traspare un  senso di impotenza ma anche una continua tensione morale e desiderio di analizzare ciò che ha portato alle aberrazioni del presente.

 

Nel ’44 Silone rientra in Italia e dirige l’Avanti.

Nel ’49 fonda il PSU, una specie di costituente per l’unione su nuove basi di tutte le forze socialiste.

Quando il tentativo fallisce, Silone si ritira definitivamente dalla politica militante.

L’ultimo Silone appare come intellettuale libero, sociologo, saggista di costume, polemista  con risultati mediocri ( basti vedere i suoi interventi su Tempo Presente)

Durante la vita della rivista continua il lavoro narrativo.

 

Una manciata di more è del 1952.

L’ingegnere Rocco  de Donatis , ex partigiano di stampo comunista, non accetta l’autoritarismo del suo partito nel quale crede don Nicola che capisce la differenza tra il vero cristianesimo e quello della chiesa ufficiale.

 

Il segreto di Luca  è del  1956.

Luca Sabatini è un ergastolano che dopo circa 40 anni di carcere viene graziato e torna nella  sua casa natale  a Cisterna, un povero paese della Marsica.

 

“Egli aveva l’aspetto d’un uomo sulla settantina, poverissimo, ma sano alto robusto, certamente ancora valido al lavoro, benché d’indefinibile mestiere. Caso raro tra la gente di campagna di quella contrada , egli non portava il copricapo. I suoi capelli e4rano grigi e assai corti, la barba di alcuni giorni, i piedi scalzi. Il suo vestito pareva pulito, ma consunto e rattoppato; più singolare il fatto che, in contrasto col gran caldo della stagione, esso fosse di panno pesante. Da una spalla gli pendeva una bisaccia, da cui sporgevano un filoncino di pane bianco e un paio di scarpe”.

 

 

La descrizione del paese è desolata.

 

“Il paese sembrava disabitato. Le vie erano deserte, le porte e le finestre chiuse, silenziose. Lungo la via principale casette nuove, ancora fresche di muratura, si alternavano alle antiche, a mucchi di macerie e a baracche”.

 

La notizia del ritorno di Luca viene accolta con ansia da parte degli abitanti perché all’epoca del processo tutto il paese, pur convinto dell’innocenza dell’uomo, non aveva fatto nulla per aiutarlo.

Il maresciallo dei carabinieri, preoccupato,  va a parlare col sindaco perché è convinto che Luca sia rientrato per vendicarsi di tutti quelli che, falsamente, gli avevano remato contro.

 

“Disse il sindaco..  “dopo tanti anni , i supposti falsi testimoni sono già morti. Almeno, ci sarebbe da sperarlo”

“ Vorrei esserne certo – disse il maresciallo – E poi chi ci garantirebbe che la vendetta non colpisca i loro figli?”

 

Negli stessi giorni ritorna nel paese anche Andrea Cipriani, un ex partigiano.

 

“Era alto e snello, con un berretto basco come copricapo, in maniche di camicia e calzoncini corti, e tutto polveroso dalla testa ai piedi, come chi abbia fatto molta strada. In più, una certa aria che pareva di prepotenza. L’uomo era arrivato con una motocicletta che aveva intanto appoggiato al muro; sul portabagaglio, dietro la sella, stava legata una valigetta”.

 

Andrea, che si era  arruolato nella Resistenza per combattere il fascismo, viene accolto trionfalmente  dalle autorità che ne vogliono sfruttare gli appoggi politici.

 

“Andrea pareva un semplice maestro di scuola; a quel che si diceva , perfino un buon maestro, benché di carattere scontroso  e difficile.. All’inizio di una delle guerricciole mosse dal passato governo contro i popoli inermi ( adesso non ricordo più se fosse il turno degli spagnoli o degli etiopi) Andrea dichiarò in piazza, in un crocchio di conoscenti: “ E’ un’ignominia”…Convocato nella sede del partito, egli ripetè la sua affermazione…Si capisce che fu più che sufficiente per il suo immediato imprigionamento e il resto”

 

Il giovane da ragazzino, supplicato  da Teresa, la madre di Luca, di nascosto di tutti aveva aiutato la donna analfabeta  a scrivere al figlio e tramite le lettere in un certo senso si era affezionato alle tristi vicende dell’ergastolano.

 

 “ Tua madre, come ben sai benché intelligente al di sopra della media delle donne della sua condizione,non era mai stata a scuola, non aveva imparato  a leggere e a scrivere”

“ L’insegnamento del leggere e dello scrivere alle donne,era ancora considerato, se non un peccato, per lo meno una frivolezza. Ciò che una donna del popolo doveva sapere, erano alcune preghiere e per questo bastava la memoria”

 

Incontrato Luca, Andrea comincia ad indagare sulla vicenda che aveva portato l’uomo in carcere : tra l’altro vuole capire perché  all’epoca lo stesso imputato aveva rifiutato di dare qualsiasi spiegazione ai suoi comportamenti.

 

“ Pare che l’indizio maggiore contro il Sabatini…fosse che, la notte del delitto, egli non era rincasato. Al processo egli rifiutò di dire dove avesse pernottato”

Fu condannato all’ergastolo in base ad alcuni indizi a lui sfavorevoli…Tutto vi fu misterioso, e principalmente l’attitudine dell’accusato che rifiutò di difendersi. Ma alcuni mesi fa, un uomo di Perticara, qui vicino, prima di morire ha confessato la propria colpa e ne ha dato prove convincenti. Dopo una quarantina d’anni d’ergastolo l’innocente è stato perciò liberato ed è tornato qui, senza un centesimo d’indennità”.

 

Luca, anche se ora è libero, viene evitato  sia  dai vecchi coetanei che dal giudice inquisitore.

Andrea, continuando  ad indagare, incontra Gelsomina, la sorella della ex fidanzata, Lauretta, che è morta per il dolore di essere stata abbandonata proprio la sera in cui veniva commesso l’omicidio di un mercante che era a bordo del suo calesse sulla strada d’Avezzano.

 

“ Sento orrore di me stesso – disse.

 Pareva che avesse l’anima tra i denti. Singhiozzava come un bambino. Il suo volto assunse un’espressione terribilmente disperata. Lauretta rimase atterrita.

“ Non voglio – disse – che tu sia infelice con me. Sei ancora in tempo per ritirarti”

 Tra la sorpresa generale Luca si mise in ginocchio davanti a lei e le chiese perdono del male che le faceva…

“ Non posso sposarti…Sarebbe un sacrilegio..”.

 

Andrea arriverà alla verità dopo aver parlato con i coniugi Ludovico e Agnese che  avevano visto  Luca disperarsi davanti alla loro abitazione proprio al momento dell’omicidio ma non si erano presentati per testimoniare in suo favore.

Luca all’epoca non aveva parlato di dove si trovasse per non compromettere l’onestà di una donna di cui era innamorato e che ora era sposa del suo datore di lavoro.

 

“Luca e Ortensia si parlavano…Quasi indifferente dapprima, egli cominciò a spasimare dopo che la vide sposa…Eppure, dal momento che tra don Silvio e Ortensia c’era il sacramento , egli doveva sapere che per lui non c’erano più speranze..

 

..La faccenda invece era seria, e lo divenne ancora di più appena noi ci accorgemmo che Ortensia si stava a poco a poco accendendo allo stesso fuoco.”

 

…Alcuni giorni dopo la condanna , Ortensia mi mandò a chiamare…

“Dal momento che lui ha accettato volontariamente l’ergastolo per amor mio…ormai non potrò più vivere senza pensare a lui…

…Chi mi salverebbe dalla vergogna..di presentarmi davanti a Dio dopo aver lasciato solo l’uomo che mi ha offerto la sua anima?…

 

Alla fine  Andrea e Luca si salutano;  l’uomo viene a sapere che dopo la sua condanna Ortensia aveva abbandonato il marito e si era rifugiata in un convento di suore sino al momento della morte.

 

“ Che io non fossi un assassino – disse Luca – credo che qui lo sapessero tutti, a eccezione, s’intende , dei carabinieri. Come si spiegherebbe altrimenti il rancore che i vecchi ancora oggi mi portano? Devi sapere che, all’epoca dell’ultimo brigantaggio…anche un paio d’uomini di qui si diedero alla macchia e commisero grassazioni e omicidi: ebbene, la maggioranza della popolazione simpatizzava con essi. Ma il mio delitto,agli occhi dei paesani, era d’altro genere, assai peggiore.”

 

L’ambiente descritto è chiuso, intriso di un perbenismo fatto di esteriorità e reticenze pseudo moralistiche.

 

 

La volpe e le camelie del 1959 è ambientato  in Svizzera,

Daniele  è un antifascista che abita nel Canton Ticino. La figlia Silvia si innamora di Cefalù, un giovane  spia del regime fascista.

Ma  la frequentazione  di Daniele, uomo di grande integrità morale  e l’amore di Silvia, farà sì che Cefalù preferisca  morire piuttosto che  fare in nome del futuro suocero.

 

Con Uscita di sicurezza del 1965  Silone affronta , lucidamente, il problema della conflittualità tra la libertà del singolo e le ragioni addotte dal partito.

 

 

Ne L’avventura di un povero cristiano del 1968 lo scrittore si sofferma sul tema del Cristianesimo e sulla  riscoperta dei valori cristiani.

E’ la storia di un povero papa, incapace di essere all’altezza del proprio ministero per l’ eccessiva mitezza del carattere.

Siamo alla fine del XIII secolo:  la Chiesa è senza guida dato che i cardinali riuniti in Conclave, non riescono a trovare un accordo sul nome del futuro papa.

Concetta, figlia  di Matteo da Pratola, un umile tessitore di Sulmona, spiega come si sia giunti ad una simile situazione.

Matteo è amico  di alcuni monaci morronesi che, perseguitati dal vescovo come eretici,  sono giunti a Sulmona per incontrare  fra’ Pietro, un eremita semplice, modesto e  in odore di santità.

Egli  impedisce l’arresto sia dei monaci che di Matteo, ingiustamente accusato  di aver contratto dei debiti col barone del posto.

E’ un ‘ originale rilettura della storia dell’eremita Pietro da Morrone, papa per 3 soli mesi col nome di Celestino V.

Egli, abdicando, ( “Colui che fece il gran rifiuto”, dice Dante ) favorì l’ascesa al soglio pontificio del cardinale Caetani che, col nome di Bonifacio VIII, continuerà il periodo di corruzione della Chiesa romana.

 

Silone si definisce  “ Io sono un socialista senza partito ed un cristiano senza chiesa”, dato che , pur condividendo  le idee socialiste, non si sente più legato ad una politica fatta di compromessi.   Inoltre rifiutando la corruzione della Chiesa di Roma, cerca di  avvicinarsi  all’insegnamento di Cristo e all’interesse per la povera gente.

 

Il breve romanzo, Severina, viene pubblicato, post mortem, nel 1982 per volere della moglie Dorina.

Il racconto si basa sul binomio Severina – Silone.

Severina lascia il convento  per tentare di dar voce agli oppressi, basandosi su un Cristianesimo vero, autentico e non di facciata.

Ferita durante una sommossa al momento di morire si apre con una consorella a parole di speranza ( in cui si saldano cristianesimo e socialismo)