CESARE

Caio Giulio Cesare

Nacque a Roma il 13 luglio del 100 a.C.  da una illustre famiglia patrizia che vantava la discendenza da Iulo,  figlio del mitico Enea.

La zia paterna Giulia era moglie di Gaio Mario, capo dei populares, la madre, Aurelia, discendeva dai primi re.

A 15 anni gli morì il padre.

Nell’83 a.C.,molto giovane, sposò Cornelia, figlia di Cinna, un noto esponente del partito mariano; da lei ebbe  la figlia Giulia.

Studiò filosofia e retorica a Roma e in Grecia con i migliori maestri, aderendo allo stile atticista.

Iniziò il cursus honorum coi populares: fu questore in Spagna, edile, pontifex maximus, pretore, propretore per governare la Spagna nel 61 a.C.

Nel  60 a.C., dopo varie e segrete manovre, strinse un accordo privato, il I triumvirato, con Pompeo che era sostenuto dall’esercito, e col ricchissimo Crasso, che rappresentava gli equites.

Grazie a questo accordo divenne console nel 59 a.C.

I tre uomini  erano accumunati fra loro da un’identica ostilità contro la nobiltà senatoria, perciò unirono i loro progetti per governare la res publica.

Ottenne successivamente, per la durata di 5 anni, il proconsolato nella Gallia Cisalpina, Gallia Narbonense e nell’Illirico.

Rafforzò l’alleanza con Pompeo, dandogli in sposa la figlia Giulia.

Ottenuto il consolato,  fece approvare due leggi agrarie  in favore dei veterani di Pompeo e poi un’altra legge, in contrasto col volere del Senato, che ne riconosceva l’operato in Asia.

Fino al 52 a.C. completò la conquista delle Gallie e sbarcò anche in Britannia.

Morti Giulia e Crasso ( in una sfortunata campagna contro i Parti in Oreinte), si scontrò con Pompeo, sostenuto dal Senato.

Nel 49 a.C. dichiarato nemico pubblico, varcò il Rubicone, che segnava il confine tra il territorio italico e la Gallia cisalpina, e si diresse verso Roma dove nel frattempo era stato proclamato lo stato d’assedio.

Iniziata  la guerra civile, Cesare conquistò l’Italia e la Spagna.

Intanto Pompeo, sconfitto a Farsalo ( 48 a.C.)  cercò rifugio in Egitto dove però fu assassinato.

La guerra continuò e  Cesare sconfigge gli alleati alleati del genero: Farnace,re del Ponto a Zela (47 a.C),  e gli ultimi pompeiani a Tapso ( in Africa, 46 a.C.) e a Munda (in Spagna, 45 a.C.)

Poi si accinse ad una vasta opera di trasformazioni politiche.

Cercò di realizzare l’equilibrio delle classi e la giustizia sociale, limitò il potere del senato, immettendovi membri di ogni ceto, frenò le speculazioni dei cavalieri, aiutò con sovvenzioni bisognosi e inabili al lavoro, assicurò la giustizia amministrativa nelle province migliorandone la condizione giuridico –  politica e concedendo la cittadinanza latina ( alla Sicilia) o romana ( ai Galli cisalpini).

Ma il suo programma di equilibrio e di giustizia sociale non solo aveva imposto rinunce alle varie classi  ma aveva anche leso gli interessi di molti. In questo clima nacque da parte di uomini a cui era legato o che dal lui erano stai beneficati la congiura che fu mascherata da motivi ideali.

Cadde sotto i colpi di pugnali il 15 marzo 44 a.C. per mano di un gruppo di repubblicani, tra cui Marco Bruto e Caio Cassio.

Scrisse i Commentarii de bello Gallico e i Commentarii de bellocivili.

Nella letteratura delle origini per commentari si intendevano i prontuari redatti dai collegi religiosi per conservare il ricordo di casi o di questioni speciali. Si ricordano i Commentarii pontificum,Commentarii augurum, ecc.

Inseguito con questo termine furono indicati i ricordi, le memorie scritte da chi voleva raccontare, per tramandarle ai posteri, azioni o vicende personali.

Commentarii de bello Gallico

In 7 libri, uno per ogni anno di guerra; non si sa  se siano stati scritti e pubblicati anno per anno oppure composti in blocco e pubblicati alla fine della guerra.

Sono il resoconto delle varie campagne di Gallia condotte da Cesare dal 58 al 52 a.C.

Alcuni ritegono che siano stai scritti con intenzione propagandistica per difendersi da quanti da lontano ne criticavano l’attività bellica

Secondo altri avevano lo scopo di costituire una piattaforma su cui innescare la futura ascesa in direzione dello stato romano.

Descritta rapidamente la configurazione della Gallia e dei suoi abitanti, presenta la situazione degli Elvezi che volevano spostarsi verso nuove terre , passando per la provincia romana. Cesare si oppone,Rispondendo a una richiesta di aiuto degli Edui minacciati dagli Elvezi, egli trasforma l’intervento in una guerra di conquista dei territori d’oltralpe (Gallia, Germania, Belgio, Britannia Meridionale) fino al Reno; i Romani si impongono per doti personali e organizzative, di fronte a cui nulla possono i barbari, valorosi ma infidi e divisi; tra loro spiccano Ariovisto, re degli Svevi e Vercingetorige, capo degli Arverni che aveva incendiato terre e villaggi per ridurre i Romani alla fame. Cesare assalito sbaraglia i nemici che si rifugiano ad Alesai. I romani assediano la città e dopo alterne vicende ha la meglio sui galli che si arrendono. Vercingetorige è consegnato al vincitore.  

L’autore parla di sè in terza persona e si descrive come un geniale stratega capace di risolvere anche le più intricate situazioni.

E’ assai acuto nel dare giudizi su uomini, cose e situazioni ma dà ampio spazio alle imprese dei suoi soldati. Interessanti le descrizioni dei territori nemici,  gli usi e i costumi dei nemici barbari, cui riconosce in più occasioni  i meriti e  valore bellico.

Dopo la morte di Cesare, Aulo Irzio, suo luogotenente compose un ottavo libro in cui sono narrati gli avvenimenti degli anni 51 e 50 a.C.,

 

Il De bello gallico inizia con la descrizione della Gallia e delle sue popolazioni

Gallia est omnis divisa in  partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua institutis legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Inter omnes constat horum omnium fortissimos esse Belgas, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea, quae ad effeminandos animos pertinent, important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt. Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano; continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum; adtingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum; vergit ad septentriones.    

                                                                                         

La Gallia è tutta divisa in 3 parti, delle quali una è abitata dai Belgi, l’altra dagli Aquitani, la terza è abitata da quelli che la loro stessa lingua chiama Celti, la nostra Galli. Tutti questi differiscono tra loro per lingua,istituzioni e leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, il Matrona e il Sequana dai Belgi.

Di tutti questi i più forti sono i Belgi, per il fatto che sono lontanissimi dalla cultura e dalla civiltà della provincia, e perché da quelli ben di rado passano i mercanti e importano gli oggetti che tendono ad indebolire gli animi, e perché sono i piùvicini ai Germani che abitano al di là del Reno con i quali continuamente sostengono guerre. Per questo motivo anche gli Elvezi precedono per virtù i Galli rimanenti, perché combattono scontri quasi quotidiani con i Germani, dato che o essi si spingono fino ai loro confini o portano essi stessi la guerra nei loro confini. Di quelli una parte, che i Galli si dice tengano,ha inizio dal fiume Rodano; è delimitata dal fiume Garonna ,dall’Oceano dai confini dei Belgi, il fiume Reno confina anche con i Sequani e gli Elvezi; volge a settentrione. I belgi iniziano dagli estremi confini della Gallia; si estendono fino alla parte inferiore del fiume Reno; sono rivolti a settentrione e ad Oriente del sole. L’Aquitania si estende dal fiume Garonna ai Pirenei e quella parte dell’Oceano che è in spagna; rivolta tra dove tramonta il sole e il settentrione.

Orgetorige, capo militare degli Elvezi, spinto dai Germani, organizzò una migrazione  collettiva degli Elvezi  e dei loro alleati verso la Gallia Narbonense

Apud Helvetios longe nobilissimus fuit et ditissimus Orgetorix. Is M. Messala, M. Pisone consulibus regni cupiditate inductus coniurationem nobilitatis fecit et civitati persuasit ut de finibus suis cum omnibus copiis exirent: perfacile esse, cum virtute omnibus praestarent, totius Galliae imperio potiri. Id hoc facilius iis persuasit, quod undique loci natura Helvetii continentur: una ex parte flumine Rheno latissimo atque altissimo, qui agrum Helvetium a Germanis dividit; altera ex parte monte Iura altissimo, qui est inter Sequanos et Helvetios; tertia lacu Lemanno et flumine Rhodano, qui provinciam nostram ab Helvetiis dividit. His rebus fiebat ut et minus late vagarentur et minus facile finitimis bellum inferre possent; qua ex parte homines bellandi cupidi magno dolore adficiebantur. Pro multitudine autem hominum et pro gloria belli atque fortitudinis angustos se fines habere arbitrabantur, qui in longitudinem milia passuum CCXL, in latitudinem CLXXX patebant.

Orgetorige fu, presso gli Elvezi, di gran lunga il più nobile e ricco. Egli, con i consoli Messala e Pisone,spinto dal desiderio del regno, fece una congiura della nobiltà e persuase la cittadinanza ad uscire dai confini con tutte le truppe: diceva che era facilissimo impadronirsi del comanda di tutta la Gallia, perché superavano tutti in valore. Egli li persuase tanto più facilmente di ciò, poiché gli Elvezi sono delimitati da ogni parte dalla natura del luogo:da una parte dal fiume Reno, molto largo e profondo, il quale divide il territorio elvetico dai Germani; l’altra parte dall’altissimo monte Ima, che si erge tra i Sequani e gli Elvezi; dalla terza parte dal lago Lemano e dal fiume Rodano, il quale divide la nostra provincia dagli Elvezi. Per queste cose accadeva che meno largamente avevano libero campo di uscire e meno facilmente potevano guerreggiare coi popoli confinanti; per questo motivo gli uomioni desiderosi di combattere erano colpiti da un grande dolore. Poi, in proporzione alla moltitudine degli uomini, della gloria e del valore, pensavano che avevano dei confini ristretti che si estendevano in lunghezza per 240000 passi e in larghezza 180000 passi..  

Orgetorige d’accordo con l’eduo Dumnorige e col sequano Castico, cerca di impadronirsi del potere.

His rebus adducti et auctoritate Orgetorigis permoti constituerunt ea quae ad proficiscendum pertinerent comparare, iumentorum et carrorum quam maximum numerum coemere, sementes quam maximas facere, ut in itinere copia frumenti suppeteret, cum proximis civitatibus pacem et amicitiam confirmare. Ad eas res conficiendas biennium sibi satis esse duxerunt; in tertium annum profectionem lege confirmant. Ad eas res conficiendas Orgetorix deligitur. Is sibi legationem ad civitates suscipit. In eo itinere persuadet Castico, Catamantaloedis filio, Sequano, cuius pater regnum in Sequanis multos annos obtinuerat et a senatu populi Romani amicus appellatus erat, ut regnum in civitate sua occuparet, quod pater ante habuerit; itemque Dumnorigi Haeduo, fratri Diviciaci, qui eo tempore principatum in civitate obtinebat ac maxime plebi acceptus erat, ut idem conaretur persuadet eique filiam suam in matrimonium dat. Perfacile factu esse illis probat conata perficere, propterea quod ipse suae civitatis imperium obtenturus esset: non esse dubium quin totius Galliae plurimum Helvetii possent; se suis copiis suoque exercitu illis regna conciliaturum confirmat. Hac oratione adducti inter se fidem et ius iurandum dant et regno occupato per tres potentissimos ac firmissimos populos totius Galliae sese potiri posse sperant.

Spinti da queste cose e smossi dall’autorità di Orgetorige, stabilirono di preparare le cose che erano necessarie e di partire, diminuire un numero più grande possibile di giumenti e di cani, raccogliere sementi il più possibile perché l’abbondanza di grano bastasse per il viaggio, rinsaldare la pace e l’amicizia con i popoli vicini. Per portare a termine quelle cose pensarono che erano sufficienti per loro 2 anni. Nel 3 anno stabilirono la partenza con una legge. Per portare a termine quelle cose è scelto Orgetorige. Egli prese l’ambasciatura presso le città. In quel viaggio egli persuade Castico, figlio sequano di Catamantalidi, che aveva avuto dal padre il regno dei Sequani per molti anni ed era definitoo amico del popolo romano dal senato, affinchè occupasse il regno nella sua città, che il padre aveva avuto prima ; nello stesso modo persuade di tentare la stessa impresa l’eduo Dumnorigi, fratello di Diviziaco  che in quel tempo teneva nella città il principato ed era molto bene accetto alla plebe, a lui dà la propria figlia in sposa. Dimostra facile a farsi i tentativi  perché aveva intenzione di ottenere il comando proprio della stessa città. Non c’era dubbio che gli Elvezi fossero i più forti di tutta la Gallia; conferma che avrebbe dato se stesso con le sue truppe e il suo esercito per conciliare i regni. Spinti da questo discorso, danno tra loro la parola d’onore e i giuramenti e sperano di impadronirsi di tutta la Gallia, occupato il regno, per mezzo di 3 potentissimi e fortissimi popoli.

Vie di fuga

Erant omnino itinera duo, quibus itineribus domo exire possent: unum per Sequanos, angustum et difficile, inter montem Iuram et flumen Rhodanum, vix qua singuli carri ducerentur, mons autem altissimus impendebat, ut facile perpauci prohibere possent; alterum per provinciam nostram, multo facilius atque expeditius, propterea quod inter fines Helvetiorum et Allobrogum, qui nuper pacati erant, Rhodanus fluit isque non nullis locis vado transitur. Extremum oppidum Allobrogum est proximumque Helvetiorum finibus Genava. Ex eo oppido pons ad Helvetios pertinet. Allobrogibus sese vel persuasuros, quod nondum bono animo in populum Romanum viderentur, existimabant vel vi coacturos ut per suos fines eos ire paterentur. Omnibus rebus ad profectionem comparatis diem dicunt, qua die ad ripam Rhodani omnes conveniant. Is dies erat a. d. V. Kal. Apr. L. Pisone, A. Gabinio consulibus.

C’erano in tutto  due vie, per le quali potessero uscire dalla patria: una attraverso i Sequani, angusta e difficile, tra il monte Ima e il fiume Rodano, per la quale un solo carro a stento poteva essere condotto; inoltre il monte incombeva altissimo, tanto che pochi avrebbero potuto ostacolare il passaggio con facilità; l’altra via era attraverso la nostra provincia, molto più facile e veloce, anche perché tra i confinidegli Elvezi e degli Allobrogi, i quali erano stati sottomessi da poco, scorre il Rodano, ed esso è attraversato a guado in non pochi punti. L’ultima città degli Allobrogi e la più vicina ai confini elvezi è Ginevra. Da quella città parte un ponte per gli Elvezi. Pensavano che o avrebbero persuaso gli Allobrogi, poiché non sembravano ancora essere ben disposti verso il popolo romano, o li avrebbero costretti con la forza, affinchè sopportassero che essi passassero per i loro territori. Preparate tutte le cose per la partenza, stabiliscono un giorno, nel quale riunirsi tutti quanti presso la riva del Rodano. Quel giorno, il 28 marzo, Lucio Pisone e A. Gabini erano consoli.

Il fiume Arar

Flumen est Arar, quod per fines Haeduorum et Sequanorum in Rhodanum influit, incredibili lenitate, ita ut oculis in utram partem fluat iudicari non possit. Id Helvetii ratibus ac lintribus iunctis transibant. Ubi per exploratores Caesar certior factus est tres iam partes copiarum Helvetios id flumen traduxisse, quartam vero partem citra flumen Ararim reliquam esse, de tertia vigilia cum legionibus tribus e castris profectus ad eam partem pervenit quae nondum flumen transierat. Eos impeditos et inopinantes adgressus magnam partem eorum concidit; reliqui sese fugae mandarunt atque in proximas silvas abdiderunt. Is pagus appellabatur Tigurinus; nam omnis civitas Helvetia in quattuor pagos divisa est. Hic pagus unus, cum domo exisset, patrum nostrorum memoria L. Cassium consulem interfecerat et eius exercitum sub iugum miserat. Ita sive casu sive consilio deorum immortalium quae pars civitatis Helvetiae insignem calamitatem populo Romano intulerat, ea princeps poenam persolvit. Qua in re Caesar non solum publicas, sed etiam privatas iniurias ultus est, quod eius soceri L. Pisonis avum, L. Pisonem legatum, Tigurini eodem proelio quo Cassium interfecerant.

L’Arar è un fiume che sfocia nel Rodano attraverso i territori degli Edui e dei Sequani con incredibile lentezza, tanto che con gli occhi non si p giudicare in quale parte scorra. Gli Elvezi lo attraversavano con barche e zattere unite insieme. Quando Cesare fu informato dagli esploratori che già gli Elvezi avevano portato al di là del fiume tre parti delle truppe, e quasi la 4 parte era rimasta al di là del fiume Arar, alla 3 vigilia, partito con 3 legioni dall’accampamento , giunse alla parte che ancora non aveva attraversato il fiume. Assaliti quelli,impediti dai carichi e che non se l’aspettavano, ne uccise una gran parte ; i restanti si diedero alla fuga e si nascosero nei boschi vicini. Quel villaggio si chiamava Tigurino;infatti tutta la popolazione elvetica è divisa in 4 villaggi. Questo villaggio da solo, essendo uscito dalla città al tempo dei nostri antenati, aveva ucciso il console L.Cassio e aveva messo sotto il giogo il suo esrcito. Così, o per caso, o per decisione degli dei immortali, quella parte della civiltà elvetica che aveva portato una grande calamità al popolo romano,quella per prima pagò il fio. In quell’occasione Cesare vendicò non solo le pubbliche ingiurie ma anche quelle private poiché l’antenato di suo nonno Pisone , l’ambasciatore Pisone, nella stessa battaglia in cui avevano ucciso Cassio, avevano ucciso i Tigurini.

Alesia,  centro fortificato nella Gallia Lugdunensis

Ipsum erat oppidum Alesia in colle summo admodum edito loco, ut nisi obsidione expugnari non posse videretur; cuius collis radices duo duabus ex partibus flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter milia passuum tria in longitudinem patebat: reliquis ex omnibus partibus colles mediocri interiecto spatio pari altitudinis fastigio oppidum cingebant. Sub muro, quae pars collis ad orientem solem spectabat, hunc omnem locum copiae Gallorum compleverant fossamque et maceriam sex in altitudinem pedum praeduxerant. Eius munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus XI milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant posita ibique castella viginti tria facta, quibus in castellis interdiu stationes ponebantur, ne qua subito eruptio fieret: haec eadem noctu excubitoribus ac firmis praesidiis tenebantur.

La stessa fortezza di Alesia era situata sulla sommità del colle, in un luogo assai elevato,tanto che non sembrava si potesse espugnare se non con un assedio; due fiumi bagnavano da due parti le radici di quel colle. Davanti alla fortezza si estendeva una pianura di circa 3000 passi di longitudine; a breve distanza con le rimanenti parti del colle cingevano con pari altezza la città. Sotto il muro, quella parte del colle che volgeva verso oriente, le truppe dei Galli avevano riempito tutto quel luogo e avevano fatto una fossa di 6 piedi in altitudine. Il perimetro delle fosse di circonvallazione, che erano fatte dai Romani, conteneva 11.000 passi. Gli accampamenti erano sistemati in luoghi opportuni e lì erano stati posti dei turni di guardia affinchè non si verificasse un’improvvisa sortita :inoltre di notte gli stessi erano controllati da presidi e corpi di guardia.

Arrivo ad Alesia

Interea Commius reliquique duces quibus summa imperi permissa erat cum omnibus copiis ad Alesiam perveniunt et colle exteriore occupato non longius mille passibus ab nostris munitionibus considunt. Postero die equitatu ex castris educto omnem eam planitiem, quam in longitudinem tria milia passuum patere demonstravimus, complent pedestresque copias paulum ab eo loco abditas in locis superioribus constituunt. Erat ex oppido Alesia despectus in campum. Concurrunt his auxiliis visis; fit gratulatio inter eos, atque omnium animi ad laetitiam excitantur. Itaque productis copiis ante oppidum considunt et proximam fossam cratibus integunt atque aggere explent seque ad eruptionem atque omnes casus comparant.

Frattanto Commio e i rimanenti condottieri, ai quali era stato affidato il sommo comando, giungono con tutte le truppe  presso Alesia e, occupata l’estremità del colle, a non più di 1000 passi dalle nostre posizioni, si stabiliscono. Il giorno dopo, fatta uscire la cavalleria dagli accampamenti, occupano tutta quella pianura che dimostrammo estendersi per 3000 passi in lunghezza, stabiliscono le truppe pedestri un po’ più in là da quel luogo, dopo averle nascoste nei luoghi più alti. Dalla città di Alesia vi era la visione sul campo. Visti questi aiuti, accorrono; si congratulano tra loro, e gli animi di tutti si abbandonano alla letizia. E così, condotte davanti alla città le truppe, si riuniscono  e coprono la fossa più vicina con  legna e terra e  si preparano alla sortita e ad ogni evenienza.        

                                                                                     

Il pronto ntervento di Cesare  ribalta una situazione quasi catastrofica.

Caesar ab decimae legionis cohortatione ad dextrum cornu profectus, ubi suos urgeri signisque in unum locum conlatis duodecimae legionis confertos milites sibi ipsos ad pugnam esse impedimento vidit. Quartae cohortis omnibus centurionibus occisis signiferoque interfecto, signo amisso, reliquarum cohortium omnibus fere centurionibus aut vulneratis aut occisis, in his primipilo P.Sextio Baculo, fortissimo viro, multis gravibusque vulneribus confecto, ut iam se sustinere non posset, reliquos esse tardiores et non nullos ab novissimis desertos proelio excedere ac tela vitare, hostis neque a fronte ex inferiore loco subeuntes intermittere et ab utroque latere instare et rem esse in angusto vidit neque ullum esse subsidium quod submitti posset, scuto ab novissimis uni militi detracto, quod ipse eo sine scuto venerat, in primam aciem processit centurionibusque nominatim appellatis reliquos cohortatus milites signa inferre et manipulos laxare iussit, quo facilius gladiis uti possent. Cuius adventu spe inlata militibus ac redintegrato animo, cum pro se quisque in conspectu imperatoris etiam in extremis suis rebus operam navare cuperet, paulum hostium impetus tardatus est.

Cesare, esortata la decima legione, spostatosi verso  l’ala destra, vide che i suoi erano incalzati  e che,riunite le insegne in un solo punto, i soldati della dodicesima legione, così pigiati, essi stessi erano di impedimento per la battaglia. Uccisi tutti i centurioni della quarta coorte , caduto l alfiere, perduta l’insegna, quasi tutti i centurioni delle restanti cooorti o feriti o uccisi, e tra questi il valorosissimo primipilo Sestio Baculo, coperto da molte e gravi ferite così da non potersi tenere in piedi, si accorse che tutti gli altri fiacchi e inoltre che alcuni della retroguardia, abbandonando il loro posto, cercavano di evitare i dardi mentre i nemici dal basso non cessavano d’avanzare al centro e premevano da ambo i lati, e che tutto era in grande confusione, senza truppe di riserva da mandare in aiuto, strappato lo scudo ad un soldato assoldato tra gli ultimi, poiché egli era venuto colà senza scudo, si portò nelle prime file e chiamando per nome i centurioni e incitando tutti gli altri soldati, ordinò di muovere al contrattacco,allargando le file dei manipoli affinchè ognuno potesse servirsi più facilmente delle spade. Il suo arrivo fece rinascere la speranza nei soldati e ridiede forza agli animi, e, desiderando ciascuno di mostrare in cospetto del comandante il proprio valore in quel momento di estremo pericolo, l’assalto nemico fu alquanto arrestato.

Gergovia

Caesar ex eo loco quintis castris Gergoviam pervenit equestrique eo die proelio levi facto perspecto urbis situ, quae posita in altissimo monte omnes aditus difficiles habebat, de expugnatione desperavit, de obsessione non prius agendum constituit, quam rem frumentariam expedisset. At Vercingetorix castris, prope oppidum positis, mediocribus circum se intervallis separatim singularum civitatium copias collocaverat atque omnibus eius iugi collibus occupatis, qua despici poterat,  horribilem speciem praebebat; principesque earum civitatium, quos sibi ad consilium capiendum delegerat, prima luce cotidie ad se convenire iubebat, seu quid communicandum, seu quid administrandum videretur;  neque ullum fere diem intermittebat quin equestri proelio interiectis sagittariis, quid in quoque esset animi ac virtutis suorum perspiceret.  Erat e regione oppidi collis sub ipsis radicibus montis, egregie munitus atque ex omni parte circumcisus; quem si tenerent nostri, et aquae magna parte et pabulatione libera prohibituri hostes videbantur. Sed is locus praesidio ab his non nimis firmo tenebatur. Tamen silentio noctis Caesar ex castris egressus, priusquam subsidio ex oppido veniri posset, deiecto praesidio potitus loco duas ibi legiones collocavit fossamque duplicem duodenum pedum a maioribus castris ad minora perduxit, ut tuto ab repentino hostium incursu etiam singuli commeare possent.

Cesare da quel luogo al 5 campo giunse a Gergovia e in quello stesso giorno, ingaggiato un leggero scontro equestre, vista la collocazione della città, che, posta su un monte altissimo, aveva tutti gli accessi difficili, disperò di poterla assalirla e circa l’assedio stabilì che non si dovesse agire prima di aver provveduto all’approvvigionamento  dei viveri. Ma Vercingetorige, posto l’accampamento vicino alla città sul monte, aveva collocato intorno a sé a piccoli intervalli separatamente le truppe  delle singole popolazioni e, occupati tutti i colli di quel giogo, dal quale poteva osservare ( tutto), offriva uno spettacolo terrificante e ordinava ai capi di quelle città, che egli aveva scelto per ricevere suggerimenti, di presentarsi di prima mattina ogni giorno presso di lui, se sembrava loro di dover comunicare e decidere qualcosa, e non lasciava passare alcun giorno, uniti i cavalieri  agli arcieri, senza mettere alla prova il coraggio e il valore di ciascuno dei suoi.

C’era di fronte alla cittadella, ai piedi del monte, un colle fortificato in modo perfetto e scosceso da ogni parte. Se i nostri lo avessero occupato, appariva evidente che avrebbero impedito ai nemici sia la possibilità di rifornirsi di gran parte dell’acqua sia di foraggiarsi liberamente. Ma questo luogo era occupato da costoro con un presidio non saldo. Tuttavia nel silenzio della notte Cesare, uscito dall’accampamento, prima che si potesse giungere dalla città con un aiuto, scacciato il presidio, si impadronì del luogo dove collocò 2 legioni e fece scavare una doppia  fossa di 12 piedi (che partiva) dall’accampamento maggiore verso il più piccolo, in modo che i singoli ( soldati) potessero procedere al sicuro da una repentina incursione dei nemici.

Commentarii de bello civili

Trattano in tre libri gli avvenimenti riguardanti il passaggio del Rubicone( 10 gennaio 49) fino alla battaglia di Farsalo ( 9 agosto 48) e all’uccisione di Pompeo. I primi due libri sono più brevi rispetto al terzo che termina bruscamente, tanto che alcuni studiosi ritengono sia rimasto incompiuto.

Cesare, scaduto il mandato per affrontare la guerra nelle Gallie, chiese di poter avere  il consolato anche l’anno successivo. Ma una lettera fatta consegnare dal luogotenente Curione, in cui Cesare propose di abbandonare le armi sia da parte sua che di Pompeo, con cui da tempo i rapporti si sono incrinati, non venne presa in considerazione dal Senato.

Intanto i consoli Lucio Cornelio Lentulo Crure e Quinto Cecilio Metello Pio Scipione, suocero di Pompeo, brigarono in tal modo che il Senato imponesse solo a Cesare di sciogliere le truppe prima di tornare in patriae di presentare la candidatura a Roma da privato se non voleva essere dichiarato nemico della patria.

Se così avesse fatto, però, Cesare si sarebbe esposto non solo ad una grave umiliazione ma anche ad un rischio personale.

Cesare, che si trovava a Ravenna, cercò, senza interrompere le trattative con Roma, di dirigersi verso Rimini con una sola legione.

Fallito questo tentativo, con l’appoggio dei suoi soldati, varcò il Rubicone, fiume che costituiva il confine del territorio romano.

Il Senato allora lo dichiarò hostis publicus e fuggì da Roma con Pompeo e i suoi seguaci, prima a Brindisi, poi in Grecia.

Lo scontro, decisivo per le sorti della guerra civile, avvenne   a Farsalo, in Tessaglia. Cesare, che era sbarcato in Grecia, aveva invano cercato di assediare la città di Durazzo, in cui si erano asserragliati i Pompeiani.Essi erano imbandalziti per aver respinto l’attacco del nemico e cercavano di ripiegare dalla costa verso l’interno ma, sconfitti si dispersero per il Mediterraneo, organizzando nuovi focolai di resistenza in Africa e in Spagna.

Pompeo si imbarcò per l’ Egitto dove sperava di ricevere protezione e aiuti dal giovane re Tolomeo XIII, che era in lotta per il potere con la sorella Cleopatra.

Fu però assassinato a tradimento dai tutori del sovrano.

Cesare, giunto ad Alessandria, apprese la notizia della morte del genero. Scoppiarono tensioni connesse con la questione dinastica  fra Tolomeo e la sorella; tale tematica sarà oggetto della Guerra Alessandrina.

Il De bello civili ha come l’opera  precedente il carattere di narrazionerealmente vissuta, anche se Cesare non altera scientemente i fatti ma li colorisce in modo da far apparire tutte le proprie scelte motivate validamente; diversamente, in modo spesso ironico, sottolinea come meschino o corrotto il comportamento della fazione avversaria.

Gli avvenimenti successivi dal 47 al 45 a.C. sono narrati da ignotiscrittori nei libri Bellum Alexandrinum, Bellum Africanum, BellumHispaniense.

L ‘Incipit ci introduce immediatamente in medias res: è il 1 gennaio del 49

Litteris [a Fabio] C.Caesaris consulibus redditis aegre ab his impetratum est summa tribunorum plebis contentione, ut in senatu recitarentur; ut vero ex litteris ad senatum referretur, impetrari non potuit. Referunt consules de re publica. L.Lentulus consul senatui reique publicae se non defuturum pollicetur, si audacter ac fortiter sententias dicere velint; sin Caesarem respiciant atque eius gratiam sequantur, ut superioribus fecerint temporibus, se sibi consilium capturum neque senatus auctoritati obtemperaturum; habere se quoque ad Caesaris gratiam atque amicitiam receptum. In eandem sententiam loquitur Scipio: Pompeio esse in animo rei publicae non deesse, si senatus sequatur; si cunctetur atque agat lenius, nequiquam eius auxilium, si postea velit, senatum imploraturum.                                                                                                                                      

Dopo che da parte di Fabio fu consegnata ai consoli la lettera di Cesare, a stento si ottenne da essi, che fosse letta in senato, per le vive pressioni da parte dei tribuni della plebe;  non si potè aprire una discussione su qualcosa in senato.  I consoli discutono sulla situazione politica. Lentulo, il console, incita il senato; dichiara che darà ogni appoggio alla repubblica, se i senatori vorranno esprimere il loro parere con coraggio e decisione, se invece avevano qualche riguardo per Cesare e seguivano il suo favore,  come avevano fatto in tempi precedenti, che  prenderà una decisione per se stesso, che non avrebbe ottemperato allautorità del senato, che anche lui ha modo di assicurarsi il favore e l’amicizia di Cesare. Allo stesso modo Scipione parla; (dice)che Pompeo non intendeva far mancare  il suo aiuto allo stato se il senato lo appoggerà, se invece il senato sarà esitante e agirà in modo poco energico giammai il suo aiuto, se poi lo vorrà, il senato implorerà.

 

Sicurezza dei Pompeiani                                                    

His  rebus tantum fiduciae ac spiritus Pompeianis accessit, ut non de ratione belli cogitarent, sed vicisse iam sibi viderentur. Non illi paucitatem nostrorum militum, non iniquitatem loci atque angustias praeoccupatis castris et ancipitem terrorem intra extraque munitiones, non abscisum in duas partes exercitum, cum altera alteri auxilium ferre non posset, causae fuisse cogitabant. Non ad haec addebant non concursu acri facto, non proelio dimicatum, sibique ipsos multitudine atque angustiis maius attulisse detrimentum, quam ab hoste accepissent. Non denique communis belli casus recordabantur, quam parvulae saepe causae vel falsae suspicionis vel terroris repentini vel obiectae religionis magna detrimenta intulissent, quotiens vel ducis vitio vel culpa tribuni in exercitu esset offensum. Sed proinde ac si virtute vicissent neque ulla commutatio rerum posset accidere, per orbem terrarum fama ac litteris victoriam eius diei concelebrabant.

In seguito a questi avvenimenti nei Pompeiani tanta baldanza e presunzione crebbe,che non pensarono più al modo di condurre la guerra ma sembrava che  ormai avessero vinto. Essi non capivano che a causare la sconfitta, fossero stati lo scarso numero dei nostri soldati, il luogo sfavorevole e il difficile accesso  a un campo già occupato dal nemico, la duplice paura dentro e fuori le fortificazioni, l’esercito separato in 2 parti, sicchè l’una non aveva potuto aiutare l’altra. A ciò non aggiungevano che non era stato condotto alcun attacco violento, che non si era combattuto in battaglia, e che essi stessi  si erano arrecato  maggior danno con il loro grande numero in uno spazio assai stretto, di quello ricevuto dal nemico. Non ricordavano infine una situazione tipica della guerra, quanto spesso piccole cause o un falso sospetto o una paura improvvisa o uno scrupolo religioso avessero arrecato gravi danni, quante volte, o per incapacità del comandante o per colpa di un tribuno,un esercito fosse stato sconfitto. Ma come se avessero vinto per il loro valore né potesse accadere nessun mutamento della sorte, diffondevano per tutto il territorio mediante messaggi e lettere la loro vittoria di quel giorno.

I Pompeiani

Auctis copiis Pompei duobusque magnis exercitibus coniunctis, pristina omnium confirmatur opinio et spes victoriae augetur, adeo ut, quicquid intercederet temporis, id morari reditum in Italiam videretur, et, si quando quid Pompeius tardius aut consideratius faceret, unius esse negotium diei, sed illum delectari imperio et consulares praetoriosque servorum habere numero dicerent. Iamque inter se palam de imperiis ac de sacerdotiis contendebant in annosque consulatum definiebant, alii domos bonaque eorum, qui in castra erant Caesaris petebant; magnaque inter eos in consilio fuit controversia, oporteretne Lucili Hirri3, quod is a Pompeio ad Parthos missus esset, proximis comitiis praetoriis absentis rationem haberi, cum eius necessarii fidem implorarent Pompei, praestaret, quod proficiscenti recepisset, ne per eius auctoritatem deceptus videretur, reliqui, in labore pari ac periculo ne unus omnes antecederet, recusarent.

                                                                                                           

Aumentate le forze di Pompeo, essendosi congiunti due grandi eserciti, si rinsalda in tutti la vecchia convinzione e cresce la speranza di vittoria, così che ogni momento che passava, sembrava  un ritardo per il ritorno in Italia e quando Pompeo agiva  con qualche lentezza o riflessione, dicevano che era faccenda di un sol giorno ma che lui gongolava a prolungare il comando e che teneva ex consoli ed ex pretori in conto di schiavi. E già litigavano apertamente tra loro per l’attribuzione delle cariche civili e religiose e stabilivano a chi toccasse di anno in anno il consolato; alcuni chiedevano le case e i beni di coloro che si trovavano nel campo di Cesare; e ci fu in consiglio tra di loro una grande discussione se era necessario tenere in considerazione Lucio Irro, benché fosse assente, poiché da Pompeo era stato inviato presso i Parti, nei prossimi comizi pretori, affinchè non sembrasse privato per l’autorità di quello, mentre i suoi parenti imploravano la lealtà di Pompeo poiché mantenesse ciò che gli aveva garantito mentre partiva, mentre al contrario gli altri non consentivano che uno solo andasse avanti a tutti mentre erano uguali le fatiche e i pericoli.

Spartizione di cariche e beni

Iam de sacerdotio Caesaris Domitius, Scipio Spintherque Lentulus cotidianis contentionibus ad gravissimas verborum contumelias palam descenderunt, cum Lentulus aetatis honorem ostentaret, Domitius urbanam gratiam dignitatemque iactaret, Scipio adfinitate Pompei confideret. Postulavit etiam L.Afranium proditionis exercitus Acutius Rufus apud Pompeium, quod neglegenter bellum gestum in Hispania diceret. Et L.Domitius in consilio dixit placere sibi bello confecto ternas tabellas dari ad iudicandum iis qui ordinis essent senatorii belloque una cum ipsis interfuissent, sententiasque de singulis ferrent, qui Romae remansissent quique inter praesidia Pompei fuissent neque operam in re militari praestitissent: unam fore tabellam, qui liberandos omni periculo censerent, alteram, qui capitis damnarent, tertiam, qui pecunia multarent. Postremo omnes aut de honoribus suis aut de praemiis pecuniae aut de persequendis inimicitiis agebant, neque quibus rationibus superare possent, sed quemadmodum uti victoriae deberent cogitabant.

E ormai a proposito del sacerdozio di Cesare Domizio, Scipione e Spintere Lentulo nelle discussioni di ogni giorno arrivarono a lanciarsi pubblicamente i più gravi insulti, poichè Lentulo ostentava il riguardo dovuto all’età,  Domizio si vantava del credito e del prestigio di cui godeva a Roma, Scipione  confidava nella sua parentela con Pompeo. Acuzio Rufo accusò anche L. Afranio di tradimento dell’esercito presso Pompeo,  poichè diceva che aveva condotto negligentemente la guerra in Spagna. E L. Domizio in consiglio disse che, finita la guerra, proponeva fossero date  tre tabelle per votare nei confronti di quelli che fossero dell’ordine senatorio e insieme con questi stessi per coloro che erano intervenuti nella guerra ed esprimessero un giudizio su ciascuno di coloro che erano rimasti a Roma e che erano stati  tra i presidi di Pompeo ma non avevano dato il loro aiuto alle operazioni militari; disse che ci sarebbe stata una tabella  per coloro che pensavano che dovessero essere liberati da ogni condanna, una seconda  per coloro che fossero condannati a morte, una terza per quelli che venivano condannati a una multa. Infine tutti discutevano delle proprie cariche o dei premi in denaro o del modo con cui perseguire i loro nemici personali, pensavano con quali mezzi potessero vincere ma in qual modo dovessero utilizzare la vittoria.

                                                                                                                       

Conquista del campo di Pompeo

Caesar, Pompeianis ex fuga intra vallum compulsis, nullum spatium perterritis dari oportere existimans, milites cohortatus est ut beneficio fortunae uterentur castraque oppugnarent. Qui, etsi magno aestu (nam ad meridiem res erat perducta), tamen ad omnem laborem animo parati imperio paruerunt. Castra a cohortibus, quae ibi praesidio erant relictae, industrie defendebantur, multo etiam acrius a Thracibus barbarisque auxiliis. Nam, qui acie refugerant milites, et animo perterriti et lassitudine confecti, missis plerique armis signisque militaribus magis de reliqua fuga quam de castrorum defensione cogitabant. Neque vero diutius, qui in vallo constiterant, multitudinem telorum sustinere potuerunt, sed confecti vulneribus locum reliquerunt, protinusque omnes, ducibus usi centurionibus tribunisque militum, in altissimos montes qui ad castra pertinebant confugerunt. In castris Pompeii videre licuit trichilas stratas, magnum argenti pondus expositum, recentibus caespitibus tabernacula constrata, Lucii etiam Lentuli et nonnullorum tabernacula protecta edera.

Cesare, stimando di non dover concedere nessun respiro ai Pompeiani, che                                        

   erano stati ricacciati dalla fuga dentro le fortificazioni, esortò i suoi soldati ad approfittare

della fortuna e ad espugnare l’accampamento. Ed essi, per quanto affaticati dal grande calore – infatti la lotta si era prolungata sino al mezzogiorno, tuttavia, pronti a qualunque fatica, ubbidirono all’ordine. L‘accampamento era difeso con grande vigore dalle coorti che erano state lasciate come presidio, e anche con molto accanimento dai traci e da altre truppe barbariche. Infatti i soldati che erano fuggiti dal combattimento erano atterriti e sfiniti per la stanchezza e la maggior parte di essi, abbandonando le armi e le insegne militari, pensavano a riprendere la fuga piuttosto che a difendere l’accampamento. Ma neppure quelli che si erano fermati nelle trincee poterono resistere alla pioggia di proiettili ma, indeboliti dalle ferite, abbandonarono le posizioni e subito con a capo i loro centurioni e tribuni militari, fuggirono sui monti più alti che erano vicini all’accampamento.