LA RANA E IL BUE

C’era una volta un paese lontano lontano posto agli estremi di  un bosco bellissimo.

Alberi di alto fusto, fiori multicolori e profumati di varie specie rendevano il luogo simile ad un Eden.

Al centro del bosco era situato un grande  stagno dove sguazzavano  moltissime rane gracidanti; intorno a loro  saltellavano girini di ogni età  che si rincorrevano giocando tra loro festosamente. Essi erano nati dalle uova emesse dalle madri avvolte di una massa mucinosa che le impigliava: avevano la testa grossa, la coda compressa e assai lunga, e ai lati del capo dei filamenti a mo’ di ciuffetti: le branchie utilizzate  per la respirazione acquatica. Col tempo le branchie diventate  interne, facevano sì che  la fisionomia del girino subisse profonde modificazioni: comparivano le zampe posteriori e poi  quelle anteriori; la coda finiva per sparire, le branchie interne  si atrofizzava per far  sviluppare  i polmoni e dare origine alla  respirazione polmonare. La larva a quel punto abbandonava  la vita acquatica e si spostava sulla terra pur continuando a tuffarsi spesso nell’acqua.

Tutte le rane erano lunghe circa otto centimetri. Avevano la pelle  nuda, sottile, umida e viscida;  il dorso aveva una tinta verdastra screziata con macchie nere o bruno –nere, talvolta orlate di giallo, mentre tre strisce longitudinali giallognole o bianco verdastre attraversavano il corpo; sulla regione ventrale la cute era bianca  e debolmente gialla, talvolta picchiettata di macchioline brune. La testa era grande e schiacciata, gli occhi superficiali e sporgenti, la bocca larga armata di piccolissimi denti sulla mascella superiore, la lingua generalmente fissata anteriormente e libera posteriormente permetteva all’animale di proiettarla fuori e catturare piccoli insetti, preda del loro pasto.

Avevano gli arti anteriori piuttosto brevi, terminanti  con quattro dita, mentre quelli posteriori, molto più lunghi degli anteriori, che conferivano una notevole attitudine al salto, terminavano con cinque dita unite da una membrana interdigitale, utile per il nuoto.

Tra le rane, come accade nel mondo degli umani, alcune esaltavano  i pregi dei loro  pargoli, altre  vantavano la propria pelle rugosa ma verde squillante e facevano a gara per decantare i pregi estetici di cui le aveva dotate Madre Natura, come se  fossero ad un concorso di Miss Stagno.

Tra tutte   la più vanitosa si chiamava Rany. Ai lati della bocca, cosa rara per le femmine, in quanto peculiarità tipica solo dei maschi, aveva due vesciche che valevano a rinforzare la sua voce  e si gonfiavano d’aria nell’atto del suo ritmico gracidare.

Essa  si riteneva superiore a tutte le  compagne perché aveva la pelle del dorso di colore rossiccio come  altri esemplari che abitavano nei laghetti alpini, nelle pozzanghere e nei ruscelli situati ad altitudini di 2500 metri.

Non ammetteva neppure di avere rivali  tra gli altri animali che transitavano nella zona. Dalla mattina alla sera passava il  tempo a rimirarsi nelle acque dello stagno  e guai se qualcuno osava fare qualche critica alle sue fattezze.

Esaltava  ogni momento  a gran voce le caratteristiche della sua pelle.

Trascorreva così le sue giornata in tranquilla contemplazione di sé quando un  giorno, per caso, vide in lontananza un bue,  dal corpo possente e maestoso, che ruminava tranquillamente in un campo adiacente allo stagno. Il collo era guarnito di sotto da una larga piega pendula di pelle, il capo massiccio, la fronte ampia, gli occhi grandi e mansueti, le zampe terminanti in basso con quattro dita rivestite da uno strato corneo.

Tutte le rane, affascinate, cominciarono ad ammirare e ad elogiare in modo sperticato,  la possanza e il vigore del nuovo arrivato .

Rany cominciò a sentirsi esclusa, non era più al centro dell’interesse delle sue amiche.

Sempre alla ricerca di nuovi metodi per superare in bellezza gli altri, pensò di allargare il proprio giro vita  per avvicinarsi il più possibile al canone estetico dell’oggetto di tanta ammirazione.

Così, sbuffando, sbuffando,  cominciò  pian piano a   gonfiarsi, dilatando il suo addome.

Dopo un po’ di tempo chiese ai girini, considerati la voce dell’innocenza, se fosse diventata simile al bue.

Ma i pargoletti, ingenui e oltremodo sinceri, le risero in faccia, asserendo che era ben lontana da quel modello di grossezza.

Rany, però, non intendeva rinunciare alla sfida a distanza che si era proposta di vincere.

Di nuovo tornò a gonfiarsi ma la risposta dei piccoli era sempre la stessa: “ Sei nata piccola, che ci vuoi fare;  adeguati alle leggi della natura: non diventerai mai come il bue!”

Rabbiosa ma per nulla scoraggiata, Rany, nella sua insensatezza, desiderosa di smentire coi fatti le parole dei girini, continuò a gonfiarsi… a gonfiarsi… finchè la sua pelle  scoppiò in mille pezzi.

E di Rany rimase solo il ricordo della sua sconsideratezza!

 

Morale: Questo racconto dovrebbe costituire un monito per quanti nel mondo delle sport o della moda fanno uso di sostanze proibite per migliorare la propria immagine o la massa muscolare. Finiranno come la povera Rany!