IL PASSERO E LA LEPRE

Nel bosco  non si udiva alcun rumore: nuvole nerastre avevano coperto il cielo,  il vento soffiava all’impazzata: sembrava che Bora volesse distruggere tutto ciò che incontrava sul suo cammino .

Gli alberi avevano rizzato verso l’alto le proprie braccia un tempo fronzute come per innalzare una preghiera agli abitanti dell’Olimpo. Anche i teneri fiorellini avevano chinato le loro variopinte corolle come in atto di difesa.

Tutti gli animali, presagendo un pericolo imminente, si erano rintanati nelle note latebre in attesa che tutto cessasse.

Solo una lepre, improvvida, contando sulla velocità delle proprie zampe

( caratteristica di cui si era sempre vantata, umiliando gli altri abitanti del bosco) passeggiava bel bello, non presaga del proprio infausto avvenire.

Infatti all’improvviso  una enorme macchia, nera come la pece, oscurò ancora di più il cielo e da un’alta roccia  scese in picchiata  su di lei.

Un avvoltoio, dalle ali smisurate,  ghermì la lepre con i suoi forti artigli rostrati e, soffocandola, la portò sempre più su in direzione della rupe su cui aveva costruito il proprio nido.

Il povero sconsiderato animaletto, atterrito,  cominciò a lanciare alti e lamentosi  pianti,  invocando l’aiuto non solo di tutti gli dei ma anche di qualche animale del bosco.

Ma i suoi simili, preoccupati per la propria sorte, non si sentivano tanto coraggiosi da sfidare il pericolo per offrirle alcun soccorso.

Solo un passero, che ,per caso passando di là, aveva assistito alla scena, credendo di essere immune dal pericolo, cominciò a schernire la vittima sacrificale. “ Perché ti lamenti? Non sei tu quella che poco fa si vantava tanto della sua famosa velocità? E ora? Forse le tue zampe sono diventate tanto incerte da perdere  l’attitudine alla corsa?”

Ma mentre irrideva il tragico destino della sventurata , il passero non si accorse che all’improvviso l’avvoltoio, non pago del primo misfatto, aveva abbandonato su un masso la lepre tramortita ed era   planato velocissimo anche su di lui.

Il miserello, che poco prima in modo sprezzante  aveva schernito la lepre, non avendo alcuna pietà per la sorte della sventurata, cominciò a sua volta a schiamazzare in modo rumoroso  invocando inutilmente  l’aiuto degli dei superi ed Inferi  ma invano : infatti  neppure il sommo Giove ebbe compassione di lui e non mosse un dito in suo soccorso.

E in quel momento  il passero, in punto di morte, udì la flebile voce della lepre, che, ormai esanime, con esile voce gli disse: “ La tua sventura  può essere una misera consolazione alla mia morte. Tu che ti facevi beffe della mia situazione, ora ti trovi invischiato nella mia stessa pania e chiedi invano l’aiuto degli altri”.

 

Morale : Colui che gode dei mali altrui, spesso viene a sua volta punito.  Anche nel mondo degli uomini può avvenire ciò : tanti si ritengono più furbi degli altri, superiori o intoccabili, senza pensare che la sventura cade a pioggia su tutti ed è tardivo lamentarsi o chiedere aiuto dopo aver schernito i guai dei propri simili.