VITTORINI

Elio Vittorini

Nacque a Siracusa il 23 luglio 1908  da una  famiglia modesta: il padre era impiegato nelle ferrovie.

Dall’infanzia fino all’adolescenza  peregrinò, approfittando dei biglietti ferroviari gratuiti che spettavano alla sua famiglia,  in diversi centri del sud della Sicilia.

Di giorno visitava le città  e di notte viaggiava sul treno per non pagare il pernottamento negli alberghi.

Dopo gli studi elementari seguì solo per 3 anni gli studi tecnici.

In questo periodo  fece le prime letture importanti che stimoleranno la sua fantasia.

 

“ Sotto un ciuffo di canne il primo libro che mi fece grande impressione. Era una riduzione per bambini del Robinson Crusoe che recava segnata sulla copertina la figura di Robinson chino a esaminare sulla sabbia dell’isola deserta l’orma del piede di un altro uomo. Le Mille e una notte , che pure mi fecero grande impressione , cominciarono un anno dopo”

 

Cercò di entrare nell’aviazione, divenne  contabile  e per un breve periodo, a 16 anni,  fu  assistente tecnico alla costruzione di un ponte in un’impresa di costruzioni stradali nella Venezia Giulia.

Tornato a Siracusa, nel 1928-29 cominciò a farsi conoscere attraverso la collaborazione a riviste e giornali, tra cui  La Stampa di Torino, diretta da Curzio Malaparte.

Nell’ottobre del 1929 suscitò molto interesse il saggio  Scarico di coscienza, pubblicato sull’Italia letteraria, conservato in Diario in pubblico, una specie di autoritratto in cui l’autore ripercorreva  le esperienze precedenti per  riesaminarle  alla luce di un unitario progetto di militanza culturale.

Nel Diario  si trovano  idee nuove e audaci sulla letteratura contemporanea.

 

“Carducci e Pascoli non potevano averci insegnato nulla; tutte le loro risorse erano state vinte, assorbite dal dilettantismo e da D’Annunzio…L’estetica di Croce ci lasciava freddi come una stella notturna…Prezzolini, La Voce, non insegnavano nulla. Nulla Papini. Nulla Soffici. ..Quanto al futurismo, le nostre opinioni addirittura risalivano il tempo, lo condannavano nel carattere…Oggi un poco guardiamo a Verga…Allora la letteratura del giovani…è nata da un incontro fortunato e peregrino della nostra più pura originalità grammaticale con la grande tradizione europea..Proust è il nostro maestro più genuino..Per mezzo di Proust si è stabilito uno scambio effettivo tra l’ Europa e noi. E non siamo proustiani come non siamo rondeschi…L’aura che respiriamo è di scambio e di rispondenze. Contemporaneamente  l’Europa e Leopardi sono serviti alla nostra educazione letteraria. E Svevo, venuto all’ultimo momento…ci ha giovato meglio che venti anni di pessima letteratura..”

 

Dopo il matrimonio riparatore  con Rosa, sorella del poeta Salvatore Quasimodo, cercò un nuovo impiego a Gorizia. Nel ‘28 gli nacque il figlio Giusto Curzio.

Il tentativo non riuscì e sul finire del  ‘29 perdette per motivi politici la collaborazione alla Stampa.

Per mantenere la famiglia allora fece il correttore di bozze  a Firenze presso la rivista Solaria (per 200 /300 lire al mese), aperta verso i nuovi orientamenti della cultura europea.

In questi anni ideologicamente era sulle posizioni del cosiddetto “ fascismo di sinistra”, tipico  del gruppo che si muoveva intorno alla rivista Il Bargello: esso considerava il fascismo una forza rivoluzionaria, in quanto  traendo alimento dalle genuine forze popolari, si poneva in modo eversivo nei confronti del conservatorismo borghese.

La guerra di Spagna, però, contribuì a far comprendere allo scrittore gli equivoci e la vera natura del regime: ciò determinò in lui una maturazione ideologica che lo spinse ad impegnarsi in un’attività clandestina di stampo comunista per opporsi alla dittatura.

Cominciò a collaborare col Lavoro di Genova e con altri giornali.

Curata da lui e da Enrico Falqui, nel 1930 uscì l’antologia Scrittori nuovi.

Successivamente nel  ‘31 fu pubblicato nelle edizioni Solaria il volume di racconti Piccola borghesia,  in cui veniva proposto il mito dell’infanzia come recupero di un’istintiva vitalità contrapposta al grigiore soffocante della vita borghese.

Tale opera mise  in luce  la modernità della sua prosa.

 

L’ inquietudine antiborghese  e il bisogno di anarchica libertà dominano  il Garofano rosso, un  romanzo giovanile (scritto a 25 anni) che fu al centro di una complessa vicenda editoriale.

La prima pubblicazione, quasi contemporanea alla stesura, avvenne sulla rivista Solaria a partire dal febbraio del ‘33.

La sesta puntata, però,  giudicata per i  contenuti  “contrari alla morale e al buon costume”, fu ritirata dalla censura fascista.

Le ultime due puntate, settima e ottava, apparvero  nel  ‘34  ma nel ‘36  furono ulteriormente  bloccate dalla censura perché considerate piene di  “ espressioni licenziose”.

Vittorini nel  ‘38  decise di pubblicare integralmente il romanzo che, nuovamente bocciato dalla censura, rimase inedito per 10 anni.

Egli allora riscrisse  le parti incriminate, conferendo uniformità di tono e di  linguaggio all’opera, che vide la luce solo nel ‘48 con l’editore  Bompiani.

Lo scrittore antepose  una lunga prefazione in cui prese le distanze dall’opera giovanile, riconoscendone  i limiti di stile e il valore prevalentemente storico – documentario per il  “contributo che può dare a una storia dell’Italia sotto il fascismo e ad una caratterizzazione dell’attrattiva che un movimento fascista in generale, attraverso malintesi spontanei o procurati, può esercitare sui giovani. In quest’ultimo senso il libro ha un valore documentario non solo per l’Italia”

 

Scritto in prima persona, narra  la storia delle vicende relative all’adolescenza sentimentale e politica di Alessio Mainardi, un ragazzo siciliano di 16 anni.

La narrazione è focalizzata non solo sull’inquietudine e sull’esuberanza romantica propria dell’adolescenza  ma anche  sul disorientamento della gioventù italiana che vedeva nel fascismo il trionfo di un rivoluzione libertaria che avrebbe dovuto migliorare la società.

La politica come l’amore diventa, perciò, una magnifica avventura da vivere intensamente, in contrasto con le convenzioni, le regole e le infrastrutture borghesi della vecchia società liberale.

Ma, pur invischiato nelle prodezze delle squadre fasciste che bastonano “tutta la classe media che legge i giornali; dai commendadori ai barbieri”, Alessio ha tra i suoi miti politici Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.

 

La ragione del titolo è già insita nelle prime pagine del romanzo.

La vicenda si svolge nell’arco di pochi mesi:  il protagonista nel corso di tutta la storia riveste i panni di studente, nonostante i molti avvenimenti, soprattutto sentimentali, intervenuti nel frattempo, che contribuiscono in modo decisivo alla sua trasformazione.

Alessio, che  frequenta la prima liceo, nel ‘24 abita in una pensione a Siracusa;  divide la propria camera con l’amico Tarquinio Massèo, di due anni più vecchio,  che rappresenta l’alter ego dell’autore.

Con Tarquinio  il protagonista si ritrova presso la bottega d’un fabbro – tipografo per parlare  di “ donne, di terre, di bastonate, d’aereoplani e automobili, di gioco di calcio, di libri e di avvenire”.

 

“Tarquinio Masséo era un ragazzo di diciott’ anni, che per una complessa vicenda di bocciature non aveva preso a tempo la licenza ginnasiale e ora si preparava da esterno per quella del Liceo. In pensione c’era per questo; ma con quali professori studiasse non si sapeva; e quando noi tornavamo, di luglio, ai nostri paesi, soltanto lui, come non avesse parenti, restava a godersi l’estate della città coi bagni, le orchestrine a mare e i varietà all’aperto. Raccontava poi delle ballerine ch’erano venute a pensione ai nostri posti e delle prove di ballo ch’esse facevano, ancora in pigiama o in camicia, nella grande sala comune tutta la mattinata.”

 

Alessio si proclama  fascista come il compagno,  per  “ una specie di astratto entusiasmo che procede unicamente dalla condanna di tutto ciò che è borghese

e per   l’ “antipatia” che nutre verso il generico socialismo che il padre ha ripudiato dopo essere diventato proprietario di una fornace;  il ragazzo ragiona però confusamente sulla condizione operaia e sul “fossato di offesa” che divide lui studente, dagli operai che lavorano per il genitore.

Negli ultimi mesi di scuola Alessio inizia a corteggiare una compagna di secondo  liceo, Giovanna.

 

“Era figlia di colonnello. mi pareva bellissima, sebbene portasse un cappellino che le nascondeva metà della faccia..”

Appena mi sentii guardato non esitai; mi misi dietro a lei tenendo 10 passi di distanza… essa si voltava in tutto il percorso una volta sola, quando giungeva sull’angolo della strada di casa sua…

“ le scrissi anche, ma lei non mi rispose; solo perché in quella mia unica lettera l’avevo chiamata Diana, spesso mi faceva misteriosamente dire da qualche ragazza della mia classe che Diana mi salutava”

 

Da lei riceve dopo poco tempo un garofano rosso chiuso in una busta.

 

…ma appena si voltò il mio sguardo entrò nel suo, sentii di volerle bene anche per qualcosa di più…Fu con questo senso di enorme bontà che la baciai; e fu appena un battito di labbra contro le sue labbra, profondo e vivo però nella sua gentilezza..

 

Dopo questo brevissimo episodio, i due giovani  non si incontreranno più.

La ragazza è vista come una creatura eterea, idealizzata e angelicata, tanto che  Alessio, parlando a Tarquinio di Giovanna, inventa scalate su per i muri per raggiungerla sul terrazzo dove c’è la pianta di garofani da cui la fanciulla  ha staccato il fiore rosso, donatogli come pegno d’amore.

Il garofano rosso diventa qui non solo  il simbolo dell’amore della ragazza più bella che Alessio non riuscirà mai ad avere, ma anche l’emblema  di tutto ciò che egli definirà  “ l’intenso”,  il proibito, ciò che permette l’emancipazione dell’adolescenza rispetto  al mondo degli adulti.

La storia iniziale dell’incontro è costruita sul modello dell’amore cortese e stilnovistico: infatti  sin dal primo momento  la rivelazione di Giovanna avviene attraverso lo sguardo : “ Una signorina della seconda mi aveva guardato”

Dopo il primo contatto,  puramente visivo, ne segue un secondo: ad  uno scambio di poche battute subentra  un bacio e il rientro frettoloso di  Giovanna nella sua classe .

Anche in questo caso torna il motivo dello sguardo: “ Ma appena si voltò il mio sguardo entrò nel suo, sentii di volerle bene ancora di più”, insieme a quello del saluto da parte della ragazza, indicata col nome – segnale di Diana.

Più spregiudicata appare  invece l’emancipazione  di Tarquinio che ama Zobeida, una nota prostituta dal nome fantastico e dal fascino intrigante e misterioso.

Nei giorni successivi all’assassinio di Matteotti, la tensione politica sfocia nell’occupazione della scuola, indetta per reazione alla commemorazione del leader socialista.

Alessio, aspirando  utopisticamente ad una società migliore, si illude  di trovare nella violenza un’alternativa al conformismo borghese.

L’azione, però, avrà come conseguenza  la sua bocciatura in sei materie.

Il ritorno  a casa per il periodo estivo  diventa per il giovane la necessaria pausa di riflessione e di raccoglimento che  gli permetterà   di recuperare le lacune nello studio e  gli darà  la possibilità di meditare sulla propria condizione di figlio di un piccolo proprietario e sul  “ fossato di offesa che lo separa dagli operai che ai suoi occhi diventano mitiche incarnazioni di un ideale di vita libera e spontanea”

 

Infatti il confronto con gli operai  e  l’attitudine  repressiva del padre, ex socialista,nei confronti dei suoi impiegati, imprimeranno  alla rivolta di Alessio una nuova sfumatura populistica.

 

“Ragazzo mio  –  disse mio padre senza guardarmi perché certo sapeva che il suo sguardo avrebbe subito stabilito tra me e lui il distacco del rimprovero – il socialismo è un’idea e uno può aver avuto delle idee. Anzi è un’idea generosa e uno della mia condizione può aver voluto essere una volta generoso. Ma poi nella vita s’impone la necessità di salvarsi ognuno per conto suo

 

Contemporaneamente  anche dal punto di vista affettivo si realizza una maturazione: Alessio si sorprende a nominare nelle sue vaghe nostalgie, Zobeida.

Intanto dalle lettere che Tarquinio gli invia  ( in cui si rivela la corrispondente maturazione dell’altro giovane), Alessio apprende che l’amico  è entrato in contatto con Giovanna.

 

“la vedo ai bagni…e certo debbo riconoscere che è molto, molto simpatica….E’ tutta donna, con una punta appena di bambina solo tra il naso e gli occhi, forse nel modo di guardare…”

 

I rapporti tra Tarquinio e Giovanna all’inizio appaiono  misteriosi: ciò  provocherà in Alessio un turbamento tale che, rientrato  in città, non riuscirà a riprendere serenamente la frequentazione con l’amico.

Al rientro in autunno, il giovane, supera le prove scritte  per l’ammissione alla 3 liceo.

Appresa la notizia , Alessio ha  un fortuito incontro con Zobeida, la prostituta che rappresenta il mito della passione e dell’amore sensuale.

Ciò lo spinge a tentare più audacemente l’esperienza dell’intenso: inizia così  una relazione di 3 giorni con la donna, chiuso nella “ casa di malaffare” in cui ella vive.

Alla fine il giovane  consegnerà  alla donna il garofano rosso, simbolo di un’adolescenza ormai trascorsa.

 

“Era così, una regina, pensai, e allora la toccai prendendole le braccia, e mi lasciai cadere in ginocchio dinanzi a lei col volto nel suo grembo”

 

Purtroppo la relazione  viene bruscamente interrotta dalla polizia:  Zobeida è arrestata con l’ accusa  di spaccio di droga.

Così, mentre l’amore per Giovanna, legato  ad uno stato d’animo giovanile, è affidato esclusivamente all’immaginazione, l’amore per Zobeida è vissuto intensamente. Esso, costituendo il punto culminante dell’educazione sentimentale del giovane, assume un valore simbolico preciso:  rappresenta il rito dell’iniziazione, sottolineato anche dalla malattia che caratterizza il soggiorno di Alessio nella casa di tolleranza.

Ma anche la malattia rientra  nella serie di corrispondenze simboliche in quanto sta a sottolineare la sofferenza che comporta ogni iniziazione.

Il dolore  più acuto, però, Alessio lo prova, quando uscito dalla casa di tolleranza, ha la netta sensazione che qualcosa sia cambiato: il mondo gli appare diverso ed egli si trova quasi smarrito, privo di quella passione che lo aveva sostenuto fino ad allora.

In realtà il mondo è sempre lo stesso; i cambiamenti sono avvenuti dentro di lui.

Già il viaggio del protagonista al paese d’origine per le vacanze, infatti, costituisce il segno premonitore dell’infanzia sta per finire.

Permette un tuffo nella memoria per ripercorrerne i momenti più significativi i giochi, la casa del nonno, il paese della Madonna a cavallo e prepara Alessio ad entrare in un altro mondo, quello più reale.

E il distacco avviene attraverso la serie di immagini simboliche del tempo che passa

dopo fu autunno nella campagna delle fornaci, della pioggia che cancella il passato e suscita nuovi odori. Poi venne la pioggia e ci fu odore di radici

Tornato alla vita consueta, Alessio sente ormai di essere divenuto definitivamente adulto e considera con una sorta di estraneità la fede politica dei compagni più giovani.

Progetta perciò con Tarquinio di prepararsi nuovamente agli esami e da lui  riceve  una parziale  ma ormai insignificante confessione del suo tradimento con Giovanna.

 

In questi anni  intanto Vittorini cominciava ad imparare  l’inglese grazie all’aiuto di un amico.

E fu in modo molto speciale che cominciammo. Fu sul testo del Robinson  Crusoe, leggendolo e traducendo parola per parola, scrivendo sopra ogni parola inglese la corrispondente parola italiana…”

 

Ciò  gli permetterà  nel 1933 di metter mano alla  traduzione  del romanzo Il purosangue di D.H.Lawrence: tale attività lo indusse a  capire che bisognava sprovincializzare la cultura italiana.

Tuttavia continuò a mantenere stretti contatti col “fascismo di sinistra” che faceva capo alla rivista Il Bargello, settimanale della Federazione provinciale fascista fiorentina.

 

Risale al 1930, il testo, poi  pubblicato nel  ‘36,  Nei Morlacchi, Viaggio in Sardegna che si svolge su dimensioni mitiche ma con un linguaggio assai maturo : c’è la descrizione poetica e cronachistica del viaggio nell’isola, molto importante per la formazione dello scrittore.

 

Del  ‘36  è anche il breve romanzo incompiuto  Erica e i suoi fratelli, rimasto inedito per 20 anni.

E’ la storia di una ragazza che, abbandonata dai genitori, per sopravvivere si dà alla prostituzione. La giovane  rappresenta il” mondo offeso”, pur  conservando  tutta la sua innocenza, la  carica di allegra vitalità e  la  cordiale solidarietà verso gli altri.

 

Nell’inverno ’37-38 Vittorini cominciò la stesura di Conversazione in Sicilia, scaturito dalla crisi della guerra di Spagna.

Il testo  mostra il vero volto  della dittatura  pronta a schierarsi a fianco dei regimi nazionalsocialisti per schiacciare la libertà democratica della repubblica spagnola.

Uscito per la prima volta a puntate nell’aprile del ‘38 sulla rivista Letteratura, nel  ‘41 apparvero le prime due edizioni in volume.

La prima edizione dal titolo – Nome e lacrime–  da un racconto allegato in appendice, venne stampata clandestinamente  in pochi esemplari dall’editore fiorentino Parenti.

E’ la storia del viaggio iniziatico del  giovane  Silvestro che, lasciata Milano,  in preda ad “ astratti furori”, immerso nella “ quiete della  non speranza”,  nel clima grigio degli ultimi anni del fascismo, ritorna nella natia Sicilia dopo l’arrivo di  una lettera inviatagli  dal padre che, andato via di casa,  lo esorta ad andare a trovare la madre, Concezione, rimasta sola in un paese del Sud.

Prevale il dialogo che spesso si tramuta in monologo e  manca una vera e propria fabula.

L’io narrante, accompagnando la madre nel giro quotidiano attraverso  il paese per fare iniezioni alle donne malate, ascolta  i racconti sul nonno, Gran Lombardo, e sul padre ferroviere, uomo  fatuo e ballerino.

Silvestro, così , ripercorrendo  tra sperdute montagne e vegetazioni mediterranee, la propria infanzia,  si accorge che il presente gli offre  solo la realtà della miseria, della sofferenza, della morte.

Infatti  la visita nelle buie stamberghe, l’atmosfera ambigua  e patologica oltre che sensuale e le varie conversazioni,  gli danno modo di  sottolineare   il motivo del

mondo offeso” e dell’attentato portato all’essenza stessa dell’uomo.

Ciò è  ribadito nell’incontro con l’ arrotino Calogero,  col sellaio Ezechiele, con  il venditore di panni Porfirio,  con lo “gnomo” Colombo, che narrano allegoricamente le diverse visioni del mondo offeso e le vie di scampo per trovare la felicità.

Tali personaggi – simbolo , pur con brevi tratti, portano un contributo essenziale alla narrazione perché anch’essi  soffrono dello stesso dolore per l’umanità  dolente ed esprimono la loro generosa protesta smascherando ogni tipo di  mitologia.

Cercano di dimenticare la miseria materiale e morale nell’ebbrezza del vino ma alla fine il discorso di Porfirio che  dichiara  che gli uomini hanno sete di acqua pura e viva, fa emergere il valore di una implicita volontà di riscatto dell’umanità derelitta e  oltraggiosamente offesa.

In un’atmosfera arcana e surreale Silvestro al cimitero ha anche  un dialogo notturno con Liborio, il fratello morto in Spagna.

Con lui parla della morte e dell’offesa dell’uomo, rievocando la comune infanzia di giochi, dove le parole del fantasma appartengono alla sfera del lirico, tra realtà e poesia.

Così tutti i ricordi, trasfigurati dal mito attraverso i favolosi richiami della memoria, fanno sì che  passato e presente, mito e realtà, si sovrappongano in una surreale unità.

Infine ai piedi di un monumento bronzeo di donna, dedicato ai caduti del paese, tutti i personaggi si ritrovano intorno a Silvestro e sembrano comporre un universale affresco delle sofferenze umane: lontana e sarcastica la donna di bronzo sorride.

Viene, così,  riproposto il messaggio centrale del libro: lo sdegno per l’offesa all’umanità  a causa  dell’oppressione e della sofferenza, e la convinzione che l’uomo è “ più uomo” quando è  perseguitato.

In forme simboliche  si esprime anche il rifiuto della guerra e dei miti aggressivi che ad essa si collegano.

Vittorini, pur  perseguendo evidentemente un fine ideologico,  punta ad un’arte che trascenda le contingenze immediate della storia e comunichi un messaggio assoluto e universale.

La narrazione, che ha  al centro la miseria di una Sicilia arcaica, evita tuttavia ogni connotazione naturalistica e documentaria, per assurgere ad un clima mitico e simbolico.

A ciò contribuiscono sia la struttura del racconto, fondato sulla tecnica della ripetizione che conferisce al libro qualcosa di ieratico e rituale, sia il linguaggio basato  su continue ripetizioni ed anafore, su un tono oracolare e sapienziale di rivelazione di verità essenziali ed assolute.

Si notano espressioni sfumate evocative, prosa cadenzata, struttura sintattica piena di incisi,  di rimandi musicali che demandano all’emozione più che ad una esplicita descrizione.

Conversazione in Sicilia ebbe in America una caldissima prefazione di Hemingway

 

Nello stesso anno lo scrittore  si trasferì  a Milano e, allargando la propria attività come traduttore e consulente editoriale, contribuì  insieme a Pavese alla diffusione della letteratura americana e alla creazione del suo mito di civiltà avanzata e culturalmente progredita, specie con la pubblicazione nel ‘42 dell’antologia Americana che incorse nella censura fascista e  non poté circolare nella forma originaria  (erano presenti traduzioni di Poe, Saroyan, Lawrence, Faulkner, Steinbeck)

L’antologia fu  curata da lui per la collana Pantheon di Bompiani che egli dirigeva.

Il divieto fascista venne tolto nel ‘42 dopo la sostituzione delle pagine critiche di Vittorini con quelle di Emilio Cecchi.

 

Diresse nel ‘42- 43 per la casa Bompiani anche la collana “ Corona” uno tra i principali strumenti di quel tempo per il rinnovamento culturale, non solo a livello divulgativo.

 

Nel ’39 in collaborazione con Giansiro Ferrata, pubblicò da Mondadori il saggio storico La tragica vicenda di Carlo III.

 

Lo scrittore qualche tempo prima era stato espulso dal P.N.F. per evidente indegnità politica.

Fu arrestato il 26 luglio ’43 in seguito a un comizio organizzato  dopo la caduta di Mussolini e restò in carcere di S. Vittore a Milano fino a tutto agosto.

Dopo l’8 settembre ebbe funzioni importanti nella Resistenza a fianco di Eugenio Curiel, partecipando alla fondazione del Fronte della Gioventù..

 

Nel ‘45 uscì Uomini e no, scritto durante il periodo del rifugio in montagna, tra la primavera e l’autunno  ‘44.

Tratta un tema particolarmente caro all’autore: la differenza tra uomini – i partigiani e la gente comune –  e i non uomini – gli oppressori italiani e tedeschi.

Dedicato alla lotta partigiana, gioca sulla ricerca di un equilibrio tra realismo e lirismo.

L’impegno ideologico fa riferimento ad un clima storico  determinato anche se  diviene  metastoria, con la contrapposizione netta  tra bene e  male.

Durante il racconto si intromette la mano dell’autore che inserisce  frasi epigrammatiche o interventi che focalizzano l’attenzione su Enne 2, un partigiano diviso tra l’amore impossibile per Berta  e la lotta contro il nemico.

Si accentua qui anche il carattere oracolare del linguaggio, fatto di ripetizioni ossessive, di battute di dialogo brevi e secche, ma solenni nella loro essenzialità.

Tali procedimenti tendono a sviare il lettore dagli avvenimenti per catapultarlo in una dimensione più vasta, che fa riflettere sulla condizione dell’uomo oppresso da violenza  e male, condizione contro cui pochi coraggiosi lottano, rischiando la vita.

Infatti l’insanabile contrasto tra la vita interiore di Enne 2 e la sua azione lo porteranno verso un’unica tragica scelta: il compimento di un attacco suicida, che offrirà il reale significato di una frase ricorrente quasi ossessivamente nel romanzo:

Siamo morti anche per te

La vicenda  si svolge a Milano nell’inverno del 1944.

Protagonista è Enne 2, un partigiano di trentatré anni, che per caso una mattina ritrova Berta, la donna di cui da tempo era innamorato.

Fattala montare in bicicletta, la conduce verso casa ma un posto di blocco tedesco  fa sì che i due si dirigano verso casa di Selva, un’anziana partigiana che esalta la felicità dell’uomo.

Sebbene ricambi il sentimento, la donna, sposata, è trattenuta dal senso del dovere nei confronti del marito.

Dopo un rinfresco N2 accompagna Berta alla stazione tranviaria per poi raggiungere Lorena, che gli consegna, traendola dalla sua borsetta, un’arma.

Con quella insieme ai compagni Enne taglia la strada ad un ‘auto tedesca di grossa cilindrata e uccide il capo del tribunale e i suoi  accompagnatori.

Poi, restituita  l’arma a Lorena, torna a casa dove, steso sul letto, fa un tuffo nel passato: trova Berta di 10 anni che gioca con altri bambini che lo deridono.

Enne, volendo evitare che la giovane  incontri l’uomo con cui è sposata, si presenta  a lei nelle sue vere sembianze ma Berta scappa.

Lorena va a trovare Enne  e cerca di provocarlo finché i due non hanno un rapporto sessuale; poi la donna va via.

Rimasto solo col proprio io, N  torna a guardare  nel passato nel tentativo di  fermare Berta.

Poi incontra i compagni con cui discute sui compaesani che saranno giustiziati dai tedeschi per rappresaglia.

Nonostante ciò, i partigiani decidono comunque di assaltare il nuovo presidente del tribunale e verso le 23, approfittando del fatto che i tedeschi non sono sul chi vive,  aprono il fuoco nell’edificio e poi scappano.

I tedeschi, allora,  alla ricerca dei colpevoli, incendiano molte  case del rione.

Enne nel frattempo riprende il viaggio nell’infanzia:tiene Berta per mano  e la presenta ai suoi come futura moglie.

La bimba  dice  di essere una principessa cinese e il padre di Enne le fa fare un giro a cavallo.

Tornata a Milano, Berta va a trovare Selva che si dimostra contenta nel pensarla a fianco del partigiano.

Poi la ragazza col  tram raggiunge  piazza della Scala  dove trova una fiumana di gente che si dirige verso il Duomo. Ai lati della strada vi sono i cadaveri di due giovani, una bambina, un anziano e diversi uomini, vittime della guerra.

Berta si dirige di nuovo verso casa di Selva ma non la trova.

Incontra, invece, un anziano barbone che la esorta a non disperarsi per i morti che hanno dato la vita per un ideale.

Berta si gira ma non vede più il vecchio.

Rivede, però, Enne a cui, dopo aver dichiarato il suo amore,  fa sapere che intende lasciare il marito.

Nel frattempo i tedeschi, per rappresaglia, si preparano a fucilare dieci prigionieri per ognuno dei loro  morti.

I partigiani intanto fanno  un’ irruzione armata nell’edificio in cui tedeschi e fascisti stanno scegliendo le vittime da sacrificare.

Segue una sparatoria  a cui fa seguito la decisione dei tedeschi di fare una nuova rappresaglia: molti civili vengono prelevati dalle loro case, giustiziati e lasciati sulla strada.

Fra le persone accorse attorno ai cadaveri si ritrovano Enne 2 e Berta, i quali decidono di diventare compagni di vita.

Intanto il capitano delle SS Clemm e il capo fascista Cane Nero si accordano per la fucilazione di cento detenuti del carcere come rappresaglia per l’uccisione di nove soldati tedeschi.

Al centesimo, Giulaj, colpevole di aver ucciso la cagna di Clemm, viene riservato un trattamento particolare: sotto gli occhi compiaciuti di Clemm e di Cane Nero, dopo essere stato denudato, è fatto  sbranato dai cani del capo tedesco mentre  i soldati presenti, pur  inorriditi, assistono a tanta crudeltà ridendo e brindando.

Il narratore, a questo punto, sdegnato, si interroga  se si  possa  definire  uomo, chi  commette atti tanto barbarici.

In reazione a questi fatti Enne  guida un gruppo di partigiani in un attentato contro Cane Nero, ma fallisce e viene riconosciuto.

Il suo  volto viene pubblicato sui giornali.

Esortato da Lorena e dai compagni a fuggire, rifiuta sperando nell’arrivo  di Berta.

Un giornalaio lo riconosce e alcuni clienti lo riferiscono ai tedeschi.

La casa è circondata.

Enne  è avvisato da un operaio ma non fugge.

In attesa di essere raggiunto dai fascisti e da Cane Nero, si stende sul letto a luce spenta con due pistole .

L’ultima persona che vede prima di morire è un operaio, a cui fornisce le indicazioni necessarie per unirsi ai gruppi partigiani.

Il mattino successivo l’operaio fa conoscenza di altri compagni  e con loro compie azioni eversive contro i mezzi tedeschi.

Gli viene affidato il compito di uccidere un tedesco che si trova in un bar ma vedendo che l’uomo è triste non porta  a termine il compito, promettendo  di “imparare meglio”.

Nel romanzo si intrecciano il presente dell’impegno e l’evasione del passato e  dell’infanzia, la tensione a realizzarsi nell’attività politica e la ricerca dell’autenticità in un percorso esistenziale.

L’opera è caratterizzata da  113 capitoli in tondo (corrispondenti alle parti propriamente narrative) e 23 in corsivo (interventi metanarrativi in cui l’autore entra in scena, dialoga con il protagonista e soddisfa le sue richieste rievocandone l’infanzia).

Questo stratagemma narrativo contribuisce, insieme alla tecnica del rallentamento dei dialoghi, a elevare le situazioni in un’ atmosfera leggendaria, in cui si confrontano  il Bene e il Male, gli Uomini e i Non Uomini.

Il romanzo, contenendo elementi autobiografici,dato che l’autore prese parte alla Resistenza, ha anche il compito di testimonianza, sia individuale che storica.

 

 

Nel periodo  ‘45- 47 Vittorini divenne leader della letteratura dell’impegno   come direttore e animatore della rivista Il Politecnico ( settimanale fino al maggio ’46, e poi mensile),  il cui obiettivo era  una cultura che non si limitasse a consolare dalle sofferenze, ma contribuisse attivamente ad eliminarle.

Famose le sue polemiche sia sul fronte dell’impegno politico – sociale per la cultura sia su quello  dell’opposizione al dogmatismo più o meno stalinista.

 

Vittorini rifiutava una totale subordinazione della cultura alla politica: nacque così una polemica col PCI e con Togliatti e determinò nel ‘51 il distacco dal partito;

ciò non significò però la fine del suo generoso impegno in campo culturale.

 

Nel ‘51 iniziò la collana I gettoni presso Einaudi dove presentò narratori giovani. Viva era anche la sua curiosità per tutti i problemi attuali, non solo le correnti culturali come lo strutturalismo e la neoavanguardia ma anche i rapporti tra le letteratura e la nuova realtà industriale e tecnologica.

Nel ‘59 aveva fondato con Calvino Il Menabò presso Einaudi, rivista inventario di testi creativi, saggi e orientamenti di avanguardia italiani e stranieri,  che nel tempo diedero impulsi straordinari al dibattito culturale in Italia e altrove.

 

Nel ‘47 uscì Il Sempione strizza l’occhio al Fréius: la povertà della condizione operaia nelle periferie milanesi è trascritta in un clima mitico e allegorizzante

 

Queste opere sono state considerate tipiche del Neorealismo postbellico però in esse non si riscontrano affatto i moduli naturalistici che connotano la produzione neorealistica corrente, dato  che  vi predominano  moduli lirici, fantastici, simbolici, surreali.

 

Cominciò a pubblicare a puntate sulla rivista mensile La rassegna d’Italia col titolo Lo zio Agrippa passa in treno un  romanzo corale  che nel ‘49 in volume chiamò Le donne di Messina, in cui l’ideologia diventa utopia: vi si descrive la purezza della vita di una comunità ideale, un villaggio dove vige una sorta di comunismo primitivo. Ripubblicato nel ‘64, fu  rimaneggiato ampiamente, giungendo ad indicare l’inattuabilità storica dell’utopia, che va incontro alla sconfitta nel contesto del neocapitalismo tecnologico e consumistico.

Diviso in due parti e un epilogo è composto da 83 brevi capitoli

Tre sono i temi narrativi: il racconto dello zio Agrippa, che attraversa l’Italia in treno per trovare la figlia, scomparsa dalla Sicilia; la vicenda di un amore contrastato tra Siracusa e Ventura, detto Faccia cattiva, che ha un passato da fascista; la descrizione di una comunità organizzata da un gruppo di profughi che, all’indomani della Liberazione, intendono dar vita sull’Appennino emiliano, ad una società in cui tutti siano uguali e contribuiscano al bene della comunità.

Essi sminano i campi, ricostruiscono parte delle case distrutte dai bombardamenti,  seminano i campi incolti.

Tra di loro il più ricattabile è Ventura a causa della sua storia pregressa.

I viaggiatori dei treni cominciano a parlare tra di loro e con lo zio Agrippa .

Appare sul treno  un curioso personaggio Carlo il Calvo  che, in qualità di emissario dei proprietari delle terre occupate dagli sfollati, pretende il pagamento di un affitto.

Egli denuncia ai partigiani Ventura che per salvarsi si è rifugiato sui monti.

I cacciatori ben presto desisteranno dal dare la caccia al giovane dato che nel paese  non trovano alcun ristoro.

Alla fine il gruppo si disgrega e i pochi rimasti, tra cui Ventura, ormai diventato abulico ed apatico, accetteranno un compromesso con i proprietari.

Il romanzo appare fortemente critico nei confronti della civiltà tecnologica ma è anche ricco di moniti etici.

  • “ La Teresa l’hanno presente tutti. E si capisce. E’ lei che fa il più del lavoro sul campo che hanno preso, e vende, acquista, rimedia, gira per i mercati. Una volta era Siracusa che la chiamavano. Ma non dal paese di dov’è venuta.Da una moneta antica che portava al collo per medaglia..Ora non è più che Teresa. Sa non essere che una contadina, anche se è sprecata. Ma lui…
  • Ma lui non è che il marito della Teresa. E’ sprecato più di lei, ma non ha saputo ridursi ad essere un contadino, e non sa essere un vero contadino, non sa essere nulla, non sa più essere nulla,e non è che un minorato che tira la vita in un villaggio di montagna con la moglie che lo mantiene a non far nulla…Tutto quello che fa è senza metterci interesse. Tanto allora varrebbe che non lo facesse.”

Del ‘50 è la prima puntata del racconto La garibaldina pubblicato in volume nel ‘56 con Erica e i suoi fratelli.

Lavorava intanto a Le città del mondo.

Rimasto incompiuto, pubblicato postumo nel ’67, è basato su 3 nuclei narrativi: il viaggio a piedi di un padre col figlio, il povero calzolaio Matteo  e il piccolo figlio Nardo, insieme ad altri personaggi, alla ricerca di un modo di “ essere felici e contenti”, corrono attraverso vari luoghi di una Sicilia favolosa per imbattersi  alla fine in un luogo dove utopisticamente non si sono distinzioni di classe né gerarchie sociali; paura della società vista da una giovane coppia; storia di una ragazza che vuol fare la prostituta.

I nuclei sono legati solo dall’ambientazione in una Sicilia arcaica, contadina e primordiale, perduta nel tempo e nello spazio, un luogo metaforico, non geografico, storico, culturale, evocato con un tono fantastico, da apologo.

La civiltà contadina  è vista come un mondo autentico, al di fuori della storia e contrapposto alla sua inautenticità.

Si mostra ancora fedele  ai moduli narrativi e alla trasfigurazione mitica del reale.

Tuttavia confessa di non averlo portato a termine perché ormai nella nuova realtà industriale e tecnologizzata che l’Italia stava vivendo, alla civiltà contadina non riusciva più a credere.

Le altre sue opere sono inedite.

Dal ’60 curò la collezione Medusa, poi I Nuovi scrittori stranieri di Mondadori.

Pur con una gravissima malattia, proseguì il lavoro editoriale per Mondadori e Einaudi dirigendo nel  ‘65 anche la collana Nuovo Politecnico presso Einaudi.

Scriveva appunti, saggi dedicati in gran parte a una concezione teorico storica della letteratura, che nel ‘67 uscirono postumi col titolo Le due tensioni relative alla tensione tra la cultura scientifica, della modernità, e quella romantico decadente.

Morì a Milano il 12 febbraio 1966