DIVINITÀ ROMANE MINORI

Divinità romane minori

 I romani erano molto religiosi: infatti non intraprendevano alcuna attività senza essersi prima rivolti agli dei per assicurarsene la benevolenza.

All’inizio, essendo soprattutto agricoltori, adorarono gli dei che avrebbero potuto aiutarli nelle loro attività contadine:

 Flora: dea dei fiori e della primavera, forse moglie di Zefiro. Aveva un tempio sul Quirinale. Corrispondeva alla Clori greca. In suo onore si celebravano le feste Floralie.

 Pomona: dea dei frutti e degli orti. Corteggiata da Silvano e da Pan, preferì il dio etrusco Vertunno che, per poterla avere, cambiava aspetto 4 volte, corrispondenti alle 4 stagioni dell’anno.

Sator: protettore dellesemine.

 Occator: protettore dell’erpicatura.

Messor: protettore della mietitura, presiedeva all’agricoltura.

Man mano che Roma estendeva i propri domini, sottomettendo altre popolazioni, si appropriò anche di divinità appartenenti ai popoli sottomessi, soprattutto etruschi e greci.

Dagli Etruschi i Romani presero la Triade Capitolina: Giove, Giunone e Minerva; dai 3 dipendevano tutti gli altri dei.

Dai Greci presero tutte le altre divinità, a cui, pur mantenendo le loro peculiarità iniziali, diedero nomi latini.

Nel periodo monarchico il rex assommava in sé le prerogative di capo dello stato e capo religioso.

Con l’avvento della repubblica le competenze religiose del re vennero affidate al pontifex maximus.

In ogni famiglia all’ingresso della casa era acceso un focolare che veniva spento solo il primo marzo di ogni anno. Successivamente era riacceso seguendo speciali rituali.

Nella domus accanto al focolare era posto il Larario, una teca che conteneva le immagini degli dei Lari.

Essi erano di probabile origine etrusca; immaginati, all’inizio, come spettri dell’oltretomba che perseguitavano i viventi, a Roma furono in un primo momento venerati come divinità dei campi.

Solo successivamente furono considerati custodi delle abitazioni di ogni nucleo familiare.

A loro venivano loro sacrificati il capretto, l’agnello o il maiale.

 Le loro statue erano addobbate con fiori in occasione di cerimonie particolari.

Venivano rappresentati come giovinetti nell’atto di danzare.

Si riteneva fossero figli di Lara, (chiamata anche Larunda o Muta o Mutea), una ninfa del Lazio che rivelò a Giunone l’amore di Giove per Giuturna. Allora Giove, per punirla, le mozzò la lingua e affidò a Mercurio il compito di portare Lara nell’Ade. Durante il tragitto però Mercurio la sedusse: dalla loro unione nacquero i Lari.

Le feste in loro onore, Lararia, cadevano all’inizio di dicembre.

 Augusto, però, durante il suo principato le spostò a maggio e in agosto per non farle coincidere con i Saturnalia.

Penati: divinità minori protettori della famiglia e del focolare domestico.

In origine erano preposti alla custodia delle provviste, per cui i romani offrivano loro sale e farro. Col tempo il culto si confuse con quello dei Lari, di Vesta e del genio familiare.

Ma mentre i Lari erano legati alla casa, i Penati seguivano le vicissitudini dei proprietari (familiari o minori).

Proteggevano anche lo Stato. (maggiori o publici) ed erano venerati nel tempio di Vesta.

Il loro più famoso santuario era sulla Velia.

Mani: divinità in cui si credeva si fossero incarnati gli spiriti dei familiari defunti.

 Mània, oscura divinità, ritenuta la loro madre, convogliava su di sé le paure collegate al mondo dei morti.

Si pensava, infatti, che gli uomini dopo la morte si tramutassero in spiriti vaganti influenzando i loro discendenti.

 Quando si consideravano ostili, erano detti Lemuri o Larve; per allontanarli dalle case si celebrava una la festa, Lemuria, nel mese di maggio.

Quelli che operavano in modo positivo era detti Lari.

 Dal 13 al 21 febbraio si festeggiavano i morti (Feste Parentalie) con banchetti.

Nel mese di maggio si celebravano le Larve, le ombre degli spiriti maligni che il pater a mezzanotte cercava di calmare percorrendo tutta la casa a piedi nudi e lanciando fave nere fuori della casa, mentre pronunciava scongiuri per allontanarle.

 Auguri: sacerdoticostituiti in collegio da Romolo e Numa Pompilio; tramite gli auspicia, interpretavano il volere degli dei e l’esito di future imprese   osservando il volo e il canto degli uccelli e i fenomeni celesti. Erano detti anche Auspici

Divinatio – arte di interpretare i segni.

Aruspici: sacerdoti e interpreti etruschi, formavano il collegio degli haruspicum. Tramite l’aruspicina, cioè l’esame delle interiora (soprattutto del fegato) degli animali sacrificati agli dei, leggevano il futuro. Tale sistema era noto anche col nome di Etrusca disciplina. Questa scienza proveniva dal leggendario Tagete ed era contenuta nei libri chiamati “tagetici”

 Feziali: collegio costituito da 20 membri nominati a vita; scelti tra le famiglie più nobili, si occupavano delle dichiarazioni di pace o di guerra. Avevano il compito di rendere gli dei favorevoli a Roma: il sacerdote si avvicinava al campo nemico, scagliava un giavellotto e compiva atti che dovevano esprimere la volontà dei romani di ampliare i propri possedimenti.

 Flamini: collegio istituito da Numa Pompilio; addetti al culto e al sacrificio di una divinità, erano 15, di cui 3 maggiori e 12 minori.

I 3 maggiori:

 Dialis, di Giove (godeva di particolare prestigio ma doveva sottostare a molti divieti perché non venisse alterata la sua purezza),

Martialis di Marte;

Quirinalis di Quirino.

Nelle cerimonie pubbliche venivano dopo il rex sacrorum e precedevano il pontifex maximus. Indossavano un mantello purpureo e un copricapo e punta.

Salii: 12 sacerdoti di Marte: eseguivano danze sacre e presiedevano alla purificazione delle armi. Secondo la tradizione il re Numa avrebbe ordinato di costruire 11 scudi identici a quello che era caduto dal cielo perché non fosse rubato.

I 12 scudi, portati in processione il primo marzo, venivano percossi con un bastone, mentre i sacerdoti intonavano un canto, il Carmen saliare.

 Nel mese di marzo partecipavano agli Equirria, festa in onore di Marte, pare istituita da Romolo, che consisteva in corse di cavalli attaccati a carri da guerra.

 I Salii erano presenti ad Alba, Tivoli, Tusculo, ecc.

Giuturna: ninfa delle sorgenti e delle fonti. Da alcuni fu considerata moglie di Giano e madre di Fons. Secondo altri era figlia di Dauno e sorella di Turno, re dei Rutuli. Amata da Giove, ebbe l’immortalità e il dominio delle acque.

Turno: figlio di Dauno e della ninfa Venilia, era fratello di Giuturna.

Amata, moglie del re Latino, aveva promessa in sposa la figlia Lavinia a Turno, re dei Rutuli.  Ma, nel momento in cui Enea sbarcò nel Lazio, il re Latino a sua volta, concesse in sposa la figlia ad Enea. Quando però i troiani cominciarono a fare razzie sul territorio, Latino si alleò con Turno e venne ucciso da Enea. Allora Turno, dopo aver bruciato le navi troiane, si alleò con Mezenzio, re degli Etruschi. Dopo aver ucciso Pallante, figlio dell’arcade Evandro, che si era stabilito nel Lazio, Turno fu a sua volta ucciso da Enea.

 Vestali: sacerdotesse della dea Vesta, avevano l’obbligo di mantenere sempre acceso il fuoco sacro della città. Erano scelte dal pontifex maximus a cui dovevano obbedienza in età dai 6 ai 10 anni. Dovevano prestare il loro servizio per 30 anni e dovevano mantenersi vergini. Se lasciavano che il fuoco si spegnesse, venivano seppellite vive.

 La Virgo Maxima presiedeva tale collegio.

 Avevano numerosi privilegi e vivevano vicino al tempio di Vesta, un edificio rotondo.

Aurora: dea del giorno, corrispondente al greco Eos, era figlia del titano Iperione e della titanide Teia, sorella di Elios e Selene.

 Sul finire di ogni notte su un carro trainato dai cavalli alati Lampo e Fetonte saliva al cielo e annunciava l’arrivo del carro di Elio.

Afrodite la sorprese a letto con Ares. Come punizione fu costretta ad amare in eterno giovani uomini. Tra gli altri amò Astreo con cui ebbe i venti Zefiro, Borea, Noto, e gli astri.

 Amò anche Eosforo, la fiaccola dell’aurora, chiamata anche Foasforo.

Dai romani era detta Lucifero.

 Dopo aver rapito Titone, che era bellissimo, ottenne da Giove per il giovane l’immortalità ma si scordò di chiedere anche l’eterna giovinezza. Perciò quando il suo amante invecchiò lo abbandonò. Da lui ebbe Emazione e Memnone.

Dedalo: Figlio di Eupalamo o di Metione, nipote di Eretteo, ebbe grandi capacità inventive. Ateniese, era architetto, scultore, inventore. A lui, infatti, sono attribuiti le invenzioni del trapano, della scure, della livella.

Per invidia, uccise, gettandolo dall’alto dell’Acropoli, Talo, figlio della sorella Perdice o Policasta, che si era dimostrato assai ingegnoso, inventando la sega o il tornio.

Per tale misfatto fu condannato all’esilio dall’Areopago.

Recatosi a Cnosso, fu incaricato dal re Minosse di costruire il Labirinto, dove in seguito venne rinchiuso il Minotauro, un mostro dal corpo di uomo e dalla testa di toro.

Dedalo, con uno stratagemma, aveva aiutato Pasifae, moglie del re, a unirsi col toro bianco di Poseidone: dall’unione era nato il Minotauro.

 Dopo l’uccisione del mostro da parte di Teseo, Minosse, per punire l’architetto, incarcerò Dedalo insieme al figlio Icaro nel Labirinto.

 Dedalo infatti aveva fornito ad Arianna, figlia del re, che si era innamorata di Teseo, un filo che, snodato e poi riavvolto, avrebbe consentito all’eroe greco di uscire dall’intricata costruzione dopo aver ucciso il Minotauro.  

Dedalo, a sua volta, poi evase dalla costruzione, creando per sé e per il figlio delle ali, formate da piume di uccelli tenute insieme dalla cera. 

Icaro, però, non ascoltò il padre che gli aveva ordinato di non avvicinarsi troppo al sole perché il calore avrebbe sciolto la cera. Così il giovane precipitò in mare. 

Dedalo si mise in salvo raggiungendo l’Italia dove a Cuma consacrò le ali al dio Apollo.

Passò poi a Camico in Sicilia, presso il re Cocalo.

 Fu salvato dalle figlie del re che si erano innamorate di lui: esse infatti uccisero Minosse che cercava di raggiungere Dedalo.

Per riconoscenza l’architetto costruì sul luogo numerosi edifici e poi si trasferì in Sardegna.                                           

 Ercole: Eroe nazionale dei greci, col nome di Eracle; era figlio di Zeus e di Alcmena, regina di Tebe.

Si narra che, essendo Anfitrione, marito di Alcmena, lontano da Tebe, Zeus, assunte le sembianze dello sposo lontano, si unì ad Alcmena che dette alla luce due gemelli: Eracle, figlio di Zeus, e Ificle, figlio di Anfitrione.

Zeus si vantò in giro asserendo di essere in attesa di un figlio che avrebbe regnato su tutti i Perseidi.

Ma la moglie Era, gelosa, fece sì che prima di Alcmena partorisse Nicippe che era incinta di Euristeo; in tal modo questi, nascendo prima, avrebbe avuto autorità su Eracle.

Alcmena, temendo l’ira di Era, abbandonò il figlio ma Atena lo trovò e, con l’inganno, convinse Era ad allattare il piccolo. Il neonato succhiò dal seno della dea e così ottenne l’immortalità; una parte del latte, però, andò perduto e formò la Via lattea.

Atena poi riportò il piccolo ad Alcmena. L’eroe, che prima era stato chiamato Alceo dal nome del nonno, fu poi denominato Eracle, cioè figlio di Era.

Eracle era dotato di una grande forza tanto che nella culla strozzò due serpenti inviati da Era, che voleva ucciderlo, furiosa per il tradimento del marito. 

Suoi maestri furono:

Anfitrione che gli insegnò a guidare il cocchio;   

Eurito gli insegnò a tirare con l’arco che aveva ricevuto in dono da Apollo;    

Castore a maneggiare le armi;

Autolico, che partecipò alla spedizione degli Argonauti, gli insegnò ad esercitarsi al pugilato;

Chirone, che dopo la morte fu trasformato nella costellazione del Sagittario, gli insegnò le scienze;

Eumolpo, poeta, musico, sacerdote e indovino, gli insegnò a suonare la lira e a cantare e lo purificò dall’assassinio dei Centauri.

Lino, figlio della musa Calliope e fratello di Orfeo, gli insegnava la musica ma, poiché spesso puniva l’eroe con delle sferzate, fu ucciso da Eracle, insofferente, con un colpo di lira,

 Per tale misfatto fu processato: si difese invocando la legittima difesa e fu assolto.

  Poi Anfitrione, preoccupato per la sua forza, lo mandò a pascolare le greggi sul monte Citerone, fino all’età di 18 anni.

Compì numerose imprese.

Cacciò il leone che decimava le mandrie di Anfitrione e di Tespio sul monte Citerone.

Durante i 50 giorni della caccia fu ospite di Tespio che fece accoppiare l’eroe con le sue 50 figlie che ebbero cosi un figlio da Eracle.

Liberò Tebe dal tributo ai Mini: in premio ebbe in sposa da Creonte la figlia Megara. Ma, perseguitato da Era che lo fece impazzire, uccise tutti i figli avuti dalla donna.

Per espiare su suggerimento della Pizia di Delfi, dovette mettersi al servizio del re di Tirinto, Euristeo che gli impose le celebri 12 fatiche nella speranza che rimanesse ucciso.

  1. Lotta col leone Nemeo che l’eroe strozzò con le proprie mani. Con la pelle invulnerabile della belva si rivestì e con la testa si fece l’elmo.
  2. Uccise con l’aiuto di Iolao l’idra di Lerna, un mostro a 9 teste, di cui una immortale. Dopo averla uccisa, intinse nel suo fiele velenoso le proprie frecce, che cosi causarono ferite mortali.
  3. Ospite di Folo, catturò il cinghiale di Erimanto che devastava l’Arcadia.     

Venuto in conflitto con i Centuauri, ferì involontariamente Chirone.

4 – Dopo averla inseguita per un anno, catturò la cerva di Cerinea, sacra a        

      Diana a cui poi la consegnò.

  • Cacciata dei mostruosi uccelli dello Stinfalo, pianura paludosa      

dell’Arcadia, che avevano penne, becco e artigli di bronzo e si nutrivano di carne umana: ne uccise buona parte con le frecce avvelenate; i sopravvissuti volarono via per sempre nella lontana Colchide.

  • Euristeo voleva donare alla figlia Admeta il cinto di Ippolita, regina delle  

Amazzoni. Eracle fu ostacolato da Era che disse alle Amazzoni che l’eroe voleva rapire la regina. Dopo una fiera lotta Eracle uccise Ippolita e fuggì col cinto.

7 – Pulizia delle stalle di Augia, re dell’Elide, nel Peloponneso, che pascolava

      le mandrie senza mai pulirne il letame. Ercole le pulì in un solo giorno

      deviando, all’interno delle stesse stalle, il corso dei fiumi Alfeo e Peneo.

      Poiché non ebbe dal re la ricompensa stabilita, gli mosse guerra e con un

       esercito di Arcadi, uccise il re e i suoi figli e devastò il paese.

8 – Cattura del toro di Creta, che Poseidone aveva reso furioso per punire il

       re Minosse che, invece di sacrificare l’animale, l’aveva tenuto per sé.

      Catturato il toro, lo consegnò ad Euristeo che liberò l’animale in onore di

      Era.

9 – Catturò le 4 feroci cavalle mangia- uomini del gigante Diomede, re dei

      Bistoni, in Tracia; Ercole diede il re in pasto ai suoi stessi animali che poi

     furono consegnati ad Euristeo.

10 – Catturò i buoi di Gerione; sulla via del ritorno Ercole subì il furto degli

        armenti da parte del ladrone Caco, che fu ucciso.

11 – Raccolta delle mele d’oro del giardino delle Esperidi, che le Esperidi

        stesse e il drago Ladone custodivano nel lontano Occidente, in riva

        all’Oceano. Ercole mandò Atlante a prenderle mentre egli sosteneva al

         suo posto il peso del cielo. Quando Atlante tornò con le mele, Eracle

         con un inganno gli restituì il peso della Terra.

12 – Catturò Cerbero, un mostruoso cane a 3 teste, guardiano dell’Ade.

        Ercole lo portò a Euristeo e poi lo rimandò nell’Ade perché riprendesse a

        fare la guardia. Durante questa impresa liberò Teseo che era prigioniero

        nel Tartaro.

       Tornato a Tebe, uccise ingiustamente Ifito e, per purificarsi, dovette

       servire per 3 anni la regina Onfale. Durante tale periodo uccise il brigante

        Sileo, catturò i Cercopi e combatte contro gli Ioni.

       Sposò Deianira dopo aver ucciso Acheloo, un suo pretendente, e il

       centauro Nesso che la insidiava.

       Si innamorò di Iole, figlia di Eurito e, per poterla avere, uccise il padre e i

       fratelli della donna.

      Morì per aver indossato una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso     

      che la moglie Deianira gli aveva regalato, ritenendo, su suggerimento di

      Nesso, che solo in quel modo avrebbe continuato a trattenere il marito

      accanto a sé.

       Indossata la veste, Eracle si sentì bruciare e, non potendo strapparsela di

      dosso, fece innalzare un rogo sul monte Eta e vi si gettò sopra.

      Dopo la morte salì in cielo e sposò Ebe.

Altre sue imprese furono:

  • liberazione di Prometeo;
  • guerra contro Laomedonte, re di Troia;
  • liberazione di Alcesti dal Tartaro,
  • partecipazione all’impresa degli Argonauti che abbandonò per cercare Ila;
  • attribuzione a Priamo del trono di Troia;
  • attribuzione a Tindaro della città di Sparta;
  • uccisione di Crotone, Litierse, Lica, Teodamante, Calai, Zete, Busiride, i giganti Alcioneo, Anteo, Caco, ecc.
  • partecipazione alla Gigantomachia, alleandosi con Zeus.

Ebbe molte mogli:

Calciope, figlia di Euripilo, re di Coo. Con lei ebbe Tessalo;

 Xenodice, figlia di Sileo, re dell’Aulide. Sposò Eracle nonostante l’eroe le avesse ucciso il padre. Quando fu abbandonata dallo sposo, morì di dolore.

Tebe, figlia di Adramide. In suo onore Eracle fondò la città di Tebe in Cilicia. Mnesimache, figlia di Dessameno Il centauro Eurizione tentò di rapirla ma fu ucciso dall’eroe.

A lui viene attribuita la separazione dei monti Abila e Calpe: così mise in comunicazione il Mediterraneo con l’Oceano.

A lui è attribuita la creazione dei Giochi Olimpici.

Ebbe numerosi culti a Tebe, Sicione, Coo, Maratona dove in suo onore si celebravano le feste Eraclee.

 Veniva rappresentato vestito con una pelle di leone e una clava in mano.

Esculapio: Chiamato Asclepio dai Greci, era figlio di Apollo e della ninfa Coronide. Il suo culto fu introdotto a Roma per suggerimento dei Libri sibillini. Considerato dio della medicina (arte che probabilmente aveva appreso dal centauro Chirone), era anche in grado di resuscitare i morti; a causa di ciò (Ade, infatti, si era lamentato dello sconvolgimento dell’ordine naturale delle vicende umane) fu fulminato da Zeus che lo trasformò nella costellazione del Serpentario.

Sposò Epione; ebbe diversi figli tra cui:

 Podalirio che in Caria, in qualità di medico, guarì Sirna, figlia del re     

                   Dameto, e, dopo averla sposata, fondò la città di Sirno;

 Macaone che sposò Anticlea da cui ebbe Nicomaco e Gorgaso.

                  Partecipò alla guerra di Troia. Valente chirurgo, guarì le ferite di     

                  Telefo, di Menelao, di Filottete.

 Igea, personificazione della salute e dell’igiene, venerata a Roma col nome di  

           Salus.

I simboli di Esculapio erano, lo scettro, il bastone, il fascio di papaveri, il cane e il volumen.

Gli erano sacri il gallo e il serpente.

Gli fu innalzato un tempio nell’isola Tiberina e gli venivano sacrificati i galli. Ogni 5 anni si celebravano feste in suo onore: le Grandi Asclepiee.

Furie: corrispondenti alle greche Erinni, erano nate da Gea e fecondate col sangue di Urano, evirato. Demoni del mondo infernale dato che dimoravano nell’ Erebo, erano esseri mostruosi con grandi ali di pipistrello, fiaccole e serpenti arrotolati nelle mani e nei capelli; latravano e avevano gli occhi pieni di sangue e l’alito pestifero.

Erano 3:

Aletto: il turbamento;

Tisifone, la vendetta;

Megera, l’odio.

Perseguitavano fino a farli impazzire tutti coloro che si macchiavano di delitti nell’ambito familiare.

Erano chiamate anche Eumenidi, le benevole, per lusingarle o per allontanare i loro malefici.

Giano: Antica divinità latina che non ha un corrispettivo nel mondo greco. Sarebbe stato un re del Lazio primitivo o un oriundo della Tessaglia, giunto in esilio a Roma; accolto dal re Camese, avrebbe diviso il regno con lui.

 Suo figlio è Tiber, eponimo del Tevere.

Introdusse l’uso della moneta e delle navi e costruì una città sul colle denominato Gianicolo.

Raffigurato bifronte, proteggeva le porte delle città. Le porte del suo tempio erano chiuse quando la città era in pace, venivano aperte, quando Roma era in guerra.

Avendo dato ospitalità a Saturno (che era stato scacciato da Giove) ricevette dal dio il dono di conoscere il futuro, senza dimenticare il passato.  

Gli fu attribuita come moglie Giuturna e da lei avrebbe avuto il figlio Fons; secondo altri avrebbe sposato Camasene e da lei avrebbe avuto il figlio Tiberino.

Propiziatore di ogni inizio, gli fu dedicato il mese di Gennaio.

Il suo sacerdote, rex sacrorum, precedeva nelle processioni tutti gli altri.

Giustizia: dea della giustizia, corrispondeva alla greca Diche.

Lasciata la Terra a causa delle malefatte umane, salì in cielo e diventò la costellazione della Vergine.

Glauco: figlio di Antedone o di Posidone, era una divinità marina minore e rappresentava il colore delle acque.

Quando, pescando, si accorse che alcuni pesci, dopo aver ingerito una determinata erba, riprendevano la vita, la assunse anche lui e divenne un dio marino molto amato dai pescatori.

Aveva il dono della metamorfosi e della profezia.

Partecipò alla spedizione degli Argonauti, dopo aver costruito la loro nave Argo.

Tentò di sedurre Scilla ma Circe, gelosa, la tramutò in mostro; cercò anche l’amore di Arianna che era stata abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso ma fu preceduto da Dioniso.

Latona: apparteneva alla prima generazione divina; figlia del titano Saturno, e della titanide Febe, fu amata da Giove, generò Apollo e Artemide.

In greco era detta Letò ed era venerata come dea della salute.

Luna: dea dell’omonimo corpo celeste, corrispondente alla greca Selene; considerata divinità secondaria, fu presto assimilata a Diana.

Morte: corrispondente al genio maschile greco, Tanatos, era considerata la personificazione della morte.

 

Ninfe: divinità minori, figlie di Zeus, abitavano in grotte e popolavano le campagne, i boschi, le acque.

Personificavano le forze della natura.

Raffigurate come giovani fanciulle, erano venerate in piccoli santuari, i Ninfei.

Alcune erano immortali, altre perivano insieme agli alberi in cui risiedevano. Vivevano fuggevoli amori con uomini, satiri e dei.

Meliadi, ninfe dei frassini, erano le più conosciute. Nacquero dalle gocce del sangue di Urano che Gea aveva raccolto quando il dio era stato evirato da Crono.

Driadi e Amadriadi erano ninfe degli alberi e abitavano nei boschi.

                                   Solo le Driadi erano immortali.

lNaiadi erano ninfe dei laghi, dei fiumi (erano chiamate Potamidoi o Potameidi) e delle fonti (erano chiamate Pegee).

Le Ninfe delle acque stagnanti erano chiamate Limnadi.

Per alcuni erano figlie di Zeus, per altri discendevano dal dio fluviale in cui risiedevano.

Avevano facoltà divinatorie.

Chi si bagnava nelle acque a loro consacrate poteva guarire.

Erano nutrici delle vegetazioni e venerate nelle campagne dove i contadini offrivano loro, per propiziarsele, frutti della terra e animali.  

 Nereidi, circa 50 o 100, erano figlie di Nereo e dell’oceanina Doride. Bellissime, e benefiche con gli uomini, dimoravano in fondo al mare in palazzi d’argento. Viaggiavano su delfini o altri animali favolosi.

Le più famose erano:

Tetide: considerata la più bella, viveva in fondo al mare. Allevò Efesto quando fu scagliato giù dall’Olimpo; accolse Dioniso scacciato da Licurgo; con le compagne fece da guida agli Argonauti al di là delle Simplegadi.

Zeus e Posidone se ne innamorarono ma preferirono lasciarla quando vennero a sapere che da lei sarebbe nato un figlio destinato a diventare più famoso del padre.

Perciò vollero che andasse in sposa al mortale Peleo. Per sfuggire alle nozze, Tetide si mutò in fuoco, acqua, leone, serpente, seppia ma Peleo, con l’aiuto di Chirone, riuscì a sposarla.

Alle loro nozze, celebrate sull’Olimpo, furono invitati tutti gli dei, tranne la Discordia che, offesa, per vendicarsi, lanciò sul tavolo degli sposi la famosa mela destinata alla più bella tra le dee.

Tetide ebbe 7 figli che tentava di rendere immortali gettandoli nel fuoco.

Solo Achille fu salvato dal padre. Allora Teti, per renderlo immortale, immerse il figlio nelle acque del fiume Stige. Però lo tenne per il tallone, sicché quella sola parte risultò vulnerabile. Tetide poi abbandonò il marito e scese in fondo al mare. Allora Peleo affidò Achille al centauro Chirone che lo allevò sul monte Pelia.

Sapendo che il figlio sarebbe morto sotto le mura di Troia, Tetide lo portò dal re di Sciro, Nicomede, che lo nascose, col nome di Pirro, dopo averlo fatto travestire da donna, tra le sue figlie. Ulisse, però, smascherò il giovane con un trucco. Fece suonare la tromba di guerra e subito Achille, abbandonate le vesti muliebri, si armò e si precipitò all’uscita credendo ci fosse un attacco.

Partito per Troia con i suoi Mirmidoni, Achille ebbe da Efesto, per ordine della madre, una bellissima armatura. Invano, poi, la dea cercò di dissuadere il figlio a vendicare la morte dell’amico Patroclo uccidendo Ettore.

Successivamente, una freccia, scagliata da Paride colpì Achille al calcagno, l’unica sua parte vulnerabile: ciò decretò la sua fine. Allora Teti riversò il suo amore sul nipote Neottolemo.

Anfitrite: Restia al matrimonio, si nascose presso Atlante per sfuggire a Posidone. Ma il dio del mare inviò due delfini che la prelevarono e la condussero dal dio che la sposò, rendendola regina del mare. Dalla loro unione nacquero: Tritone, Rodo, Bentesicimina.

Galatea: rappresentava l’aspetto bianco del mare. Era amata da Polifemo ma la ninfa preferì Aci. Quando Polifemo vide i due amanti insieme sulla riva del mare, il ciclope uccise Aci scagliandolo su una roccia dell’Etna. Galatea, però, ottenne da Posidone che l’amato fosse trasformato in fiume. Poi raggiunse le sorelle in mare.

 Oceanine: risiedevano nei mari calmi, erano figlie di Oceano e di Teti. Bellissime abitavano sul fondo del mare ed erano la personificazione delle fonti e delle sorgenti. Generarono molti figli dai loro amanti, scelti tra gli uomini e gli dei. Erano circa 300.

Le più famose erano:

Stige: figlia di Oceano re Teti. Sposa del titano Pallante, ebbe i figli Bia, Crato, Nike, Zelo. Con il loro contributo aveva aiutato Zeus nella lotta contro i Titani: fu premiata diventando la garante del giuramento degli dei. Abitava nell’Ade e sedeva su un’alta rupe. Dall’amore con Zeus avrebbe avuto il figlio Persefone.

Calliroe: figlia di Oceano e Teti. Sposatasi con Crisaore ebbe 2 figli, i mostri, Echidana e Gerione. Da Nilo ebbe Chione; da Mane, re della Lidia, ebbe Ati e Coti.

Aretusa: seguace di Artemide, fu tramutata in fonte dalla dea, quando la ninfa, per sfuggire all’amore di Alfeo, dio dei fiumi, si gettò in mare e raggiunse l’isola di Ortigia. Ma Alfeo la raggiunse nuotando sotto il mare.

Europa: figlia del re di Tiro, Agenore e di Telefassa. Di lei si innamorò Zeus. Per raggiungerla si tramutò in toro. Quando la ninfa gli salì in groppa, il dio la condusse a Creta. Invano fu cercata dai fratelli.

 Da Zeus ebbe 3 figli: Minosse, Radamanto, Sarpedone.

Zeus le fece 3 regali: Talo, un uomo di bronzo che sorvegliava le coste cretesi, un cane a cui non sfuggiva nessuna preda, un giavellotto che non sbagliava mai la mira. Successivamente Europa sposò Asterio, re di Creta.

Il toro divenne poi una costellazione del cielo.

Calipso: figlia di Oceano e di Teti. Abitava nell’isola di Ogigia. Accolto Odisseo, se ne innamorò e lo trattenne per 7 anni. Da lui, che non aveva accettato, rimanendo con lei, l’immortalità e l’eterna giovinezza, ebbe 2 figli. Nausitoo e Nausinoo.

Costretta da Zeus, lasciò poi partire Odisseo.

 

Oreadi: abitavano nei monti.

Alseidi: abitavano nei boschi.

Napee: erano ninfe delle valli piene di boschi;

 

Le Ninfe spesso erano mogli di eroi eponimi.

Le più famose erano:

Circe: maga, figlia di Elio e Perseide; sorella di Eete e Pasifae. Ingelositasi di Glauco che amava Scilla, lo trasformò in mostro marino.

Anche Pico, che le aveva preferito Pomona, fu da lei trasformato in picchio.

Uccise il marito, re dei Sarmati, e si recò nell’isola di Eea.

Qui giunsero Giasone e Medea che dovevano purificarsi per aver ucciso Apsirto.

Tramutò in porci alcuni compagni di Odisseo; l’eroe greco, però, con l’aiuto di Ermes, riuscì a liberarli. Odisseo rimase con Circe, che si era innamorata di lui, circa un anno. Quando fu il momento di ripartire, ottenne dalla maga consigli utili per affrontare Sirene, Scilla e Cariddi. Da Odisseo ebbe il figlio Telegono.

Fetusa: danaide, madre di Mirtilo.

Lampezia: figlia di Elio e della ninfa Neera. Con la sorella Fetusa custodiva le mandrie del padre che poi furono razziate in Sicilia dai compagni di Odisseo.

Cirene: figlia di Ipseo, re dei Lapiti, e della naiade Tricca. Amava cacciare tutto il giorno. Apollo se ne innamorò, la sposò e la portò in Libia dove fondò Cirene.

Ebbe 2 figli: Aristeo e Idmone.

I Romani veneravano le Ninfe come divinità delle acque termali

Parche: figlie di Erebo e della Notte e cieche nell’agire, erano rappresentate come vecchissime dee, rugose e sdentate; identificate con le Moire greche, erano rappresentate come le filatrici della vita degli uomini di cui stabilivano i destini.  

Cloto: filava lo stame della vita;

Lachesi lo misurava assegnando a ciascuno ciò che gli spettava in sorte;

Atropo recideva il filo.

Come interpreti del Fato erano superiori a tutti gli dei.

I Romani le chiamavano Nona, Decima e Morta.

Nel Foro le loro statue erano definite Tria Fata, i 3 destini.

Pax: dea della pace, corrispondeva alla greca Irene, una delle Ore, figlie di Zeus e Temi. A Roma le furono dedicati santuari da Augusto, Vespasiano, Domiziano.

Prometeo: Titano, figlio di Giapeto e dell’Oceanina Climene, aveva per fratelli Atlante, Epimeteo e Menezio.

Con l’argilla e l’acqua plasmò il primo uomo a cui fornì il fuoco rubandolo all’officina di Vulcano, allora riservato solo gli dei; per tale motivo Giove, adirato, lo punì: lo fece incatenare sul Caucaso e ogni giorno un’aquila gli rodeva il fegato che, però, di notte ricresceva.

Dopo alcuni anni di torture fu liberato da Ercole.

Giove era anche adirato con lui perché Prometeo aveva ricoperto le ossa di un animale da sacrificare agli dei con uno strato di grasso, gabbandoli; lasciò invece la carne agli uomini.  

Per ulteriore punizione Zeus aveva inviato sulla terra Pandora con un vaso contenente tutti i mali dell’umanità. Prometeo ebbe poi da Chirone il dono dell’immortalità.

Dalla pleiade Celeno ebbe i figli Lico, Chimereo, Deucalione.

A quest’ultimo indicò il modo di sopravvivere al diluvio che Zeus aveva inviato sulla terra per distruggere tutti gli uomini che si erano rivelati malvagi.

 Considerato il benefattore dell’umanità, Prometeo insegnò all’uomo l’astronomia, l matematica, la navigazione, la lavorazione dei metalli.

Deucalione: sposò Pirra, figlia di Pandora. Quando Zeus scatenò il diluvio universale, Deucalione, su indicazione di Prometeo, costruì un’arca che galleggiò per 9 giorni sulle acque finché non si arenò sulla vetta del monte Parnaso, Su suggerimento di Zeus che riteneva lui e la moglie i soli giusti sulla terra, per ripopolarla, Deucalione gettò dietro di sé le pietre, che erano considerate le ossa della Grande Madre. Copertisi il capo, gli sposi gettarono le pietre dietro le loro spalle: da Decaulione nacquero gli uomini, da Pirra le donne. Così la Terra si popolò di una nuova umanità, migliore della precedente.

I loro figli erano: Elleno, Melanto, Anfizione, Protogenia.

Pandora: Zeus, per vendicarsi di Prometeo che aveva creato l’uomo dal fango, e rubato il fuoco per portarlo agli uomini, ordinò ad Efesto di creare con la creta una donna. Poi ordinò agli dei di offrirle dei doni: Afrodite offrì la bellezza e l’oro dei capelli, le Cariti la grazia e i veli profumati, Ermes l’eloquenza, Minerva la saggezza, Apollo la virtù del canto. Zeus le donò un vaso pieno di tutti i mali che affliggevano gli uomini. Poi inviò Pandora sulla Terra. Epimeteo se ne innamorò e la sposò: da loro nacque Pirra. Epimeteo, poi, dimenticando gli ordini di Zeus che aveva proibito di aprirlo, per curiosità, scoperchiò il vaso: ne uscirono tutti i mali ivi rinchiusi che si diffusero tra gli uomini. Pandora si affrettò a richiudere il vaso ma invano: sul fondo rimase solo la Speranza.      

Pudicizia: onorata come dea dalle madri, impersonava la castità e aveva il compito di garantire la fedeltà della donna nei confronti del marito.

Quirino: di origine sabina, una delle più antiche divinità, era un dio guerriero. I suoi miti sono rari. Gli fu assimilato Romolo dopo la sua morte. Dal suo nome i Romani furono definiti Quiriti ed Ersilia, moglie di Quirino, fu definita Hora Quirini.

Con Giove e Marte costituiva la triade protettrice di Roma

Sibilla cumana: sacerdotessa vergine, sorta di medium tra Apollo e i mortali. Invasata dal dio, emanava profezie che scriveva sulle foglie e disperdeva al vento, lasciandone l’interpretazione agli indovini. Secondo il mito le sue profezie furono raccolte nei libri Sibillini, custoditi a Roma e interpretati dai quindecemviri sacris faciundis, collegio di 15 sacerdoti. Nell’83 furono distrutti da un incendio del Campidoglio; per sostituirli venne compilata una nuova raccolta basata su varie fonti. L’ultima consultazione di cui ci sia notizia avvenne nel 363 d.c. prima che l’imperatore Giuliano l’apostata intraprendesse una guerra contro i Parti. La raccolta ufficiale fu bruciata al tempo del generale Stilicone sotto il regno di Teodosio. (347-395)

Nell’Eneide Enea consulta la Sibilla nel suo antro presso il lago d’Averno, che secondo la tradizione, era uno dei due accessi agli Inferi. L’altro accesso si trovava al capo Matapan, nell’estremo sud del Peloponneso.

Signa: erano le manifestazioni della volontà degli dei: lampi, tuoni, terremoti, nascite mostruose (monstra, portenta, prodigia)

Sole: divinità romana di origine sabina introdotto a Roma da Tito Tazio.

 Corrispondeva al greco Elios

Sonno: personificazione del sonno, apportatore del riposo, corrispondeva al greco Hypnos, figlio dell’Erebo e della Notte, fratello di Tanatos.

Tellus: personificazione della terra, madre di tutti gli esseri viventi, corrispondeva alla greca Gea.

Vittoria: corrispondente alla greca Nike, dea della vittoria, veniva rappresentata alata, con una corona di alloro o un ramo di palma in mano. Era festeggiata il 12 aprile.