ROMANZO GRECO

Il romanzo greco

Il romanzo è un genere letterario oggi molto diffuso, però nessuno dei termini che usiamo per definire tale narrativa di invenzione ha una tradizione classica o reali corrispettivi nel mondo antico.

Esso, ultimo prodotto dello spirito creativo ellenico, è sui generis per la mancanza di una terminologia in grado di identificarlo in modo preciso.

Infatti i Greci usavano termini come drama o drèghema (racconto) / tà perì o lògoi katà (storie su…) / mutos, facendo riferimento ora all’uno ora all’altro degli elementi che lo compongono.

Sebbene sia alla base del romanzo antico quel gusto del narrare, esso è scarno di elementi tradizionali. I personaggi sono convenzionali e anche la trama.

Né lo scrittore si serve della sua opera per diffondere personali concezioni o interpretazioni della vita umana, del problema religioso, della storia, dell’arte.

Da ciò si ricava un’impressione di fredda convenzionalità.

Già il modo in cui l’artista introduce il primo incontro della coppia protagonista mostra una particolare uniformità in tutti i romanzi.

Esso avviene durante una festa religiosa, e l’innamoramento ha luogo in modo improvviso.

Fino a quel momento l’eroe e l’eroina si erano mantenuti estranei ad ogni sentimento d’amore, anzi disprezzavano Eros e Afrodite.

Tuttavia la parola romanzo rende abbastanza bene le caratteristiche di quasi tutte le opere dal momento che la trama è quasi sempre basata su una storia d’amore; l’elemento romanzesco consiste nelle vicende, di solito complicate, drammatiche e piene di imprevisti, intorno a cui ruota la storia.

In realtà narrazioni romanzesche ed avventurose, con al centro una storia d’amore, non erano mancate né durante l’età classica né durante il periodo alessandrino.

Si potrebbe addirittura cominciare con l’Odissea che culmina col tanto sospirato incontro tra Ulisse e Penelope e accoglie viaggi, avventure, incontri amorosi: Ulisse e Circe, Ulisse e Calipso, Ulisse e Nausicaa.

Altresì romanzesco può essere definito “Le Argonautiche” di Apollonio Rodio che tra le svariate avventure contiene anche la insana passione amorosa di Medea.

Tuttavia si tratta in entrambi i casi di personaggi già conosciuti per cui l’autore doveva rispettare almeno nelle linee generali la trama precostituita.

Il romanzo, invece, pone sulla scena personaggi sconosciuti per cui lo scrittore si può sbizzarrire come meglio crede.

Tuttavia nulla nasce ex abrupto e i critici, in base alle scoperte di nuovi papiri, hanno parlato dell’esistenza di romanzi più embrionali un po’ antichi.

Riflessi mitologici si trovano in un frammento sugli amori di Metioco e di Partenope di autore anonimo: il primo è un giovinetto frigio ignaro di sentimenti amorosi, la seconda è una virtuosa fanciulla, collegata tramite il nome con le leggende circa le Sirene e l’origine di Napoli (dato che una Sirena Partenope fu sepolta a Napoli e gli abitanti ne perpetuarono il culto con fiaccolate durante gli agoni).

Abbiamo diverse redazioni del cosiddetto Romanzo di Alessandro, tramandatoci col falso nome di Callistene, l’infelice storico del grande macedone. Alessandro è visto come un eroe nazionale egiziano, continuatore dei Faraoni: ma la storia è visibilmente falsata.

A chi poteva essere diretta una produzione letteraria di tal genere?

La convenzionalità degli argomenti non deve trarre in inganno e far credere che essa fosse oggetto di lettura dalle persone letterariamente meno educate.

I romanzi si presentano come opere di notevole elaborazione e presuppongono un pubblico di buona educazione letteraria. Fu, comunque, un genere di vasto consumo (lo testimoniano i papiri che si sono trovati in piccole città d’Egitto), di consumo soprattutto della borghesia, cioè di quella classe non del tutto incolta né letterariamente raffinata.

Bisogna poi considerare il fatto che i generi letterari della poesia classica si erano completamente esauriti nel periodo in cui fiorì il romanzo.

Va aggiunto che il carattere fantastico della narrazione romanzesca era stato preparato da più elementi dell’epoca ellenistica, che vide il diffondersi di una particolare letteratura, quella dei mirabilia, cioè dei fatti e delle cose fantastiche e strane, che venivano raccolte in opere specifiche.

Va precisato che i grammatici greci non furono in grado di assegnare un nome specifico a questo genere letterario ora a sé stante e ben definito.

La parola romanzo, infatti, risale al Medioevo e stava ad indicare una narrazione in volgare.

Alcuni vedono le prime manifestazioni del romanzo in età ellenistica (I-II sec. d.C.) in

Le meraviglie al di là da Tule” di Antonio Diogene, di cui ci fornisce il riassunto il patriarca Fazio, vissuto nel IX sec. d.C.

Su uno sfondo magico e mistico di stampo pitagorico, dominano racconti di viaggi nelle favolose terre dell’estremo nord, al di là della città di Tule: si tratta quindi di un romanzo di stampo avventuroso. L’autore, neopitagorico, ha per scopo l’apologia del proprio credo.

A prima vista nello stesso filone ma con maggiore inventività si può collocare Luciano con “Storia vera” in 2 libri, anche se il proposito polemico di gareggiare con la storiografia del tempo nell’inventare “frottole”, allontana quest’opera dal tono fiabesco delle meraviglie e ne fa più un romanzo parodico che avventuroso.

Luciano racconta di Ambulo, un oscuro scrittore di viaggi meravigliosi, vissuto nel I secolo a.c. e di Ctesia di Cnido, medico di corte dei re di Persia e autore di narrazioni relative all’India e alla Persia. Tali narrazioni, secondo Luciano, erano false: quindi la satira lucianea non investe solo il romanzo ma il campo della storiografia.

Esisteva, infatti, da alcuni secoli una storiografia romanzesca che può essere considerata per certi aspetti affine al romanzo: si presentava anche come storiografia di retori cortigiani, i quali esaltavano le imprese compiute dallo stato romano.

La Storia Vera di Luciano, prescindendo da un’inventiva di fantasia e riso, possiede anche un intendimento serio, quello di smascherare la vacuità di quegli storici falsi e menzogneri che scrivevano o recitavano solamente per farsi applaudire dagli ascoltatori.

 Luciano stesso scrisse, con un tono più serio e meditato, un trattato di storiografia che si occupava del medesimo argomento.

L’altro romanzo attribuito erroneamente a Luciano è “Lucio o l’asino”, definito realistico – satirico dato che vi domina il crudo realismo di un ambiente di spiantati, di furfanti, di corrotti e il gusto ridanciano per la beffa boccaccesca.

Ad un mondo fatto di virtù appartiene invece la “Vita di Apollonio di Tiana” di Filostrato.

Sono etichettati come erotici i romanzi:

Chérea e Callìroe di Caritone d’Afrodisia (dove tra i parenti della sposa figura il generale siracusano Ermocrate, che vinse gli Ateniesi nel 412 a.C. durante l’infausta spedizione di Sicilia).

Abrocòme e Anzia di Senofonte Efesio

Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio

Dafni e Cloe di Longo Sofista

Teàgene e Cariclèa o Etiopiche di Eliodoro di Emesa

Di Antonio Diogene e di Giamblico, autore delle Babiloniche, II sec.d.c. conosciamo solo i compendi di Fazio.

Abbiamo poi frammenti di altri romanzi.

Nel 1893 Wilcken scoprì su alcuni frammenti papiracei un romanzo anonimo il “Romanzo di Nino” , di cui ci è giunto ben poco; il fatto che sia in buone condizioni ci permette  di capire che si sviluppa in 3 parti: la prima narra la storia del principe assiro Nino (reduce da una guerra vittoriosa contro gli Egiziani) e della cugina Semiramide che, innamorati l’uno dell’altra e desiderosi di sposarsi, sono impediti dal fatto che lei non ha ancora 15 anni. I due fidanzati, allora, chiedono l’appoggio delle rispettive madri, rivolgendosi però ciascuno alla madre dell’altro. Le due sorelle si mettono d’accordo e le nozze hanno luogo.

 Nel secondo frammento Nino deve abbandonare la sposa per partire per la guerra contro gli Armeni; nel terzo il principe insieme ai suoi soldati va incontro ad un naufragio.

Gli studiosi hanno sottolineato il fatto che i protagonisti sono figure mitiche del favoloso mondo orientale: sono due figure gentili, descritte con una certa capacità di introspezione psicologica: impetuoso e ardente Nino, timida e sensibile Semiramide.

Caritone definisce sé stesso come nativo di Afrodisia, città della Caria, in Asia minore e scriba del retore Atenagora. Il suo romanzo “Le avventure di Chérea e Callìroe” in 8 libri, è uno dei più significativi romanzi del genere giacché, pur all’interno dello schema consueto di amore e di avventura, non mancano pagine di una certa originalità.

Cherea e Calliroe sono due giovani siracusani, dotati di una meravigliosa bellezza.

 Dopo le nozze celebrate con grande sfarzo a Siracusa nel 413, Cherea, convinto da un antico rivale che la moglie, figlia di un generale siracusano, lo tradisca, in un impeto d’ira la percuote così forte che lei cade a terra svenuta.

 Lo sposo, credendola morta, la fa seppellire in un sontuoso mausoleo, tra perle ed ori.

Per impossessarsi del tesoro, una banda di pirati di notte penetra nella tomba.

Poiché nel frattempo la donna si è riavuta, viene portata via insieme al bottino e venduta come schiava in Oriente a Dioniso, ricco signore di Mileto.

Costui si innamora della donna, ma poiché è dotato di nobili sentimenti, senza approfittare di lei, cerca di convincerla a diventare sua moglie.

La bellezza di Calliroe è tale che, in seguito ad una serie di avventure, essa giunge alla corte del re di Persia, Artaserse, che si innamora di lei.

Nel frattempo Cherea, trovato aperto il sepolcro della moglie, intraprende la ricerca della donna, affrontando una serie di avventure. Lo sposo cade in schiavitù presso Mitridate, satrapo della Caria, che lo conduce con sé alla corte persiana.  Anche Mitridate si innamora di Calliroe e cerca di strapparla a Dionisio che però denuncia Mitridate al re di Persia. Durante il processo persino il re si innamora di Calliroe e cerca di sedurla.  Ma scoppia una ribellione in Egitto e il re parte per la guerra. Cherea diviene anche comandante della flotta degli egiziani ribellatisi al re di Persia. Vinti i persiani sul mare, si impadronisce persino della regina di Persia e ritrova Calliroe.

Contemporaneamente il re di Persia schiaccia sulla terraferma la rivolta degli Egiziani.

Allora Calliroe e Cherea ritornano felicemente a Siracusa in un tripudio di folla.

L’originalità dell’opera consiste in un approfondimento psicologico del ritratto dei due personaggi che, nonostante una certa convenzionalità di sentimenti, appaiono delineati con una loro individualità.

 “Le avventure di Abrocòme e Anzia di Senofonte Efesio: incerta la data di composizione.

Nei 5 libri di cui il romanzo è composto, si nota una certa convenzionalità, infatti si ripetono con poche varianti le stesse situazioni. Il testo, nella redazione pervenuta, sembra un’epitome di un romanzo più ampio. 

 La giovane coppia è di Efeso.

Abrocome, superbo della propria bellezza, disdegna Eros; Anzia, altrettanto bella, è dedita al culto di Artemide. Di qui l’ira del dio dell’amore. Ad una festa i due giovani si innamorano e si sposano. Per fuggire i tremendi pericoli annunciati da un oracolo per il fatto di aver disprezzato Eros, si mettono in mare per un lungo viaggio ma la nave è assalita dai pirati, i tesori rubati, i giovani catturati. La figlia del capo dei pirati, Mantò, invaghitasi di Abracome, respinta, per vendicarsi, accusa il giovane di aver tentato di sedurla; Abracome è torturato e gettato in catene mentre Anzia è data come schiava alla figlia, andata sposa in un paese lontano.

La separazione dei due sposi è solo l’inizio delle prove che i giovani devono affrontare.  Anzia viene prima ceduta ad un capraio e poi venduta a mercanti cilici. Rapita dai pirati, viene salvata da un alto ufficiale di Cilicia che vuole sposarla. Anzia si avvelena ma la morte è solo apparente. Cade nelle mani di una banda di predoni che avevano profanato la sua tomba. La ragazza, venduta nuovamente, è rapita dai pirati che la condannano a morte. Salvata dai soldati, incappa nelle ire della moglie del comandante che si era invaghito di lei e viene venduta ad un lenone di Taranto. Evita di prostituirsi fingendosi epilettica.  Viene di nuovo venduta e finisce a Rodi. La vicenda di Abrocome è parallela a quella di Anzia: venduto a un vecchio soldato, deve sfuggire alla sua vecchia e brutta moglie che, pur di averlo, uccide il marito. Abrocome fugge e la donna lo accusa di omicidio. Condannato, sfugge 2 volte alla morte e il governatore d’Egitto, mosso a pietà dalla sua storia, lo libera. Dopo aver dimorato in Italia, torna a Efeso, si ferma a Rodi dove finalmente ritrova Anzia. A Rodi una ciocca di capelli, dedicata da Anzia nel tempio del Sole per il ritrovamento del marito, permette il ricongiungimento.

La novità di Senofonte Efesio sta nel riecheggiare frequenti motivi del mito classico: infatti l’ira di Eros rimanda ad Ippolito, la falsa accusa della figlia del pirata a Fedra, l’offerta della ciocca dei capelli ad Elettra.

Forse ampliamento di un’opera più antica è il romanzo in 8 libri “Le Avventure di   Leucippe e Clitofonte” di Achille Tazio.

L’autore, vissuto ad Alessandria, sarebbe anche autore di opere scientifiche.

Il romanzo si apre con un’ekphrasis: l’autore, giunto a Sidone in seguito a una tempesta, si sofferma ad ammirare un quadro raffigurante il ratto di Europa. Di fronte al quadro incontra Clitofonte che gli narra la sua vicenda.

La storia è narrata in prima persona dal protagonista: l’avvio alle peripezie è dato da una romantica fuga dei due innamorati che, sorpresi una notte insieme, sono esasperati dall’impietoso atteggiamento inquisitorio dei famigliari. Dopo un naufragio vengono catturati da una banda di briganti. Liberati dai soldati, i due giovani si recano ad Alessandria. Qui Leucippe è rapita dai pirati.  L’ acme è raggiunto quando Clitofonte, convinto della morte dell’amata, si prepara a sposare una ricca vedova di Efeso Mèlite, che aveva come schiava proprio Leucippe. Il matrimonio però non viene consumato. Nel frattempo piomba in casa, il primo marito della donna che non era morto davvero. Egli imprigiona Clitofonte ma il giovane riesce a fuggire con l’aiuto della vedova alla quale finalmente si concede ma viene nuovamente arrestato. Mentre Clitofonte ritiene che Leucippe sia stata uccisa, la ragazza si rifugia nel tempio di Artemide. Qui Leucippe dimostra la sua verginità e Melite la fedeltà al marito durante la sua assenza. Leucippe e Clitofonte possono finalmente sposarsi e tornare a Tiro.

L’autore si dimostra felice descrittore di scene e ambienti, ma non sa rinunciare agli sfoggi retorici della neosofistica. Talvolta qualche spunto novellistico e un linguaggio non sempre castigato, rimandano a certe audaci narrazioni di Apuleio.

Il romanzo presenta alcuni tratti peculiari:

Clitofonte non è un eroe forte ed immacolato perché sa concedersi alla vedova e nei momenti cruciali della lotta in difesa dell’amata appare debole ed esitante, per cui viene a trovarsi in situazioni ridicole e addirittura comiche.

Troviamo dunque in Achille Tazio forse uno spunto, un principio di maggiore umanizzazione del personaggio principale.

La narrazione si disperde in digressioni di ogni genere e si riallaccia, con l’uso della prima persona, alla tecnica delle novelle milesie.

Alcune scene, poi, risentono dell’influsso del mimo.

Longo Sofista (definito sofista solo ai primi del ‘600 da un critico tedesco) è considerato il padre del romanzo “Le avventure pastorali di Dafni e Cloe” in 4 libri.

E’ il più celebre e più bello di tutti i romanzi greci. Ha un contenuto originale, poiché la trama amorosa è ridotta al minimo per quel che riguarda i fatti esterni, gli avvenimenti, gli accadimenti: essa si concentra soprattutto a narrare non tanto le avventure ma il sorgere dell’amore tra i 2 ragazzi.

L’interesse non è più rivolto alle crudeli separazioni ma ai fatti più semplici e più elementari dell’episodio amoroso.

Anche la seconda componente tradizionale del romanzo, quella delle avventure, è ridotta alle dimensioni minime: non si intreccia quasi con il tema amoroso che resta confinato in un angolo della bellissima e celebre isola di Lesbo, in un luogo lontano dalla realtà che può valere come paradiso ideale in cui si possono appagare le aspirazioni alla semplicità e alla quiete.

  E’ il racconto di una storia d’amore raffigurata su un meraviglioso dipinto che l’autore ha visto un giorno a Lesbo. Protagonisti sono due bambini di alto lignaggio che, esposti dai genitori, vengono raccolti da poveri pastori e allevati in modo semplice e sereno nell’isola di Lesbo.

Il pastore Lamone trova un bambino esposto e una capra in atto di allattarlo e lo porta a casa.

Due anni più tardi un altro pastore, Driante, in una caverna sacra alle ninfe, trova una bambina allattata da una pecora.

I due bambini crescono immersi nella natura e ascoltano beatamente ed ingenuamente la voce dell’istinto.

Intanto i due pastori hanno lo stesso sogno: le Ninfe nell’antro consegnano Dafni e Cloe a Cupido. Allora ritenendo che le nozze tra i due siano volute dagli dei, cercano di farli sposare ma subentrano molti avvenimenti.

Cloe viene rapita, ma l’intervento del dio Pan, la libera. Dafni riesce a raggiungere Cloe e col ritorno della primavera l’attrazione fisica tra i 2 giovani cresce, ma la loro imperizia non consente loro di unirsi. Una vicina insegna a Dafni a fare l’amore. I genitori adottivi di Cloe cercano di darla in sposa a un giovane benestante ma Dafni ritrova il vero padre e così dopo qualche peripezia, può sposare Cloe che a sua volta scopre di appartenere ad una nobile famiglia di Mitilene.  Dopo un matrimonio pastorale, i due scelgono di vivere in campagna.

Non mancano gli ingredienti tipici: incursioni di briganti, ratto di Cloe, lieto fine.

Infatti tutto si conclude con il riconoscimento e il matrimonio.

Predominante questa volta è la lenta scoperta dell’amore: i primi turbamenti, gli incontri appassionati, i baci, gli abbracci, l’appagamento totale.

Anche la cornice è diversa: non più l’ambiente popolare e vario delle grandi città o i mostri fantastici, ma la natura col suo fascino rusticano o arcadico.

Tuttavia l’ingenuità dei sentimenti, la fresca rappresentazione del paesaggio, la semplicità e persino una certa nonchalance stilistica nascondono una consumata abilità retorica.

Ma qui non c’è nulla di vero perché tutto è creato artificialmente secondo un gioco di imitazioni e variazioni retorico letterarie.

Del resto fin dal proemio l’intento programmatico è proprio quello di dar vita a un’opera concepita come ekfrasis di un quadro scorto a Lesbo.  

Non ci meraviglia quindi il fatto che il candore dei protagonisti si mescoli a una buona dose di pruderie e di malizia, che il paesaggio assuma tratti di maniera, che la concretezza delle parole si dissolva in un’atmosfera da fiaba.

E’ stato anche notato come il tempo della narrazione sia senza spessore storico e psicologico.

 Infatti gli innamorati alla fine appaiono nella stessa condizione in cui si trovavano all’inizio.

Le numerose traversie non hanno lasciato segni nemmeno sull’età che continua a risplendere di bellezza e gioventù.

Anche la concezione dello spazio è astratta. Infatti il panorama geografico appare molto ampio ed abbraccia tutto il Mediterraneo e i paesi che lo circondano.

Così il carattere fittizio delle coordinate spazio temporali consente alla narrazione di svilupparsi secondo ritmi o capricci nella più assoluta libertà inventiva.

A livello sociologico tali schemi evidenziano la profonda estraneità dell’uomo nei confronti del mondo che lo circonda. Infatti nessuno dei paesi incontrati assume un carattere domestico, diventa la sua terra.

Talora sembra che se l’uomo non ha un’identità sociale, una patria, ciò dipenda dal fatto che ogni paese ormai è la sua patria, che egli è cittadino del mondo.

Eppure non è così. Egli è smarrito e quel mondo per quanto illusorio ed evasivo rappresenta pur sempre un “rifugio amico”

E l’amore appare il nuovo centro dinamico dell’uomo.

Nel romanzo il senso veristico della natura si alterna a momenti di rara e raffinata sensibilità psicologica. Pur con leziosità e sdolcinature, e uno stile un po’ retorico imbevuto di frasi sacre ai poeti, il testo presenta un’impronta originale anche se non mancano gli ingredienti tipici: incursioni di briganti, ratto di Cloe, lieto fine con il riconoscimento e il matrimonio.

Con le “Avventure etiopiche di Teagene e Cariclea” di Eliodoro (di Emesa, città della Siria, appartenente alla casta sacerdotale che celebrava il culto del dio Sole, come egli stesso ci dichiara) si torna allo schema classico delle peripezie, in quanto le traversie che i giovani devono affrontare sono innumerevoli.

Il romanzo, in 10 libri, rappresenta il culmine dell’elaborazione a cui giunse il romanzo antico, in quanto è quello in cui gli avvenimenti sono più intrecciati.

 Cariclea, figlia dei reali di Etiopia, è esposta dalla madre nera perché ha la pelle bianca.

Condotta a Delfi, trascorre la vita in modo tranquillo, affidata a Caricle, sacerdote di Apollo, all’ombra del santuario, dato che è destinata al culto di Apollo.

Un giorno, durante i giochi pitici, scorge Teagene, un atleta tessalo, discendente da Achille, bello, ricco e di nobile famiglia.  I due si innamorano a prima vista.

Giunge intanto a Delfi Calasiris, un sacerdote egiziano di Iside, devoto anche lui del dio Apollo che conosce le origini della fanciulla. Egli la persuade a mettersi in mare per tornare in patria.

Nel frattempo il re di Etiopia muove guerra contro il satrapo d’Egitto; nel corso della guerra i 2 giovani vengono catturati e condotti a Meroe, capitale dell’Etiopia.

Qui il re li destina ad essere sacrificati l’uno al Sole e l’altra alla Luna per la vittoria sui Persiani. Ma prima che ciò accada, avviene il riconoscimento di Cariclea come figlia del re di Etiopia, mentre Teagene ottiene le nozze di Caricle affrontando una serie di prove. Alla fine, però, i due, divenuti sacerdoti di Elios e Selene, possono sposarsi.

E’ il romanzo più lungo e meglio orchestrato, basato su un’elaborata tecnica narrativa. La novità consiste nell’afflato religioso che lo pervade; anche se talvolta il racconto è privo di naturalezza non mancano le attitudini descrittive.

Problematico è stabilire una datazione certa per tali opere.

 I primi studiosi si sono basati essenzialmente su criteri stilistici ma senza avere alcuna certezza.

Infatti agli del ‘900 i ritrovamenti papiracei hanno smentito tutte le precedenti ipotesi.

Alla fine si è stabilito di datare Caritone alla fine del I sec. d.C.

Senofonte Efesio e Achille Tazio al II sec.

Longo tra il II e il III sec.

Le Etiopiche di Eliodoro di Emesa al III o IV sec.d.c.

Il romanzo anonimo, Storia di Apollonio, re di Tiro, ci è noto in una redazione latina molto tarda, ma risale probabilmente al III sec.d.c.

Sono state elaborate varie teorie circa il problema delle origini.

Erwin Rodhe, ne “Il romanzo greco e i suoi antecedenti suppose nel 1878 una genesi derivante dalla fusione – operata sotto l’influsso della II Sofistica – dei romanzi di viaggi e dell’elegia erotica alessandrina.

Egli riscontrò una sostanziale affinità di impostazione in certi schemi fissi.

D’altra parte era stato sempre insito nello spirito greco il gusto per l’avventura e il diletto nel raccontare narrazioni mirabolanti in terre lontane, sconosciute, nelle quali la realtà veniva spesso a confondersi con la fantasia.

Secondo Rodhe tale fusione avvenne nel II secolo e da lì succedettero tutti i romanzi greci.

Più difficile è invece riconoscere la funzione mediatrice della II Sofistica.

Per far ciò, si deve risalire al panorama culturale del II sec. d.C. dominato dalle scuole di retorica che, con la pratica delle declamationes – l’abitudine a escogitare casi giudiziari bizzarri ed improbabili – avrebbero fornito lo spunto per la costituzione di prodotti letterari di pura invenzione e impresso il sigillo di uno stile non privo di pretese artistiche.

Ma nell’ultimo decennio del IX sec. vennero alla luce i primi frammenti del Romanzo di Nino, risalenti al I sec. a.C.

Davanti all’evidente incompatibilità dei dati cronologici la teoria di Rohde saltò.

Secondo alcuni studiosi il romanzo doveva essere retrodatato verso l’età ellenistica.

Lo storico Schwartz tracciò un’affascinante storia del “preromanzo” in Grecia, risalendo fino al più antico e al più splendido di tutti, l’Odissea.

Tuttavia un tentativo di superare il Rodhe fu fatto solo in uno studio del 1921 dallo studioso italiano  Bruno Lavagnini il quale, ormai accertata la collocazione delle origini del romanzo greco nell’età ellenistica, affermò che” le leggende popolari, leggende per lo più d’amore, vissute all’ombra pia dei santuari, strettamente connesse coi culti e con le tradizioni locali, che hanno fornito materiale all’elegia, hanno dato vita al romanzo”

Solo che qui l’elaborazione, finalizzata ad un pubblico non dotto ma popolare, comportava la scelta di uno stile meno pretenzioso e l’impiego di uno strumento linguistico più agile, come quello della prosa.

Che poi le opere giunte fino a noi portassero i segni raffinati delle officine dei retori del II sec. d.C. non voleva dir nulla, in quanto riflettevano uno stadio evolutivo più tardo.

Successivamente uno storico delle religioni, Kerémi, ritenne di poter attribuire al romanzo un’origine sacrale, precisamente isiaca.

Infatti la leggenda di Iside – Osiride si incentrava su una coppia che conosceva separazioni, prove, morti, resurrezioni.

Il romanzo altro non era che il riflesso umano, l’espressione letterarie di quelle peripezie divine.

La teoria fu accolta con perplessità perché non convinceva l’ampiezza del ruolo assegnato alla religione; si aveva l’impressione di un’indebita enfatizzazione di credenze e riti che nel romanzo occupavano una posizione marginale.

Intorno agli anni ‘70 tale teoria è stata ripresa da Merkelbach che vede uno stretto legame tra i misteri di Iside, Dioniso, ecc., e il romanzo.

Questo costituirebbe un vero e proprio testo religioso, volto non al diletto ma a definire un itinerario “mistico-spirituale” per gli iniziati; inoltre il suo contesto naturale non sarebbe quello della lettura privata e personale ma quello pubblico della comunità guidata da ministri atti ad interpretarne i significati simbolici.

Ma il risultato non è stato convincente.

Negli ultimi anni di fronte a tante teorie in contrasto tra loro si è cominciato ad allargare il ventaglio degli elementi generatori: si è pensato non solo agli apporti delle forme letterarie e paraletterarie del primo Ellenismo ma anche a Senofonte.

Nel lungo racconto (inserito nella Ciropedia) di Pantea, la bellissima prigioniera invano insidiata che si uccide sul corpo del marito Abradata, morto in combattimento, sono stati riconosciuti i tratti embrionali del romanzo.

Sono inoltre stati coinvolti Euripide con la sua umanizzazione dei personaggi e il suo anelito soterico, poi Erodoto con la sua caritas ancora vergine di fronte ai prodigi della natura e il suo gusto del narrare non ancora gravato da ipoteche di carattere critico –selettivo.

Infine si è giunti ad Omero. L’Odissea era la storia d’amore di un re e una regina separati dalla guerra e alla fine felicemente ricongiunti.

E il lungo intervallo di tempo che li aveva tenuti lontani non era stato testimone da un lato dei viaggi e delle peripezie di Odisseo e dall’altro delle fedeltà di Penelope- rappresentata dal motivo della tela – di fronte alle lusinghe dei Proci?

Ma anche queste teorie non hanno convinto in quanto rappresentano tutt’al più – ne è la prova la loro dislocazione in un arco temporale di circa mezzo millennio- i precedenti, i modelli letterari, le strutture disarticolate del nuovo genere che non sarebbe mai venuto alla luce se un impulso spirituale non li avesse vivificati all’interno, conferendo loro unità, originalità, autonomia.

Questo impulso e non gli schemi formali sarebbe la radice profonda del romanzo.

W.Benjamin colloca la nascita del romanzo moderno sotto il segno dell’isolamento e della solitudine dell’uomo del nostro tempo.

La stessa cosa si può dire per il romanzo antico.

L’epos, la tragedia e la storia erodotea incarnavano il sentimento collettivo della civiltà della polis.

Il romanzo invece si iscrive in una prospettiva diversa: il tramonto della polis e l’emergere dell’individuo accanto al quale pone la riscoperta del privato, del mondo semplice degli affetti, dell’intimità della vita di coppia e, soprattutto, dell’amore.

In tal modo finalmente l’uomo diventa arbitro di sé stesso: è vero che non ha più una patria ma in compenso tutto il mondo è diventato la sua patria. Inoltre il possesso di valori etici e spirituali pare assicurargli, al di là degli eventi contingenti, l’autàrketa.

Eppure nonostante l’apparente felicità, l’emarginazione dall’attività politica e l’impersonalità del potere assoluto non sono senza conseguenze; si vede nella ricerca dei surrogati evasivi, nel conforto mendicato alle religioni esoteriche.

La stessa riconquista della propria identità e autonomia si rivela al contrario, fuga dalla realtà, rifugio in un porto tranquillo.

Quindi l’impulso generatore del romanzo sta proprio nella “condizione dell’uomo ellenistico”

Ne è conferma il nuovo “rapporto strettamente personale” instaurato tra lettore e libro e la scomparsa di qualsiasi intento paiedeutico, in nome di un “diletto puramente ricreativo”.

Individuato questo aspetto essenziale, dal panorama geografico ricorrente nei romanzi si può ipotizzare come luogo di origine Alessandria o la Ionia e dall’ambiente fortemente ellenizzato si potrebbe pensare per la cronologia al II sec.a.C.

Non si conosce il primo inventore del genere. Forse perché alla cultura ufficiale il nuovo prodotto apparve estraneo alla sua sfera di interessi e perciò lasciò scarse tracce di sé.

Poi al tempo della II Sofistica riuscì ad aprirsi la strada per entrare nel mondo dei retori da cui derivò senza mai rinnegare le sue origini, un contenuto più ricco e una veste formale non priva di pretese artistiche.

Le opere giunte a noi in forma completa sono state definite sofistiche.

Infatti se Caritone ed Eliodoro sono da un punto di vista cronologico estranei alla II Sofistica, vi possono rientrare sulla base delle considerazioni del Cataudella riguardo all’ampio arco temporale delle declamationes delle scuole di retorica.

In ogni caso il mondo degli Erotici scriptores non conosce vere fratture ma solo semplici variazioni su temi comuni.

Così ogni romanzo vive di una intricatissima serie di casi e che alla fine si saldano intorno ai motivi dell’amore e dell’avventura.

Tali motivi sono poi rigidamente scanditi da situazioni tipiche e moduli letterari ricorrenti: lui e lei sono molto giovani e di nobile casata – bellissimi entrambi – si incontrano per caso ad una festa pubblica e si innamorano a prima vista perdutamente – che si uniscano in matrimonio o no non ha molta importanza – sono bruscamente divisi e catapultati in un mondo ostile – si cercano a lungo, si trovano inaspettatamente – di nuovo si dividono e poi si trovano – la loro castità viene messa spesso a dura prova ma trionfa sempre intatta fino al ricongiungimento finale – la storia d’amore si conclude felicemente.

Anche il motivo dell’avventura si compone di un gran numero di costanti invariabili:

viaggi per terra e per mare – tempeste e naufragi – incontri con briganti e pirati – catture, prigionie – guerre e battaglie – travestimenti, riconoscimenti – morti apparenti e resurrezioni – attentati alla castità, presunti tradimenti – verifiche anche giudiziarie e pubbliche dell’innocenza – sogni premonitori, magie, filtri.

Varia solo il modo con cui queste costanti si intrecciano.

Al loro interno la successione dei diversi momenti è scandita da tempi brevi, incalzanti ed è regolata dalla casualità delle sincronie e delle asincronie.

Il ritmo uguale dei giorni che passano, le rozze opere dei contadini evocano gli aspri contorni della realtà esiodea.

Lo sbocciare dell’amore nell’incanto dei piani assolati, tra il canto delle cicale e la fragranza dei frutti maturi rimanda al sentimento idillico della natura così vivo in Teocrito.

Ma qui tutto è creato artificialmente secondo un gioco di imitazioni e variazioni retorico letterarie.

E’ stato anche notato come il tempo della narrazione sia senza spessore storico e psicologico. Infatti gli innamorati alla fine appaiono nella stessa condizione in cui si trovavano all’inizio.

Le numerose traversie non hanno lasciato segni nemmeno sull’età che continua a risplendere di bellezza e gioventù.

Anche la concezione dello spazio è astratta. Infatti il panorama geografico appare molto ampio ed abbraccia tutto il Mediterraneo e i paesi che lo circondano, consentendo alla narrazione di svilupparsi secondo ritmi o capricci nella più assoluta libertà inventiva.

A livello sociologico tali schemi evidenziano la profonda estraneità dell’uomo nei confronti del mondo che lo circonda. Infatti nessuno dei paesi incontrati assume un carattere domestico, proprio, personale.

Forse ciò potrebbe dipendere dal fatto che ogni paese ormai è la sua patria, che egli è cittadino del mondo.

Eppure non è così. Egli è smarrito e quel mondo per quanto illusorio ed evasivo rappresenta pur sempre un “rifugio amico”

E l’amore appare il nuovo centro dinamico dell’uomo: infatti ogni romanzo si apre e si chiude all’insegna dell’amore, nuovo punto di forza, centro dinamico per dare ordine e significato al caos della vita.

Qualcuno si chiede se il romanzo sia un genere popolare. Di fronte a discordanti pareri si può affermare che sia entrambe le cose.

Certamente il termine popolare comprende non la plebe affamata ma quei ceti medi che si sono venuti via via affermando nel nuovo contesto economico e sociale.

E il romanzo con la commistione di varie problematiche risponde alle esigenze di tale pubblico.