ELSA MORANTE

Nacque a Roma il 18 agosto 1912 .

La madre, Irma Poggibonzi, emiliana ed ebrea, era maestra elementare, il padre, Francesco Lomonaco, era siciliano.

 Augusto Morante, suo padre putativo,  era istitutore nel  riformatorio Aristide Gabelli ubicato  nei pressi di porta Portese a Roma.

Elsa trascorse l’infanzia nel popolare quartiere del Testaccio, frequentando i discoli allievi del genitore. Amava le creature semplici, selvatiche, analfabete e rozze ma autentiche e vitali.

Per un certo periodo, ospite nella villa di donna Maria, sua ricca madrina di battesimo,  venne in contatto con un ambiente lussuoso e raffinato.

Non frequentò le scuole elementari e si formò in modo autonomo e personale, leggendo  libri di avventure e di fiabe.

Per evadere dalla quotidianità e immergersi in mondi immaginari, fantastici, liberi, fin da giovane scrisse favole  e poesie che riuscì a pubblicare  su giornali per bambini come Il Corriere dei piccoli.

L’indole sognatrice e romantica la portava a trasfigurare la realtà – attitudine che mantenne per tutta la vita –  nel tentativo di cogliere il lato misterioso e suggestivo delle cose più semplici per attribuire loro poteri straordinari e fantastici e rappresentare  ogni oggetto in una magica apparizione fiabesca.

 Tornata dai suoi, terminò il liceo e si iscrisse alla facoltà di Lettere che ben presto abbandonò.

Nel 1922 la famiglia si trasferì in una villetta di Monteverde Nuovo, un quartiere borghese.

A 18 anni,lasciata la casa dei suoi, andò  ad abitare in un appartamento nei pressi di Piazza Venezia; sbarcò il lunario tenendo  lezioni private e collaborando a diverse riviste.

Tra il 1935 e il 1940 come giornalista, scrisse eleganti cronache di costume su alcune riviste culturali.

Negli anni 1939/ 41 collaborò alla rivista  Oggi.

Del 1941 è la raccolta di racconti: Il gioco segreto.

Nello stesso anno sposò Alberto Moravia con rito religioso  e insieme a lui trascorse un lungo periodo ad Anacapri.

Nel 1942 pubblicò la fiaba “ Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina

Antifascista,  si rifugiò a Cassino col marito  tra i monti della Ciociaria.

Qui,a diretto contatto con l’ambiente e la mentalità del Sud, fu affascinata da quel mondo arcaico e semibarbarico in cui si mescolavano superstizione e magia, spontaneità e gioia di vivere, passioni drammatiche e religiosità primitiva.

Tornata a Roma dopo la liberazione, scrisse “ Menzogna e sortilegio” , pubblicato nel 1948, con cui  si dimostrò estranea alle correnti e mode del tempo:   le fruttò il premio Viareggio.

Libro maturo e originale, si snoda tra il contrasto insanabile esistente tra realtà e illusioni – in un mondo rappresentato nella sua durezza concreta –  e i fantasmi mentali dei protagonisti.

Illustra una fuga dalla realtà, il groviglio di mistificazioni, illusioni e sogni impossibili di grandezza e di amore.

 I protagonisti infatti cercano di rimuovere e mascherare la loro squallida esistenza.

 La scrittrice indaga psicologicamente lo slittamento dalla realtà al sogno, attraverso i labirinti della coscienza.

La presenza arcaica di alcune manifestazioni del lessico esprime una visione ancora impregnata di elementi ottocenteschi.

La prosa tende la sublime, con una sorta di gonfiezza barocca in quanto  abbraccia un campo semantico di grande portata.

Il libro narra la storia della decadenza di una aristocratica famiglia del meridione, in cui si intrecciano vicende romantiche d’amore, di pregiudizi, di sfrenato orgoglio.

 Il personaggio narrante è Elisa, una giovane donna di 25 anni che, rimasta sola al mondo, rievoca la vicenda dei propri genitori e di altri personaggi, in un monologo esaltato, ossessionato dai fantasmi del passato.

La nonna materna, Cesira, di famiglia molto modesta, aveva sposato Teodoro Massia,   un uomo attempato e alcolizzato,  appartienente ad una famiglia aristocratica andata in rovina.  Dal matrimonio nasce una figlia, Anna,  che giovanissima, si innamora del cugino Edoardo e con lui porta avanti un rapporto ambiguo.

 Il giovane, ad un certo punto,  interrompe il rapporto socialmente scandaloso con la cugina  e frequenta Francesco De Salvi,  un figlio di contadini, che finge di essere nobile e ricco.

Egli frequenta  la prostituta Rosaria da cui è attratto anche Edoardo.

 Nascono maldicenze e menzogne. Allora Anna sposa Francesco ma il matrimonio è fallimentare. Nasce Elisa. Il padre muore in un incidente sul lavoro e la madre, consunta dalla follia,  lo segue  senza aver dimenticato l’amore per il cugino che, provato dalle traversie, muore anche lui poco dopo.

Elisa è raccolta da Rosaria  che la cresce come una figlia, tenendola a distanza dalle sue frequentazioni.

 Alla morte della donna Elisa decide di vivere da sola e di dedicarsi alla scrittura.

 La narrazione  della storia familiare si conclude con la poesia Canto per il gatto Alvaro, che Elisa  rivolge  all’unico compagno della sua esistenza. 

Son già due mesi  che la mia madre adottiva, la mia sola amica e protettrice, è morta. Quando, rimasta orfana dei miei genitori, fui da lei raccolta e adottata, entravo appena nella fanciullezza; da allora ( più di 15 anni fa), avevamo sempre vissuto insieme. La nuova luttuosa ormai s’è sparsa per l’intera cerchia delle sue conoscenze; e, cessate ormai da tempo le casuali visite di qualche ignaro che, durante i primi giorni, veniva ancora a cercar di lei, nessuno sale più a questo vecchio appartamento, dove sono rimasta io sola. Non più d’una settimana dopo i funerali, anche la nostra unica domestica, da poco assunta al nostro servizio, si licenziò con una scusa, mal sopportando, immagino,  il deserto e il silenzio delle nostre mura, già use alla società e al frastuono. Ed io, sebbene l’eredità della mia protettrice mi consenta di vivere con qualche agio,  non desidero provvedermi di nuova servitù. Da varie settimane, dunque, vivo rinchiusa qua dentro, senza veder alcun viso umano, fuor di quello della portinaia, incaricata di portarmi le spese; e del mio, riflesso nei molti specchi della mia dimora.

L’isola di Arturo, del 1957, con cui vince il premio Strega, è la  storia di un’infanzia libera e selvatica sull’isola di Procida verso la fine degli anni 30.

 Arturo Gerace, il protagonista,  in prima persona, ripercorre da adulto il tempo trascorso nell’isola. La madre, che muore  giovanissima nel darlo alla luce, dal ragazzo è vista come una dolce creatura vagante nello spazio.

Arturo viene  cresciuto dal  “ balio” Sivestro, un garzone napoletano che, entrato in casa Gerace all’età di 14/ 15 anni, torna  a Napoli per il  servizio militare.

Silvestro,  che aveva insegnato al giovane a leggere e a scrivere, viene sostituito da Costante, un colono del podere  che si occupa solo di cucina.

 Arturo vive nel disordine e nel sudiciume,  leggendo storie di pirati e di  condottieri famosi, di cui vuole imitare le imprese.

E’un ragazzo sveglio, indipendente, testardo, orgoglioso, spavaldo e fiero delle proprie origini

 “ cosmiche”.

Si sente destinato ad un futuro eroico e glorioso, basandosi sulle  origini astrologiche e leggendarie del   nome Arturo   che comprende racchiude  il nome di una stella della costellazione di Boote e quello del re dei cavalieri della Tavola rotonda.

Al nome “mitico”corrisponde un’infanzia “ mitica”, trascorsa nello scenario magico e selvaggio di un’isola solare e mediterranea, percorsa da colori selvatici e popolata da animali reali e immaginari, un’isola che  seduce ed attira come il canto di una sirena, un paradiso meraviglioso da cui si può salpare per intraprendere avventure di sogno.

Il giovane mitizza il padre Wilhelm, un italo- tedesco, dalla bellezza conturbante, che però è sempre in giro per il mondo.

In realtà l’uomo,  infelice, ambiguo, annoiato e inquieto,   all’adorazione del figlio risponde con indifferenza ed egoismo.

Nonostante l’agiatezza economica  i due vivono da  selvaggi nella casa dei “Guaglioni”,  un  vecchio palazzo in rovina le cui finestre , sempre aperte, fanno entrare tanta  polvere su pavimenti e mobili.

La casa un tempo era appartenuta alla leggendaria figura di Romeo l’Amalfitano, un ricco spedizioniere che  vi aveva dimorato in ozio per 30 anni, non permettendo mai  ad alcuna donna di entrare.

Unico amico di Wilhelm, aveva lasciato  la casa in eredità all’italo-tedesco.

 Agli occhi di Arturo, però, la  casa appare principesca.

Arturo trascorre il tempo  in modo avventuroso e vagabondo  tra  gli incanti del mare cristallino e i vicoli bui del paese, su cui incombe l’oscura mole del castello penitenziario.

Un pomeriggio d’inverno  il ragazzo vede scendere dal traghetto  il padre con una giovane sposa, Nunziatina.  

La presenza della nuova arrivata provoca in Arturo  gelosia, rancore e disprezzo tanto che non riesce a chiamare la donna per nome.

Questa, invece, si dimostra premurosa e attenta nonostante  il figliastro le si palesi   scorbutico e indifferente. 

Nunziatina, succube del marito e del figliastro, anche se  maltrattata e trascurata,  non abbandona  il suo potenziale affettivo tanto che attraverso le sue vicende  emerge una visione positiva dell’amore.

 L’arrivo del fratellastro, Carmelo Arturo, a cui Nunziatina dedica tutto il suo amore,  provoca, però, in Arturo  il desiderio di riappropriarsi delle attenzioni della matrigna.

Così inscena un finto suicidio ingerendo un forte quantitativo di sonnifero: ciò lo costringe a letto per una settimana e fa sì che venga  assistito amorevolmente da Nunziatina.

 Ripresosi, Arturo abbraccia e bacia sulla bocca la donna provocando  in lei la perdita della spontaneità e sicurezza.

 Nel tentativo di divincolarsi la donna perde un orecchino.

Nell’estate successiva Arturo  si accorge  che il padre, tornato da un viaggio, attende la discesa dal piroscafo di un ergastolano.

 Un giorno Arturo diviene l’amante  di Assuntina, una giovane vedova, amica di  Nunziatina  che, ingelosita, litiga con la donna.

 Arturo allora propone  alla matrigna di abbandonare l’isola insieme a lui.

Poiché la giovane rifiuta,  Arturo continua a frequentare Assuntina.

Intanto il padre continua ad andare a cantare sotto la finestra del  carcerato, Tonino Stella da cui però, riceve solo parole di diniego.

A dicembre il ragazzo scopre che il carcerato, dietro pagamento, ha accettato di  passare 15 giorni  a casa col padre.

Trascorso tale tempo, i due uomini  escono da casa per recarsi al molo.

Nel giorno del compleanno, Arturo rivela alla matrigna i rapporti che intercorrono tra il padre e Tonino e poi scappa in una grotta.

Nunziatina lo cerca ma il ragazzo  non si fa vedere,   finchè non arriva  Silvestro, che ha preso una licenza per recarsi nell’isola e fargli gli auguri.

Col soldato il mattino dopo Arturo prende il piroscafo e si allontana dall’isola.

Il lungo capitolo iniziale “Re e Stella del Cielo” racconta le vicende del giovane dalla nascita fino ai 14 anni.

 Nella seconda parte, che si svolge nell’arco di 2 anni, viene narrato l’arrivo della matrigna napoletana e la fuga di Arturo, ormai sedicenne, verso una vita lontana dalla splendida favola infantile.

Emerge il conflitto realtà/sogno in una  simmetrica contrapposizione dei tempi della fabula – infanzia e maturità del protagonista, cioè innocenza e consapevolezza – che si carica  di una precisa significazione: la libera infanzia nella solarità mediterranea dell’isola e l’avventura giornaliera cederanno il posto alla consapevolezza  e all’inesorabile principio di realtà.

Si notano diversi codici linguistici e regionali e un uso più leggero della lingua.   

era là in attesa. E al guardarlo, io sentii tutta la stranezza della mia tramontata infanzia. Aver veduto tante volte quel battello attraccare e salpare, e mai essermi imbarcato per il viaggio! Come se quella, per me, non fosse stata una povera  navicella di linea, una specie di tranvai;ma una larva scostante e inaccessibile, destinata a chi sa quali ghiacciai deserti! Silvestro ritornava coi biglietti; e i marinai andavano disponendo la scaletta per l’imbarco. Mentre il mio  balio conversava con loro, io, senza farmi cedere, trassi di tasca quel cerchietto d’oro che N. mi aveva inviato la sera prima. E di nascosto lo baciai. A riguardarlo, d’un tratto una debolezza inebriante mi oscurò la vista. In quel momento, l’invio dell’orecchino mi si tradusse in tutti i suoi significati: d’addio, di confidenza; e di civetteria amara e meravigliosa! Così, adesso avevo saputo che era anche civetta , la mia cara innamoratella!

Elsa nel corso degli anni viaggiò moltissimo: Persia, India, Russia, Cina, America.

Nel 1962 si separò da Moravia;  pianse per l’amico Bill Morrow, un pittore americano,conosciuto durante un viaggio negli Stati Uniti che si era suicidato.

Approfondì l’amicizia con Pier Paolo Pasolini.

Nel 1963 pubblicò Lo scialle andaluso in cui riprese testi scritti tra gli anni 30 e 50.

Il compagno è del 1938.

Ero un ragazzo di 13 anni, scolaro di ginnasio; fra tanti miei compagni né belli né brutti, ce n’era uno bellissimo. Egli era troppo ribelle e pigro per essere il primo della classe; ma, tutti lo vedevamo, il minimo sforzo gli sarebbe bastato per diventarlo. Nessuna della nostre intelligenze si rivelava, come la sua , limpida e felice. Il primo della classe ero io; avevo l’indole poetica e, pensando al compagno, mi veniva fatto di chiamarlo Arcangelo… Il compagno era così viziato dalla natura, che nessuno di noi dubitava lo fosse anche dalla fortuna. La sua superbia era legittima, certo egli era il più ricco di noi tutti. Aveva i capelli ben pettinati, graziose cravattine, e i libri di scuola rilegati con un bel cartone rosso lucido. Nessuno di noi si presumeva degno di esser ammesso alla sua casa; che, senza averla vista, ci figuravamo regale.

Visse sola  in una casa della vecchia Roma ricevendo pochi e fidati amici, poeti, scrittori, artisti, giovani e sconosciuti, frequentando Sandro Penna, poeta schivo e solitario..

Nel 1965 nella conferenza a Torino  Pro e contro la bomba atomica evidenziò quello che deve essere il ruolo dello scrittore nella società: recuperare la realtà integra e originaria delle cose.

Nel 1968 vinse il premio Etna-Zafferana con “ Il mondo salvato dai ragazzini”, composizione in poesia anarchica e popolaresca con cui  manifesta il suo volersi inserire tra le avanguardie sperimentali.

   E’un tentativo nuovo per sperimentare un modo più diretto, popolare di narrazione quasi da “teatro da strada” di cui sono protagonisti i ragazzini, portatori di una sorta di rigenerazione dell’umanità.

Viene celebrata  la ribellione contro la morte da parte dei bambini: in loro si raccoglie “il sale della terra” cioè la vera sapienza; essi sono additati come i veri rivoluzionari, coloro che potranno salvare l’umanità dall’istinto autodistruttivo che la sommerge.

 Il linguaggio, fresco anche se non sempre convincente, si intona bene col gusto delle avanguardie.

Del 1974 è La storia, il penultimo romanzo- denuncia, che suscitò violente discussioni per il suo radicale pessimismo.

Alle vicende di un gruppo di “umiliati e offesi” che la storia travolge, la voce narrante ( concepita secondo le modalità dell’ottocentesco narratore onnisciente) aderisce a volte con eccessiva immedesimazione, con vero e proprio patetismo.

Riscontriamo il leit motiv che caratterizza tutte le opere della scrittrice: un’ansia di felicità e di pienezza che puntualmente la vicenda umana , nel suo svolgersi, distrugge o riduce a dolente nostalgia.

Da ciò deriva la dimensione di mito esemplare della condizione umana e il rifiuto della Storia.

I codici linguistici sono variegati.

Il romanzo,dedicato ad un” analfabeta”, è pubblicato in edizione economica perché abbia la massima diffusione. Il sottotitolo è “ uno scandalo che dura da diecimila anni”

IL romanzo comincia con una precisa cronologia “Un giorno di gennaio dell’anno 1941” e termina “ Con quel lunedì di giugno 1947, la povera storia di Iduzza Ramundo era finita

Le vicende narrano in parallelo  la storia personale di alcuni personaggi comuni e le vicende legate al secondo conflitto mondiale e alle aspre tensione subentrate.

Una maestra elementare, Ida Ramundo,  creatura insicura di carattere, è spaventata dal fatto di essere ebrea per parte di madre.

Partita dalla Calabria,  vive con un figlio, Nino, a Roma negli anni della II guerra mondiale.

In seguito alla violenza subita da parte di un soldato tedesco, ha un secondo figlio, Giuseppe, detto  Useppe.

Quel bambino fragile e tenero diventa la molla del suo coraggio e la sua stessa ragione di vita, tanto che quando il figlio morirà, preda di un attacco epilettico, Ida precipiterà in una cupa follia , senza scampo.

Attorno al piccolo Useppe oltre alla  madre Ida, ruotano i 2 eroi della vicenda: Davide Segre, un intellettuale ebreo, che teorizza la difesa dei valori umani con la ragione e la cultura e che morirà stremato dalla droga; e Nino Ramundo, il figlio legittimo di Ida  che con la sua esuberanza vitalistica accetta come un gioco la guerra, la resistenza, la borsa nera.

Useppe è innocenza , poesia, mito, incrocio di purezza, di umiltà, di semplicità: per questo  la sua morte in tenera età acquista il significato con cui si scontano i mali degli uomini.

 Ida si spegne 9 anni dopo la morte di Useppe, anni di quieta follia trascorsi in ospedale, in una totale inattività come se con il figlio fosse morta anche lei.

Appena ventenne , Nino conclude la sua vita convulsa in un incidente stradale, durante un conflitto a fuoco con la polizia.

Per la Morante esiste la Storia dei potenti e la storia degli umili.

La Grande Storia è tutta un inganno a spese delle piccola storia.

 All’inizio di ciascun capitolo la scrittrice in alcune pagine narra la successione degli eventi del periodo, una cronologia di risoluzioni politiche internazionali sfociate in guerre, massacri, rivoluzioni: è sempre l’elite del potere che decide la vita di milioni di uomini, inconsapevoli vittime passate, presenti e future.

La Storia  – afferma Morante – è “ uno scandalo che dura da 10mila anni” e non accenna ad arrestarsi. Contro questo scandalo,che esprime il potere dei forti sui deboli, la scrittrice oppone il proprio anarchismo libertario.

Verso il quinto anno d’età. Iduzza fu soggetta per tutta un’estate agli insulti di un male innominato, che angosciò i suoi genitori come una menomazione. Nel mezzo dei suoi giochi e delle sue chiacchere infantili, le capitava all’improvviso di ammutolire impallidendo, con l’impressione che il mondo le si dissolvesse intorno in una vertigine. Alle domande dei suoi genitori, dava a malapena , in risposta, un lamento di bestiola, ma era evidente che già cessava di percepire le loro voci, e di lì a poco si portava le mani al capo e alla gola in atto di difesa, mentre la bocca le tremava in un mormorio incomprensibile, quasi dialogasse, spaventata, con un’ombra. Il suo respiro si faceva alto e febbrile, e qui, d’impeto, essa si buttava in terra, torcendosi e squassandosi in un tumulto scomposto, con gli occhi aperti, ma vuoti in una totale cecità. …Questo le durava un paio di minuti al massimo, finché i suoi moti si attenuavano e diradavano, e il corpo le si riadagiava in un riposo dolce e composto….

…Tali segni superstiti del suo male si andarono poi diradando e indebolendo col tempo. La riassalirono , con una frequenza notevole, verso gli 11 anni; e in seguito, attraversato il punto della pubertà, sparirono quasi del tutto,come aveva già promesso il dottore…

..Fu qui che Ida senza darsene ragione prese a gridare:” No!No!No” con una voce isterica da ragazzina immatura. In realtà, con questo suo no, essa non si rivolgeva più a lui né all’esterno, ma a un’altra minaccia segreta che avvertiva da un punto o nervo interno, risalita a lei d’un tratto dai suoi anni d’infanzia, e da cui lei si credeva guarita…

Nel 1981 una grave malattia al  sistema circolatorio paralizzò le gambe della scrittrice e minò le sue facoltà mentali.

Nel 1983 pubblicò Aracoeli, un lavoro intriso di una profonda visione pessimistica e assai sconsolata del mondo, in una lingua che non perde intensità espressiva nel narrato.

E’ la storia triste e drammatica di Emanuele, che non più giovanissimo, inquieto e tormentato, dopo molti anni dalla morte della madre Aracoeli, una appassionata contadina andalusa, andata sposa ad un ufficiale di marina italiano e trasferitasi con lui a Roma, sente la necessità di andare a visitare il paese della donna, come se volesse compiere un ritorno alle radici, alla ricerca della purezza dell’infanzia, e di una pace che non riesce a trovare altrove.

Ma la ricerca non gli farà conoscere la vera personalità della madre per cui abbandonerà il paese El Almendral e, insoddisfatto, tornerà in Italia.

Morante nel libro dimostrò di possedere una vasta competenza linguistica. 

Le sofferenze atroci nel 1983 la portarono poi  ad un tentativo di suicidio, nonostante l’affetto del gatto e della fedele governante. Ricoverata in una clinica romana, morì il 25 novembre 1985.