FENOGLIO

BIOGRAFIA

Beppe (Giuseppe) Fenoglio nacque ad Alba, in provincia di  Cuneo,  il 1 marzo 1922.

Il padre, Amilcare, era un macellaio di origine contadina;  incline ad un ideologia socialista in senso umanitario,  si dimostrò  insofferente alle imposizioni del fascismo tanto che  non prese mai la tessera del partito ( anche se riuscì a nascondere  la  propria avversione).

La madre, Margherita Faccenda, di carattere e di educazione diverse dal marito, aveva fortemente radicate nell’animo le tradizioni cattoliche.

Aveva un fratello minore di due anni, e una sorella molto più giovane.

La macelleria del padre, che garantiva alla famiglia un certo  benessere, consentì  al giovane di frequentare il liceo classico  e l’università a Torino (che, però, non terminerà mai).

Ogni anno per le vacanze Beppe  si trasferiva  a S. Benedetto Balbo o a Murazzaro dove, messo a confronto con  un’altra visione della vita, si rese conto del  duro, faticoso, lavoro dei  contadini che  quotidianamente tentavano di  strappare alla terra avara un minimo di  sostentamento per i propri cari.

In questi anni maturò in lui l’amore per le colline e per le lunghe passeggiate solitarie.

Durante gli anni del liceo, resosi  conto  della differenza sociale esistente  tra lui, figlio di macellaio, e i figli dei ricchi proprietari terrieri, visse in modo  schivo e appartato,  passando ogni minuto libero con la lettura: preferì gli scrittori anglosassoni – sarà ironicamente definito “ l’inglese di Alba” –  su cui  formò la propria  personalità, affinata anche dal senso di giustizia e libertà  trasmessogli dai  genitori.

Ebbe un amore particolare per il teatro (Shakespeare, Conrad, Laurence, Marlowe) ma si esercitò anche con traduzioni di opere di Broening, Poe, Yeats.
La vita solitaria e la continua voglia di fantasticare  lo portarono   ad un senso di repulsione per l’eloquenza fascista e  le limitazioni che la dittatura arrecava alla libertà del singolo.

E’ da escludere che in qualche modo lo abbiano influenzato le parole sulla morale e il disprezzo verso il regime di alcuni suoi insegnanti, Leonardo Cocito e Pietro Chiodi, che poi militeranno tra i  partigiani.

La vita universitaria fu interrotta  a causa del servizio militare; dopo il corso da   allievo ufficiale venne mandato  a Roma da dove scappò al momento dell’armistizio (8 settembre del ’43).

Raggiunta Alba in abiti civili, poiché la città  era in mano  ai tedeschi, nel 1944 si arruolò tra le file partigiane dei garibaldini e poi,  dall’estate del ’44, nei badogliani.

Scioltosi il gruppo, tornò ad Alba dove restò inattivo per pochi mesi fino al momento di  inserirsi nelle fila degli azzurri con i quali  riuscì a liberare Alba.

Alla fine del ‘44 anche questo gruppo si sciolse.

Fenoglio, deciso a  continuare  da solo, visse nascosto tra le colline finché l’anno successivo i partigiani vennero affiancati agli alleati: grazie alla sua conoscenza della lingua inglese svolse il ruolo di “ ufficiale diplomatico” nei confronti degli inglesi stanziati nell’Astigiano.

Al termine della guerra, come tutti i suoi coetanei, ebbe  problemi di reinserimento: in seguito  diventò interprete e curatore di un’azienda vinicola.

Nel ‘60  sposò  Luciana Bombardi  da cui ebbe  la figlia Margherita.

Vinse il premio Prato con “Primavera di bellezza” e quello Alpi Apuane con “Ma il mio amore è Paco”.

Così spiegò il suo bisogno di scrivere: “ Scrivo per un’infinità di motivi. Per vocazione…anche per continuare  un rapporto che un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate…non certo per divertimento”

Un cancro ai polmoni  lo stroncò a Torino nella notte tra il 17  e il  18 febbraio 1963.

 

OPERE

Il suo primo scritto del ‘52 “ La paga del soldato”,  presentato ad Einaudi ma  rifiutato da  Elio Vittorini, uscì postumo nel  ’69.

I  23 giorni della città di Alba ( 1952) fu  pubblicato nella collana einaudiana dei “Gettoni” diretta da E. Vittorini .

La malora ( 1954), seguita da altri racconti, pubblicati in varie riviste e poi raccolti in volume col titolo “Un giorno di fuoco” uscì nel 1963.

Primavera di bellezza ( 1959)

 

Opere  pubblicate post mortem

Una questione privata ( 1963).

Frammenti di romanzo

Il partigiano Johnny (1968).

I racconti del parentado (1973)

A 10 anni dalla morte esce Un Fenoglio alla 1 guerra mondiale,  La voce nella tempesta e Opere

( edizione critica)

 

 Primavera di bellezza

Concepito e steso in lingua inglese”, fu poi trasposto in italiano.

Il titolo riecheggia una famosa canzone di epoca fascista “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”.

Narra  la vicenda di un ex studente del liceo classico di Alba, che viene reclutato  per  il servizio di leva a Roma , nell’organismo fascista dell’UNPA ( Unione nazionale Protezione Antiaerea).

Il soprannome Johnny gli deriva dalla sua passione per la letteratura inglese che il giovane continua a coltivare anche durante il periodo di leva.

 

“ E’alto e asciutto, anzi magro, negli occhi il suo punto di forza e di bellezza”. 

 

Egli partecipa alle discussioni dei  compagni solo se queste hanno per argomento l’Inghilterra,  ritenuta un valido riferimento culturale e soprattutto patria d’elezione.

Johnny, infatti, insegue un ideale di compostezza e superiorità che gli sembra di individuare nel temperamento degli anglosassoni.

Egli, istruito e preparato a Moana, in Piemonte,  viene poi trasferito nelle caserma di Pietralata a Roma:  è alle prese  con  i duri addestramenti  e la pesante quotidianità della vita militare accanto a gente di diversa estrazione sociale e territoriale.

Sempre più insofferente alla vita di caserma e all’ottusità dei suoi superiori, Johnny  continua ad isolarsi, guardando la realtà circostante  con distacco ed ironia.

Ma gli eventi incalzano: Roma viene bombardata e il giovane, che si trova a fare i conti con se stesso, comprende che è arrivato il momento di confrontarsi drammaticamente con la vita.

L’armistizio è ormai imminente: il periodo successivo al 25 luglio ‘43 vede lo sbandamento delle truppe militari, la disorganizzazione, le incertezze, la rassegnazione,  le fughe dei soldati.

Johnny, smessa la divisa, si camuffa con abiti civili e si infila su un treno diretto al Nord.

Durante il ritorno ad Alba, si imbatte in una banda di partigiani e decide di arruolarsi  nelle squadre anti fasciste badogliane  dato che non condivide la linea di condotta  di stampo comunista delle brigate garibaldine.

Come partigiano viene ucciso il 19 settembre nel corso di un’imboscata tesa a una colonna di soldati tedeschi.

 

Il romanzo sia pure con un esito drammatico,  non è solo il resoconto drammatico di un evento bellico realmente accaduto, ma è soprattutto il romanzo di formazione e di crescita di un individuo sullo sfondo di uno dei periodi più drammatici della nostra storia.

A differenza degli altri scrittori o dei memorialisti della Resistenza, il realismo di Fenoglio non diventa mai

“ neorealismo”,  cioè stile che volutamente riproduce con fedeltà eventi realmente accaduti.

La formazione intellettuale dello scrittore, infatti, deriva dai testi degli scrittori anglosassoni e in particolare dall’ideologia religiosa puritana, secondo la quale  ogni individuo ha il dovere morale di essere coerente con le proprie azioni di cui deve rispondere soltanto di fronte a Dio.

Così sarà per Johnny,  il partigiano, che  persegue fino al sacrificio estremo questo ideale di rigore morale pur  vedendo le deviazioni e  gli errori dei suoi simili, siano essi nemici o compagni.

Il linguaggio è infarcito di neologismi, intervallati da idiomi  in lingua inglese e da frasi dissacranti la pomposa e sterile retorica fascista.

 

La paga del soldato

Edito nel 1969 ad opera di Maria Corti, che aveva trovato l’opera giovanile tra le carte lasciate dallo scrittore, narra la storia di Ettore  che pochi mesi dopo la fine del conflitto, non riesce ad reinserirsi nella vita di ogni giorno, trovandosi un posto di lavoro.

Egli si scontra con la madre che lo  vorrebbe sistemato anche in modo umile  pur di racimolare qualche lira. Ma Ettore,  che a 22 anni ha comandato 20 uomini e ha partecipato come partigiano ad azioni di guerriglia,  non si sente pronto a svilire i propri ideali e quando il padre lo raccomanda perché lavori presso una fabbrica di cioccolata, si nasconde

Non vuole diventare uno schiavo come  gli operai e gli impiegati che entrano quotidianamente nella fabbrica, che egli considera come una prigione.

Si rivolge allora a Bianco, un ex partigiano che, a capo di un gruppetto di uomini, sembra condurre una guerra privata, combattendo contro chi ha assunto posti di comando e di potere.

Illudendosi di mutare la società, Ettore gli si affianca; dopo un po’, però, si rende conto che l’amico porta a termine piccoli furti  solo per un tornaconto personale.

Innamoratosi, cerca di dare una svolta alla propria esistenza rientrando nella normalità , ma viene ucciso da un camion.

Il senso di ribellione del protagonista  verso ciò che è precostituito,  nasce dal dissidio  e dalle frustrazioni createsi  tra aspettative ideali e realtà materiale.

 

I 23 giorni della città di Alba

Con lo pseudonimo di Antonio Federico Biamonti nel ‘49 Fenoglio aveva presentato all’editore Einaudi una raccolta “ Racconti di guerra civile” che uscirà dopo vari rifacimenti nel ‘52 col titolo “ I ventitre giorni della città di Alba”.

Si tratta di 12 racconti, dedicati alla Resistenza, di cui il primo dà il titolo all’opera.

Con tale scritto Fenoglio volle perseguire un tipo di narrativa  basata sulla verità degli avvenimenti: non un semplice fatto documentario, ma una rappresentazione cruda, fredda, reale,  priva di falsi moralismi.

Per tale motivo fu attaccato sulle pagine de l’Unità che gli rimproverava di non aver nascosto gli aspetti meno edificanti della lotta partigiana.

La raccolta si può dividere in due parti: nella prima  sono narrate le storie dei partigiani contro la repubblica di Salò. Alcune riportano la narrazione di battaglie o di fucilazioni, altre episodi di vita dei combattenti.

La seconda parte narra la vita delle popolazioni dopo la guerra. L’ambiente è costituito dalle Langhe.

L’opera appare  innovativa sul piano stilistico e linguistico perché priva di intenti agiografici.

Il romanzo inizia con la seguente frase, essenziale e decisiva, quasi di stampo epico:

 

Alba la presero in 2000 il 10 ottobre e la persero in 200 il 2 novembre dell’anno 1944.

 

Il tono, successivamente, diventa  più  colloquiale e ridotto :  i partigiani riescono a tenere la città per pochi giorni, poi la devono abbandonare nelle mani dei repubblichini.

 Dopo l’ironica rappresentazione della sfilata – corteo   dei partigiani che attraversano tutta la città in pompa magna,  la narrazione  diventa il fulcro  di un’esperienza, di un ricordo ancora vivo nella memoria: la città, infatti, è vista come una trappola che aspetta le sue vittime per chiudersi.

 

 Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n’era per cento carnevali. Fece un’impressione senza pari quel partigiano semplice che passò rivestito dell’uniforme di gala di colonnello d’artiglieria cogli alamari neri e le bande gialle e intorno alla vita il cinturone rossonero dei pompieri col grosso gancio. Sfilarono i badogliani con sulle spalle il fazzoletto azzurro e i garibaldini col fazzoletto rosso e tutti, o quasi, portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia.

 

L’autore descrive i fatti a volte in modo mitico, altre in modo ironico ma mai retorico.

Egli si rende conto dell’aspetto dilettantistico delle varie imprese: il sangue versato, la superficialità nelle decisioni, le esibizioni puerili che fanno scendere i partigiani dal piedistallo.

Contemporaneamente, però, non vuole esaltare i fascisti che ha combattuto:  l’ironia scaturisce essenzialmente  dal sentimento di pietà verso vincitori e vinti, dalla constatazione del grottesco della vita, dominata solo dalle  fatali necessità del vivere.

Fenoglio, considerato neorealista per la brutalità  e le  vicende narrate in modo dettagliato come in una cronaca, riesce a trasmettere nei lettori l’ansia di verità e il senso di fastidio provocato dalle esibizioni dei partigiani.

 

Quella prima notte d’occupazione passò bianca per i civili e i partigiani. Non si può chiuder occhio in una città conquistata ad un membro che non è stato battuto.

 

Dopo la paura della prima notte  comincia la lunga settimana della pioggia che diventa la vera protagonista. Il fiume esagerò a tal punto che si smise di aver paura della Repubblica per cominciare ad averne di lui.

La temporanea tregua concessa dalla pioggia permette l’incontro tra i capi fascisti e quelli partigiani che termina con la promessa dello scontro finale con cui si  conclude la vicenda partigiana ad Alba.

Durante la battaglia  chiara è la disparità di forze delle due parti: i partigiani sono “ i dilettanti della trincea”, i fascisti sono “ gli assaltatori ammaestrati”.

I partigiani, “ minorenni” male armati e poco addestrati, sono spinti da una profonda avversione contro i fascisti e per coscienza politica rischiano la vita.

Anche se adolescenti, sul campo sono volenterosi nel difendere la città tanto che il comandante deve faticare per farli ritirare: per loro, infatti, è molto più gratificante lasciare il campo dopo una strenua resistenza che non ai primi sintomi di sconfitta.

Al momento di abbandonare la città  piangono e bestemmiano, mentre  guardano  Alba, ormai  fortino dei fascisti che vanno  a suonare le campane personalmente perché la gente, disarmata, è ferita  moralmente per il loro rientro.

Il tono irrisorio usato all’inizio del racconto diventa in questa tragica fine, pietoso verso quei poveri giovani che andavano verso la morte senza saperlo, senza averne motivo.

Anche i contadini e le loro cascine svolgono un ruolo molto importante durante le varie fasi della guerra; essi stanno vicini ai partigiani come protagonisti involontari, a volte per  bontà e speranza nei combattenti, a volte perché costretti a rischiare la vita con la forza o con le armi.

Molto spesso, infatti, le loro cascine venivano saccheggiate dai partigiani stessi o dai nazifascisti: chi arrivava per primo razziava le dispense.

 

Il secondo racconto,  L’andata, ha come protagonisti cinque partigiani: Negus, Colonnello, Bimbo, Treno, Biagino, giovani semplici che vogliono mostrarsi forti e coraggiosi.

La narrazione inizia con la partenza del gruppo per una missione segreta: intendono catturare, con l’aiuto della sorella di Bimbo, un sergente della repubblica.

Superata Treiso, cittadina in mano ai partigiani, vengono avvisati della presenza della cavalleria nemica. Giunti ad Alba, si nascondono in un canneto e poi catturano il sergente; questi, però , riesce a scappare e Negus è costretto ad ucciderlo. A loro volta  i giovani vengono catturati:  la vicenda si conclude tragicamente con la morte di tutta la squadra.

C’è un continuo crescendo  di toni  che raggiunge l’acme  nella conclusione finale: dalla spensieratezza iniziale  dei partigiani si passa alla suspance dell’agguato e agli acuti della morte finale.

 

Un altro muro è l’ultimo dei racconti sulla guerra.

La vicenda si sviluppa all’interno di una cella fredda e buia  dove si trovano  due prigionieri  della Repubblica, Max  e Lancia, che attendono di essere giustiziati.

Max è giunto al carcere imprecando  contro chi lo aveva  convinto a fare il partigiano.

I due prigionieri cominciano a familiarizzare e Max si rende conto che il compagno è stato picchiato.

Saputo che Max fa parte dei badogliani , Lancia –   aggregato invece  alla brigata garibaldina –  gli dice che è fortunato perché i preti facevano di tutto per salvare i badogliani.

Max a queste parole si irrita, convinto  che entrambi subiranno la stessa sorte.

Il giorno dopo i due  vengono condotti nei pressi del cimitero verso mezzogiorno per non essere visti dalla popolazione.

Max tenta di gridare per allertare la gente chiusa in casa per il pranzo  ma i soldati della scorta si mettono  a cantare per coprire le sue urla.

I  prigionieri vengono messi entrambi davanti al muro: dopo i colpi di fucile, però, Max si ritrova vivo mentre Lancia giace a terra immerso in un lago di sangue.

Il comandante del plotone  spiega allora a Marx che lui è sopravvissuto  grazie all’intercessione di un prete, che aveva organizzato  uno  scambio di prigionieri.

Dal racconto si evince la diversità di idee e di comportamento nei confronti dei gruppi partigiani: i badogliani hanno l’appoggio della Chiesa dato che professano  idee politiche non in contrasto col clero, i garibaldini  invece sono malvisti.

 

I racconti successivi sono incentrati sulla vita contadina:  ruotano intorno al paesaggio delle Langhe in ambientazione postbellica  e  perdono gran parte della tensione che si leggeva nei racconti precedenti.

 

Ettore va al lavoro

Mostra il difficile  inserimento di un ex-partigiano che, dopo il rientro al  paese natio, si sente estraneo alla nuova  vita:  il salto da una posizione di comando  ad una di umile  operaio, per lui come per tanti altri, non è facile.

L’aver partecipato alla vita partigiana  da giovanissimi  è stato violento e   traumatico: molti  sono diventati  adulti combattendo ed assistendo  a situazioni  tremende e inumane.

E a guerra finita il reinserimento nella quotidianità  per alcuni  può diventare  difficile e lungo: Ettore è tra questi.

I sogni e i progetti  fatti entrando nella Resistenza sono svaniti: della guerra rimangono solo tanti ricordi e molti problemi nuovi.

Il giovane, ormai disadattato,  preferisce incontrarsi con gli amici al bar o al cinema piuttosto che trovare un lavoro.

Il padre, però, non ha pace e riesce a trovargli un posto da dirigente all’interno di una fabbrica  di cioccolato di Alba.

Ma al momento di prendere servizio Ettore, guardando operai ed impiegati che si avviano verso il posto di lavoro, fugge: la fabbrica gli sembra una prigione.

Si unisce a Bianco e Palmo, due ex commilitoni che vivono pericolosamente,  dedicandosi a traffici illeciti ed  estorcendo denaro agli ex fascisti.

Dopo un po’, però, Ettore, innamoratosi di Vanda e aspettando  un figlio da lei, cerca di cambiar vita e di aprire una stazione di servizio. Ma i suoi progetti non si concretizzeranno: morirà schiacciato da un camion.

 

 

Quell’antica ragazza

Narra le avventure di Argentina, una giovane contadina che viene inviata a studiare in un collegio. Al rientro a casa passa dalle braccia di molti mezzadri e viene rispedita indietro.

La fanciulla giustifica il proprio focoso atteggiamento asserendo che anche le altre ragazze, una volta rientrate a  casa, si comportano allo stesso modo.

Si avverte nel racconto una certa spaccatura sociale.

 

 

Acqua verde

E’ la drammatica vicenda di rinuncia alla vita  di un uomo che si suicida gettandosi nelle acque di un fiume, verde  a causa della profondità.

 

Nove lune

E’ la storia di un matrimonio prematuro provocato da una gravidanza irregolare. I ragazzo,  Ugo, è costretto ad affrontare i propri genitori e quelli della fidanzata Rita. Vorrebbe gestire la situazione in modo maturo ma la morale antiquata e ristretta del tempo glielo impedisce.

 

L’odore della morte

Svela un certo sapore di macabro in un incontro anormale tra un ragazzo sano e uno tisico. Il primo riflette sull’ odore di morte che trapela dall’ammalato.

 

La pioggia e la sposa

Ha come protagonista un uomo che parla attraverso i ricordi della sua infanzia

Racconta di un giorno in cui  con la zia e un cugino,  costretto a farsi prete per salvare la famiglia dalla miseria, sotto le sferzate di una pioggia incessante si reca  ad un matrimonio per poter mangiare il pranzo della sposa. Il cugino però si spreta e fa morire di crepacuore la madre.

 

Fu la peggiore alzata di tutti i secoli della mia infanzia. Quando la zia salì alla mia camera sottotetto e mi svegliò, io mi sentivo come se avessi chiuso gli occhi solo un attimo prima, e non c’è risveglio peggiore di questo per un bambino che non abbia davanti a sé una sua festa o un bel viaggio promesso….

La pioggia scrosciava sul nostro tetto…

Abbasso, mio cugino stava abbottonandosi la tonaca sul buffo costume che i preti portano sotto la veste nera..

Non si aveva ombrelli, ce n’era forse uno di ombrelli in tutto il paese…

La pioggia battente mi costringeva a testa in giù e mi prese una vertigine per tutta quell’acqua che mi passava grassa e pur rapida tra le gambe…

Il prete ci seguiva con le mani giunte e pregando forte in latino, ma nemmeno io credevo al buon effetto della sua preghiera, perché la sua voce era piena soltanto di paura, paura unicamente di sua madre…

Pioggia e la sposa: non altro che questo mi risorse nella memoria il giorno ormai lontano in cui sapemmo che mio cugino, il vescovo avendolo destinato a una chiesa in pianura e sua madre non potendovelo seguire, una volta solo e lontano dagli occhi di lei si era spretato e lassù in collina mia zia era morta per lo sdegno.

 

La Malora

Racconto lungo,  pubblicato nella collana dei “ Gettoni” di Elio Vittorini presso l’editore Einaudi.

E’ ambientato nelle Langhe ma il territorio non rappresenta  più il  luogo di scontro con i tedeschi:  è solo una  terra ostile ed avara che sfibra di fatica i miseri contadini e procura in loro la pena di vivere.

La continua lotta per la sopravvivenza, infatti,  è il leit – motiv che caratterizza la vita di Agostino e degli altri.

Importante è anche la tematica della morte che apre e chiude il romanzo: all’inizio muore il capofamiglia, alla fine, consumato dalla tisi, il fratello del protagonista.

La sofferenza, che caratterizza l’esistenza di tutti,  mette ogni giorno alla prova i personaggi, fin dall’infanzia costretti a crescere in un mondo duro che non cambierà mai.

Essi  vedono continuamente  i loro cari sopraffatti dalla malora ( la malasorte) a cui non possono sottrarsi se non bestemmiando –  gli uomini –  o pregando –  le donne.

Protagonista e narratore interno è Agostino, un ragazzo di 17 anni, appartenente ad una povera famiglia di  S. Benedetto al Belbo, i Braida.

I suoi genitori lavorano la terra con l’aiuto del figlio maggiore Stefano mentre  Emilio,  il mezzano, debole di salute, viene mandato a studiare in seminario in cambio dello scioglimento di un  debito contratto con la maestra.

Agostino,  il minore, per un esiguo salario, è trattato come una merce: viene infatti venduto  a peso –  un marengo ogni 10 chili – al mercato di Niella.

Diventa, così,  per tre anni  il servitore – contadino di Tobia Rabino, un fittavolo che lo sfrutta spietatamente adibendolo a lavori massacranti.

Tobia è il padrone di una fattoria dove lavorano come bestie anche  i suoi due figli, la moglie e, per un certo periodo, la servetta Fede che porta un po’ di  luce nel cuore del protagonista.

Ben preso, però, la fanciulla viene prelevata dai fratelli che vogliono darla in sposa ad un marito scelto da loro.

Anche il crudele Tobia è preda  della malora; lavora come mezzadro nella speranza di poter avere un pezzo di terra per  migliorare la propria condizione  e farsi la “roba”.

Ma l’unica possibilità data alla povera gente è entrare in un giro diverso, quello dei mercati, oppure abbracciare per poco tempo la vita del soldato ( e infatti il fratello maggiore di Agostino, chiamato alla leva, può sottrarsi  per un breve periodo dal lavoro quotidiano).

In ogni caso ognuno deve accettare il proprio destino così come lo ha accettato Agostino e come lo accetta Ginotta, la figlia di Tobia, che attraverso le trattative di un sensale si sposa senza sapere se ama il marito.

In ogni frangente le figure femminili appaiono  silenziose: pregano, lavorano e ubbidiscono senza protestare ( cosi farà anche  Fede), alzando gli occhi a Dio per ritrovare un’anima che con l’estenuante lavoro quotidiano si perde.

Tutto è legato alla durezza alla quale si è abituati fin da bambini che elimina qualsiasi cuore tenero, anche l’amore: si cresce, infatti, con l’unico scopo di difendere la roba  di verghiana memoria.

Quando sembra che gli si prospetti la speranza di una vita migliore, Agostino è colto dalla malora: il fratello prete, Emilio sta morendo di tisi e della terra non rimane che un fazzoletto poco fertile che non basta  a sfamare la famiglia.

Sembra che ad Agostino più che agli altri la sorte abbia  riservato una vita senza futuro: la morte del padre, il matrimonio combinato di Fede , la morte del fratello per tisi gli tolgono ogni speranza di un futuro migliore  e lo costringono a vivere una vita piena di sofferenze. Egli, infatti, torna nella casa paterna dove  non ha più nemmeno un pezzo di terra da coltivare.

La rappresentazione spietata della realtà quotidiana,  però, fa  intravedere ogni tanto una certa disposizione lirico – favolistica, tesi attestata dallo stesso  Fenoglio ad un amico: egli confessa infatti che con la storia di Agostino e dei reietti ha  voluto alludere all’allontanamento dell’uomo dal paradiso terrestre e alla nostalgia per quel mitico Eden perduto.

La lingua è piena di dialettalismi, voci del gergo, locuzioni in lingua inglese; a livello lessicale, comunque, appare colta e ricca.

 

I racconti del parentado

Uscirono postumi nel 1967 a causa dei contrasti tra due case editrici, Einaudi e Garzanti.

Questi racconti sono tutti ambientati  nella mia nativa Langa e tirano in ballo i miei parenti materni..

I Fenoglio sono descritti come lavoratori onesti e moralmente sani. Nel corso del tempo vengono a contatto con i Tadini che, grazie alla ricchezza conquistata con metodi spregiudicati, si sono facilmente arricchiti.

C’è la celebrazione di un passato basato su valori etici di stampo antico e di mentalità chiuse e patriarcali.

 

 

Il partigiano Johnny

Nel 1868 il critico Lorenzo Mondo  operò una specie di collage tra due stesure lasciate incompiute dello scrittore, cui dette il titolo di “Il partigiano Johnny”.

Il protagonista del romanzo è un personaggio autobiografico dato che in lui si riflettono le inquietudini intellettuali e i tormenti dell’autore.

Johnny,  è un giovane soldato – studente  che al momento dell’armistizio da Roma vuole tornare nella città natale, Alba, divenuta  nel frattempo un presidio fascista.

Egli  si nasconde  sulle colline della città e riallaccia i rapporti con i vecchi compagni di scuola e i professori che stanno preparando la loro entrata tra i partigiani.

Dapprima, trattenuto  dai genitori, Johnny indugia  ma poi, per una scelta esistenziale e morale, decide di entrare tra le fila del gruppo delle brigate Garibaldi, che operano sulle colline di Alba, al comando del tenente Biondo.

Per lui, borghese e intellettuale, è un trauma vedere i combattenti  invecchiati e imbruttiti dalla guerra così come trovarsi  tra contadini rozzi e gente appartenente a una diversa condizione sociale,  che per educazione, cultura e orientamenti ideologici  non hanno la sua sensibilità.

Anche il capo ama più la burocrazia e l’aspetto esteriore che l’organizzazione del gruppo e professa   idee esplicitamente comuniste che il giovane  non condivide.

Così le iniziali aspettative, epiche ed eroiche, di  Johnny vengono deluse dallo scontro brutale con la realtà.

Dormivano in un grezzo grosso fabbricato fuori paese, una più nera nave ormeggiata sulla nera cresta del nulla. La tenebra non poté che Johnny non scoprisse che era una chiesa: rantolare di uomini e crepitar di paglia riempiva la navata. Fuori, il vento infuriava, come vedesse la possibilità di sbrecciare il muro della chiesa. Tito disse:- Sì, è una chiesa. Sconsacrata però.- Sconsacrata da quando ?- L’hanno sconsacrata il giorno dopo che ci hanno trovati a dormirci. Sai, abbiamo parecchie pendenze col parroco. –

Dopo che un fitto rastrellamento tedesco fa sciogliere il gruppo dei rossi, Johnny comincia un viaggio che lo porta ai margini di Alba, sulle colline, per raggiungere un accampamento partigiano di azzurri guidati dal comandante Nord.

..Nord era buono e comprensivo con loro, e sorridente, sebbene soffrisse orribilmente  per un ‘infezione ad una mano ed avesse necessità del chirurgo, diceva. Indossava  uno stupendo cappotto d’ufficiale inglese, con i bottoni d’oro ed un bavero d’astracan…

Insediatosi con una guarnigione a presidiare il paese di Mango, conosce Pierre, comandante del gruppo che diventa, insieme al vecchio compaesano Ettore, uno dei suoi amici più cari.

Entrarono in Mango nel canuto alto mattino. La vita vi era piuttosto attiva, ma nell’aspetto più zittito e sparente possibile. Al loro ingresso qualche imposta si chiuse senza rumore e qualche passo allontanantesi suonò secco sul gelido selciato. la gente rimasta, intempestiva, cennò loro per tutto saluto, con sobrietà e ritenzione, e questo fu sanguinante , specie per Pierre, che era stato come un nume del luogo, caldamente popolare.  

La vita scorre lenta e così pure la narrazione. Piccoli avvenimenti scuotono lievemente la monotonia: le discese al paese vicino la domenica per conoscere qualche ragazza, la morte del maggiore inglese al quale Johnny avrebbe dovuto fare da interprete.

Finalmente  cominciano le azioni di guerra che si alternano a pause che permettono di accentuare i sentimenti tra i giovani partigiani.

I capi intanto preparano  una grande offensiva per conquistare Alba.

Johnny è contento di vedere la sua città libera – grazie ad una specie di trattato con la Repubblica di Salò  – e di  riabbracciare i suoi genitori.

L’occupazione si mantiene a lungo perché cade la pioggia sulla città; scoppiata la battaglia,  i fascisti, però, rientrano ad Alba.

Johnny, Pierre e Ettore si ricongiungono e ricominciano la vita di sempre. Finalmente arrivano i tanto attesi alleati: gli animi si rincuorano e si spera in una veloce fine del conflitto ma così non è.

I tedeschi cominciano a rastrellare le Langhe e il capo dei partigiani fa sciogliere tutti i gruppi.

A questo punto inizia la grande avventura di  Johnny e dei suoi compagni che, non volendo  abbandonare la lotta, cercano di  raggiungere il fiume Tanaro per trovare la salvezza al di fuori dei territori occupati.

La lotta a livello personale continua: la fame fa ammalare Pierre che si rifugia a Neiva dalla fidanzata, Elda, che è sfollata da Torino.( Elda è l’unica figura femminile della narrazione).

Ettore viene catturato dai fascisti nella fattoria dove alloggiava.

Johnny, rimasto solo, riesce a sopravvivere.

Con la primavera la Resistenza ricomincia.

Johnny e Pierre vengono mandati al fronte dove  il giovane, “ l’ultimo passero che aveva resistito cade” ucciso nello scontro di Valdivilla, ultima vittoria fascista.

“ Mesi dopo la guerra era finita

Il partigiano Johnny contiene una documentazione reale fondata sui ricordi di un uomo che ha amato la Resistenza e ne ha messo in luce le banalità, i controsensi, le verità: la rivalità tra rossi e azzurri, le ambizioni assurde di alcuni comandanti, la presenza di minorenni portati ad agire in modo irresponsabile e dannoso.

Tutto ciò però non nega gli ideali di fondo che erano stati alla base della Resistenza.

Oltre all’aspetto autobiografico nel romanzo emergono altre tematiche tra cui la fuga continua dalla morte, che porta a vedere l’uomo contro tutto e tutti.

Tale è il punto di vista di Pietro Citati in “ L’occhio preciso e rapace del partigiano Johnny

Altri critici di stampo marxista vedono invece nel comportamento individualista di  Johnny  un danno agli interessi della collettività.

In realtà Fenoglio non è mai stato attento alle diverse ideologie politiche perché del  suo personaggio ha messo in luce soprattutto la carica morale.

Il linguaggio, assai personale,  è un impasto di neologismi, espressioni inglesi e francesi, costruzioni di frasi latineggianti, uso di gerundi e participi, fitto gioco di metafore e paragoni.

I neologismi spesso ricalcano costruzioni anglosassoni e talora le stesse parole inglesi sono costruzioni fatte dall’autore che vuole sconfinare dal linguaggio usuale per dare un fondo di verità ai fatti narrati. Alcuni critici hanno cercato di spiegare  l’uso dell’inglese in chiave psicanalitica come un comportamento impulsivo dell’autore: in questo senso giustificano il carattere a volte  “aggressivo” della narrazione, che è percorsa da continue tensioni espressionistiche quasi a  forzare il livello formale della comunicazione.

 

Una questione privata

La raccolta Un giorno di fuoco si chiude col breve romanzo incompiuto Una questione privata, di cui  esistono 2 redazioni precedenti a quella data alle stampe.

Così  Fenoglio aveva scritto   in una lettera indirizzata  all’editore Garzanti:

Il racconto ha un suo leit-motiv musicale nella celebre canzone americana “ Over the Rainbow”

che costituisce …la sigla del disgraziato, complicato amore letterario del protagonista Milton…per Fulvia…( che appare e vive soltanto nella memoria di Milton ,impegnato fino al collo nella guerra partigiana)

Un giovane universitario, col nome di battaglia di Milton  ( che richiama Iohn Milton, poeta del ‘600, acceso sostenitore della causa di Cromwell, durante la guerra civile), dopo l’8 settembre si inserisce nelle formazioni partigiane stanziate sulle colline di Alba.

Milton era un brutto : alto, scarno, curvo di spalle. Aveva la pelle spessa e pallidissima, ma capace di infoscarsi al minimo cambiamento di luce o di umore. A 22 anni , già aveva ai lati della bocca due forti pieghe amare, e la fronte profondamente incisa per l’abitudine di stare quasi di continuo aggrottato…All’attivo aveva solamente gli occhi, tristi e ironici, duri e ansiosi…Aveva gambe lunghe e magre, cavalline, che gli consentivano un passo esteso, rapido e composto.

Un giorno capita vicino alla villa in cui abitava  Fulvia – la ragazza per cui ha sempre nutrito un forte sentimento amoroso – che, a causa  del presidio delle truppe repubblichine, è tornata in città.

Era stato Giorgio Clerici  a presentargliela in palestra, dopo un a partita di pallacanestro…

“Questa è Fulvia. Sedici anni. Sfollata da Torino per fifa dei bombardamenti aerei che in fondo in fondo la divertivano. Ora abita da noi, in collina, nella villa che era del notaio…Fulvia ha un sacco di  dischi americani.. .

…Giorgio era il più bel ragazzo di Alba ed anche il più ricco, ovviamente il più elegante…

Fulvia era entusiasta di Giorgio, come ballerino. “He dances divinely, proclamava, e Giorgio di lei “E’…è indicibile”

Gli sovvengono alla memoria i giorni felici trascorsi lì.

La bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, Milton guardava la villa di Fulvia, solitaria sulla collina che degradava sulla città di Alba. Il suo cuore non gli batteva, anzi sembrava latitante dentro il suo corpo.

Parlando per caso con la custode, viene a sapere che probabilmente la giovane aveva avuto una relazione col suo amico Giorgio, in quel momento anche lui nelle file partigiane.

Attanagliato dal dubbio, Milton va alla ricerca dell’amico per sapere la verità. Giorgio, però, a causa di una nebbia fittissima,  è caduto nelle mani di fascisti. Per recuperare l’amico e salvarlo dalla fucilazione, il giovane cerca di catturare un fascista per fare uno scambio alla pari.

Riesce nell’impresa, impadronendosi di un sergente avversario ma la pioggia continua ha trasformato le Langhe in un mare di fango: il fascista nel tentativo di fuggire viene ucciso dal giovane.  Milton allora torna sui suoi passi per cercare qualcuno e attuare lo scambio dei prigionieri  ma, inseguito dai tedeschi, troverà la morte.

Correva, con gli occhi sgranati, vedendo pochissimo della terra e nulla del cielo. Era perfettamente conscio della sua solitudine, del silenzio, della pace, ma ancora correva, facilmente, irresistibilmente. Poi gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò.

Il finale dimostra una circolarità nella narrazione: Milton ritorna fatalmente al punto di partenza.

Temi principali: amore e Resistenza, su cui si innestano altre tematiche come il viaggio, la ricerca  il ricordo che  offrono l’opportunità di rappresentare altri personaggi, simboli di una umanità dolente.

Anche la pioggia e il fango, hanno la funzione di fotografare in modo ossessivo il mondo sfigurato e disfatto dalla lotta civile..

Soffrono tutti : anche i nemici a volte sono descritti come vittime  di una fatalità che non risparmia nessuno.

Così si esprime Italo Calvino: …è costruito con la geometrica tensione di un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l’Orlando Furioso” sullo sfondo di una vicenda terribile come la Resistenza.