SANT’AGOSTINO

Aurelio Agostino

Nacque a Tagaste in Numidia ( oggi Souk- ahras, in Algeria) il 13 novembre del  354 da Monica, cristiana, e da Patrizio, pagano.

Era il IV secolo, in cui il Cristianesimo, con l’editto di Milano del 313, da religione consentita al pari di quella pagana, diventò con l’editto di Tessalonica del 380, la religione ufficiale dell’Impero.

Ma movimenti eretici e scismatici  continuavano ad infiltrarsi nel tessuto cristiano per cui la Chiesa  doveva combattere per arginare  interpretazioni arbitrarie dei testi sacri. Era infatti ancora diffuso l’arianesimo, pur condannato dal Concilio di Nicea del 325,  il manicheismo, il donatismo, il pelagianesimo, il nestorismo, ecc.

Agostino studiò grammatica e retorica a Madaura e  Cartagine; per molto tempo condusse vita gaudente tanto da sperperare,  per soddisfare i suoi molti vizi,tutto il denaro del padre.

A Cartagine ebbe un figlio, Adeodato da una relazione con una ragazza di cui non rivelò mai il nome.

Dopo la lettura dell’Hortensius di Cicerone, testo inserito nel programma del corso di retorica, ebbe una crisi interiore, aderì al  Manicheismo a cui lo avvicinava la concezione pessimistica dell’uomo. Egli si trovava concorde con la concezione  manichea  secondo la quale il mondo era regolato da due principi: la Luce e le Tenebre.

Ma dopo 9 anni, insoddisfatto abbandonò la setta.

Nel 383 , divenuto affermato maestro di retorica, si trasferì a Roma.

Poi fu nominato professore di retorica a Milano, sede della corte imperiale.

Grazie all’ascolto delle prediche di S. Ambrogio tornò all’ortodossia e ricevette il battesimo insieme al figlio e all’amico Alipio.

In pochi anni  perdette madre e figlio.

Rientrato in Africa, vendette  i suoi beni e fondò un monastero.

Nel 391 si recò ad Ippona, dove, trascinato dalla folla, venne ordinato prete e poinel 395 vescovo.  

Morì a Ippona nel 430 durante l’assedio della sua città da parte dei Vandali.

Scrisse più di 1000 opere, secondo quanto afferma Possidio, suo primo biografo.

Opere filosofiche:  

Contra Academicos, in 3 libri, in forma dialogica, afferma l’esistenza della verità.

De vita beata: la felicità consiste nel raggiungere l’oggetto del desiderio, cioè Dio.

De ordine: in 2 libri.

Soliloquia, in 2 libri,dialoghi con la propria ragione su grandi problemi esistenziali.

De quantitate animae: la grandezza dell’anima consiste nell’aspirare all’assoluto.

De libero arbitrio. in 3 libri, pone il problema di sottrarre l’uomo ad ogni sorta di fatalismo.

Opere teologiche:

De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum: sostiene la necessità del battesimo per purificare l’uomo dal peccato commesso da Adamo.

De spiritu et littera: bastano le opere o la fede per raggiungere la salvezza?

De natura et gratia: la grazia divina  può guarire la natura malata dell’uomo.

De Trinitate: in 15 libri; Dio è uno, le 3 persone sono modi diversi di rivelarsi di Dio all’uomo.

Opere bio-storiografiche:

Confessiones : in 13 libri,scritti probabilmente tra 397 e 401.

Costituiscono quasi un’autobiografia introspettiva dell’autore.

Nei primi 9 libri prevale l’elemento narrativo; infatti narrano la fanciullezza e l’adolescenza vissute senza freni inibitori, il  tempo degli studi e quello giovanile,caratterizzato da  ambizioni ed inquietudini. Si parla poi del soggiorno cartaginese,dell’influsso della lettura dell’Hortensius, dell’insegnamento.

Inoltre si sottolinea l’influsso del manicheo Fausto, lo spostamento a Milano, l’incontro con Ambrogio, il battesimo, la morte di Monica.

La nota costante è il rigore morale con cui vengono giudicati gli errori pregressi.

Nei libri successivi predomina l’interesse esegetico. Parla in modo acuto della memoria, della felicità, delle passioni, della creazione e del tempo e delle possibili interpretazioni  della Genesi.

L’opera è una delle più originali dell’antichità, in cui si fondono perfettamente realismo descrittivo, afflato lirico meditazione filosofica, dissertazione teologica. Nello stesso tempo è anche la storia individuale di un’anima, analizzata con spietata lucidità, tanto che il testo è giustamente ritenuto il più anticlassico dell’antichità.

De civitate Dei: in 22 libri, composto tra il 412 e il 426.

Nella prima parte difende il Cristianesimo, poi esamina il mondo religioso e civile romano, sottolineando il clima di degenerazione morale e di ingiustizia sociale su cui Roma aveva fondato la propria esistenza.

Infine afferma che esistono 2 città: quella terrena e quella celeste che portano all’Impero di Roma e al regno della Chiesa, vista quest’ultima come unione di tutti i fedeli da realizzarsi alla fine dei tempi. Nel giorno del Giudizio Universale si assegneranno premi e pene.

Epistulae : sono pervenute 217, importanti quelle scambiate con S. Girolamo e Paolino di Nola. Affrontano argomenti diversi e rispecchiano la sua incessante attività, l’amabilità del suo carattere  e la sua umanità.

   

Le Confessioni si aprono con una specie di preghiera, animata da amore, fede ed umiltà, un inno di lode  rivolto a Dio. Sono assimilabili al Cantico delle creature di S. Francesco.  

Magnus es, Domine, et laudabilis valde: magna virtus tua et sapientiae tuae non est numerus.

Et laudare te vult homo, aliqua portio creaturae tuae, et homo circumferens mortalitatem suam, circumferens testimonium peccati sui et testimonium, quia superbis resistis.

Et tamen laudare te vult homo, aliqua portio creaturae tuae.

Tu excitas, ut laudare te delectet, quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te.

Da mihi, Domine, scire et intellegere, utrum sit prius invocare te an laudare te et scire te prius sit an invocare te. Sed quis te invocat nesciens te? Aliud enim pro alio potest invocare nasciens. An potius invocaris, ut sciaris? Quomodo autem invocabunt, in quem non crediderunt? Aut quomodo credunt sine praedicante? Et laudabunt dominum qui requirunt eum.Quaerentes enim invenient eum et invenientes laudabunt eum. Quaeram te, Domine, invocans te et invocem te credens in te: praedicatus enim es nobis. Invocat te, Domine, fides mea, quam dedisti mihi, quam inspirasti mihi per humanitatem filii tui, per ministerium praedicatoris tui.

                   

Grande tu sei, o Signore, e infinitamente degno di lode: grande è la tua virtù  e non c’è misura della tua saggezza. E lodare ti vuole l’uomo, una parte della tua creazione, e l’uomo che porta con sé dappertutto la propria mortalità, che reca la testimonianza del proprio peccato,  e la testimonianza ché tu ti opponi ai superbi. E tuttavia lodare ti vuole l’uomo, una parte della tua creazione.

Tu  fa’ in modo che il lodarti  arrechi gioia, poiché ci creasti per giungere a te, e inquieto è il nostro cuore finché non riposi in te. Dammi la possibilità, o Signore, di sapere e di comprendere se venga prima l’invocarti o il lodarti e se  sia prima conoscere  te o invocarti.

Ma chi ti invoca senza conoscerti? Chi ti ignora, infatti, potrebbe invocare un altro al posto tuo. O piuttosto sei invocato per essere conosciuto? Ma in che modo potranno invocare colui nel quale non hanno creduto? O in che modo potranno credere senza l’intervento di uno che predica? E loderanno il Signore coloro che lo cercano. Infatti i richiedenti lo troveranno  e coloro che lo troveranno lo loderanno. Possa io cercarti, o Signore, invocandoti e possa invocarti credendo in te: ci sei stato infatti annunziato. O Signore, ti invoca la mia fede, che tu mi hai dato e che mi ispirasti per mezzo dell’umanità del figlio tuo, e per mezzo del ministero del tuo predicatore.

S. Agostino affronta anche il problema dell’educazione e delle sue finalità.

Inde in scholam datus sum, ut discerem litteras, in quibus quid utilitatis esset ignorabam miser et tamen, si segnis in discendo essem, vapulabam. Laudabatur enim hoc a maioribus, et multi ante nos vitam agentes praestruxerant aerumnosas vias, per quas transire cogebamur moltiplicato labore et dolore filiis Adam. Invenimus, autem, Domine, homines rogantes Te et didicimus ab eis, sentientes Te, ut poteramus, esse magnum aliquem, qui posses etiam non adparens sensibus nostris exaudire nos et subvenire nobis. Nam puer coepi rogare Te, auxilium et refugium meum, et in tuam invocationem rumpebam nodos linguae meae et rogabam Te parvus non parvo affectu, ne in schola vapularem. Et cum me  non exaudiebas, quod non erat ad insipientiam mihi, ridebatur a maioribus hominibus usque ab ipsis parentibus, qui mihi accidere mali nihil volebant, plagae meae, magnum tunc et grave malum meum.

 

Successivamente fui mandato a scuola, per apprendere  le nozioni letterarie, nelle quali, misero, ignoravo ci fosse qualche utilità. E tuttavia se nell’apprendimento avessi incontrato difficoltà, venivo bastonato.  Infatti questo metodo era lodato dagli antenati, e molti  che son vissuti prima di noi, ci avevano preparato queste vie dolorose. attraverso le quali eravamo costretti a passare,  moltiplicando la fatica e la sofferenza  per i figli di Adamo. Poi abbiamo trovato o Signore, uomini che chiedevano di te, e abbiamo appreso da loro, comprendendo per quanto  ci era possibile, che tu sei un essere grande poichè puoi, anche non apparendo ai nostri sensi, esaudirci e aiutarci.  Infatti  da fanciullo cominciai  a pregarti, pur piccolo, ma non di piccolo amore, affinchè non venissi fustigato a scuola. E poichè tu non mi ascoltavi, il che non avveniva per mancanza di saggezza verso di me,  costituivano oggetto di risa da parte degli uomini anziani fino  ai miei genitori  che pure nulla di male volevano che mi accadesse, la mie piaghe, allora grande e grave  sofferenza per me.                                                                                                                                        

       

Morte della madre

Ad haec ei quid responderim, non satis recolo, cum interea vix intra quinque dies aut non multo amplius decubuit febribus. Et cum aegrotaret, quodam die defectum animae passa est et paululum subtracta a praesentibus. Nos concurrimus, sed cito reddita est sensui et aspexit astantes me et fratrem meum et ait nobis quasi quaerenti similis: “Ubi eram?”  deinde nos intuens maerore attonitos : “Ponetis hic – inquit – matrem vestram”. Ego silebam et fletum frenabam. Frater autem meus quiddam locutus est, quo eam non in peregre, sed in patria defungi tamquam felicius optaret. Quo audito illa vultu anxio reverberans eum oculis, quod talia saperet, atque inde me intuens: “Vide – ait – quid dicit” .Et mox ambobus: “Ponite – inquit – hoc corpus ubicumque: nihil vos eius cura conturbet; tantum illud vos rogo, ut ad Domini altare memineritis mei, ubiubi fueritis”. Cumque hanc sententiam verbis quibus poterat explicasset, conticuit et ingravescente morbo exercebatur.

                                                                                         

A queste parole non ricordo bene che cosa le risposi, perché nel frattempo a stento entro 5 giorni o non molto di più, si mise a letto con la febbre. E mentre era ammalata, un giorno,ebbe uno svenimento e rimase per un po’ fuori di sé. Noi corremmo, ma presto tornò in e guardò me e mio fratello che eravamo lì e ci disse, come se volesse chiedere  qualcosa di simile: “ Dove ero? “ E poi, vedendo noi, prostrati dal dolore, disse “ Qui seppellirete  vostra madre” Io tacevo e frenavo il pianto. Mio fratello, invece, disse qualche cosa, per esprimere il desiderio che ella morisse non in terra straniera ma in patria, come se ciò fosse meglio. Udendo queste parole, ella, col volto ansioso, guardandolo con gli occhi, perchè aveva tali idee, e poi guardando me, disse “ Vedi quel che dicee poi ad entrambi “ Seppellite questo corpo in qualsiasi luogo; non vi preoccupate per esso; di questo solo vi prego che, dovunque sarete, vi ricordiate di me, presso l’altare di Dio”. Dopo aver detto ciò con poche parole, tacque  e soffriva l’aggravarsi della malattia.                                  

Due amori, due città

Fecerunt itaque civitates duas amores duo, terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui. Denique illa in se ipsa, haec in Domino gloriatur. Illa enim quaerit ab hominibus gloriam; huic autem Deus conscientiae testis maxima est gloria. Illa in gloria sua exaltat caput suum ; haec dicit Deo suo: Gloria mea et exaltans caput meum. Illi in principibus eius vel in eis quas subiugat nationibus dominandi libido dominatur; in hac serviunt invicem in caritate et praepositi consulendo et subditi obtemperando. Illa in suis potentibus diligit virtutem suam; haec dicit Deo suo: Diligam te, Domine, virtus mea. Ideoque in illa sapientes eius secundum hominem viventes aut corporis aut animi sui bona aut  utriusque sectati sunt, aut qui potuerunt conoscere Deum, non ut Deum honoraverunt aut gratis egerunt, sed evanuerunt in cogitationibus suis, et obscuratum est insipiens cor eorum;dicentes se esse sapientes, id est dominante sibi superbia in sua sapientia sese extollentes, stulti facti sunt et immutaverunt gloriam incorruptibilis Dei in similitudinem imaginis corruptibilis hominis et volucrum et quadrupedum et serpentium: ad huiuscemodi enim simulacra adoranda vel duces populorum vel sectatores fuerunt: et coluerunt atque servierunt creaturae potius quam Creatori, qui est benedictus in saecula. In hac autem nulla est hominis sapientia nisi pietas, qua recte colitur verus Deus, id expectans praemium in societate sanctorum non solum hominum, verum etiam angelorum, ut sit Deus omnia in omnibus.

Due amori diedero origine a due città, a quella terrena l’amore di sé fino al disprezzo di Dio, a quella celeste, l’amore di Dio fino al disprezzo di sé. Infine  quella si gloria in sé, questa nel Signore. Quella infatti richiede la gloria dagli uomini; per questa  invece, la massima gloria èDio, testimone della coscienza. Quella esalta la testa nella sua gloria, questa dice al suo Dio: Tu sei la mia gloria e innalzi la mia testa. In quella domina la passione del dominio nei suoi capi e in coloro che assoggetta, in questa scambievolmente servono nella carità i capi nel deliberare, i sudditi nell’obbedire. Quella  ama la propria virtù nei suoi eroi, questa dice al suo Dio “ Ti amerò Signore, mia forza.”

Pertanto in quella i suoi filosofi, che vivevano secondo l’uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell’anima o di entrambi. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e ringraziarono come Dio,  ma si smarrirono nei propri pensieri e oscurarono il loro cuore sciocco, dicendo di essere sapienti, cioè perché dominava in loro la superbia poichè si esaltavano nella propria sapienza. Perciò divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio incorruttibile l’immagine dell’uomo corruttibile e di uccelli e di quadrupedi e di serpenti; e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani della massa. Così si asservirono nel culto alla creatura anziché al Creatore che è benedetto nei secoli. In questa invece la saggezza dell’uomo è solo la devozione e il culto giusto per il vero Dio; perciò l’attende il premio nella società dei santi, non solo degli uomini ma anche angeli, affinché Dio sia tutto in tutte le cose.