PETRONIO

Tito Petronio Arbitro

Ci sono pervenuti brani di un romanzo satirico di età imprecisata: nei manoscritti l’autore è indicato come Petronius o Petronius arbiter.

Le notizie sull’autore, assai scarse, provengono da Tacito che nei suoi Annales (l.16, capp. 18-19) descrive il tipo di vita insolito e la morte di un certo Titus Petronius che, in qualità di proconsole in Bitinia e poi console, si dimostrò all’altezza dei suoi compiti tanto che l’imperatore Nerone lo accolse tra i suoi pochi intimi.

…trascorreva le giornate dormendo, le notti dedicandosi alle occupazioni e ai piaceri della vita…non era ritenuto un crapulone né uno scialacquatore…ma un gaudente raffinato… fu accolto tra i pochi intimi di Nerone, come arbitro del buon gusto… (Annales XVI, 18)  

La vicinanza dello scrittore a Nerone suscitò la gelosia del potente Ofonio   Tigellino, il prefetto del pretorio successo ad Afranio Burro dal 62.  

Nel 65, coinvolto nella congiura di Calpurnio Pisone contro Nerone – che fu stroncata nel sangue – Petronio, che allora si trovava a Cuma, fu costretto al suicidio.

 Secondo Tacito, morì banchettando insieme agli amici, con i quali discusse di filosofia, poesia e altri argomenti non impegnativi.

…fattesi tagliare le vene, le fece poi legare ed aprire di nuovo… conversando con gli amici senza alcuna gravità…ad alcuni schiavi elargì ricompense, ne fece frustare altri. Si mise a tavola, poi si abbandonò al sonno… (Annales, XVI, 19)

Petronio nei suoi codicilli non adulò i potenti ma sotto il nome di giovani pervertiti e donne immorali perscripsit le nefandezze di Nerone; poi sigillò il testamento e lo inviò al sovrano.

Petronio definisce il proprio scritto come novae simplicitatis opus; Tacito cita che le sue azioni “in speciem simplicitatis accipiebantur” ma non parla dell’attività letteraria di Petronio forse perché non vuole citare un romanzo ritenuto all’epoca troppo volgare e immorale.

Nell’opera è presenteuna lingua variegata ma geniale: si passa dal sermo litterarius a quello plebeius a seconda delle situazioni e del grado di cultura del personaggio è viva e mobile nei personaggi più dotti, è plebea negli illetterati: troviamo, pertanto, locuzioni solenni o arcaiche, volgarismi, grecismi, proverbi.

La tecnica, realistica, è testimone di un’epoca storica costituita anche da affrancati, gente minuta, poveri artigiani.

Lo scrittore, spesso, teso alla ricerca dell’effetto, mescola spesso toni comici, tragici e aulici.

 La sintassi è paratattica nel parlare degli indotti, ipotattica ed elaborata, per gli intellettuali, tanto che a volte risulta poco scorrevole (anche se Macrobio definisce il romanzo un esempio di narrazione piacevole).

Satyricon (libri)

Il titolo è un genitivo plurale neutro alla greca dell’aggettivo satyricus (derivato da satira) e sottintende libri.

E’un lungo romanzo, in 16 libri scritto nella forma di satura menippea: è cioè unmisto di prosa e versi.

 Ci sono pervenuti i frammenti del 15 e 16 libro.

L’autore fonde generi diversi come la poesia, il trattato, la novella, offrendoci un quadro vivissimo della società romana in età imperiale.

Le fonti di cui disponiamo sono tre:

1- estratti lunghi con testo assai lacunoso: excerpta maiora.

2 – estratti corti – excerpta minoria o vulgaria – con testo condensato: manca la Cena e la parte finale.

3 – codice Traguriense (scoperto a Traù, in Dalmazia nel 1650) che contiene i vulgaria e la Cena.

Dato che nel romanzo non ci sono riferimenti geografici o storici, le ragioni per collocarlo in età neroniana sono:

  • echi della polemica tra apollorodei e teorodei (I sec d.C.);
  •  citazione di nomi di cantanti, attori, gladiatori celebri al tempo di Caligola e di Nerone;
  • polemica contro l’epica contrapponendo al Bellum civile di Lucano un proprio Bellum civile d’impronta più tradizionale;
  • Troiae halosis, una parodia del Troika di Nerone (perduto)
  •  qualche analogia con al’Apokolokyntosis di Seneca.

Petronio, pur conoscendo i romanzi greci, crea un’opera diversa.

Nei romanzi greci la vicenda è ideale e romantica: gli amanti, divisi da mille peripezie, alla fine si riuniscono per caso.

Nel Satyricon, invece, si narrano le vicende tragicomiche di giovani corrotti, ritratti con crudo realismo e collocati in ambienti sordidi.

 L’intento dell’autore è tuttavia parodico rispetto alle forme letterarie tradizionali, e i valori del mos maiorum appaiono completamente rovesciati.

 Rispetto al classico romanzo d’amore greco, ad es., la coppia di innamorati è omosessuale, spregiudicata ed amorale; il viaggio di Encolpio è lo stravolgimento di quello omerico di Ulisse perseguitato dall’ira di Poseidone; la Troiae halòsis è probabilmente una parodia del Troikà di Nerone, andato perduto, ecc. 

Il ritmo del racconto si caratterizza per il suo fluire eterogeneo, che in alcuni momenti accelera, in altri rallenta per lasciare spazio a digressioni di varia natura.

Manca un’esplicita critica sociale, tanto che alcuni studiosi hanno visto nell’opera un semplice divertissement; altri hanno invece sottolineato l’evidente disprezzo dell’autore verso la volgarità del mondo rappresentato.

L’influsso della novellistica milesia è scarso ma ad essa si possono ricondurre alcune fabulae inserite nella narrazione:

  • novella narrata da Eumolpo nella pinacoteca
  • il soldato trasformato in lupo mannaro
  • le streghe
  •  la matrona di Efeso

La novella della matrona di Efeso si presenta come digressione all’interno dell’opera. Petronio sa dare al racconto una vivacità e un realismo che non hanno nulla da invidiare alle forme più mature che il genere avrà in seguito.

Finalità: ribadisce come la novella fin dalle sue origini si caratterizzi come un genere letterario più vicino ai gusti popolari, in quanto meno aristocratica e dotta.

La novella riprende il luogo comune, diffuso tra la gente, della vedova” inconsolabile” che presto si dimentica del marito defunto. (tema che rientra nel filone della misoginia così diffuso e popolare: infatti vengono usate nei confronti della donna espressioni apparentemente di lode).

Il tema della misoginia è una costante che dal mondo antico giunge al Medio Evo e al Rinascimento senza sostanziali variazioni.

Ma mentre la storia di Petronio ruota tutta intorno alla figura della donna, al suo cinismo, alla sua ipocrisia, nel Novellino medievale, invece, al centro c’è il cavaliere, l’intraprendenza e prontezza di spirito che gli consentono di sfuggire alla punizione. E accanto al tema della misoginia si affianca quello nuovo dell’esaltazione dell’intelligenza, tipica espressione della cultura borghese nell’Occidente Medievale a partire dal 13 secolo.

 Novellino: La vedova e il soldato, novella 59, 2 metà del 13° secolo: è formato da 100 novelle di vario argomento e i personaggi appartengono al mondo antico fino a quello contemporaneo.

Da ricordare anche Decameron e Belfagor di Machiavelli.

La novella di Petronio offre informazioni di carattere storico e di costume: infatti all’inizio si spiega che era uso comune che le vedove seguissero il funerale del marito coi capelli sparsi, percuotendosi il petto nudo davanti a tutti.

Nell’uso greco i morti erano posti in una tomba sotterranea; i romani preferivano porre i sarcofagi in spazi aperti oppure cremavano i corpi.

La crocifissione era un modo di eseguire le sentenze di morte nelle province dell’impero romano nei confronti dei criminali comuni -significato del supplizio della croce nella tradizione del mondo cristiano Petronio sembra guardare ai modelli latini che sente più vicini al suo gusto satirico.

Nel Satyricon Petronio tiene presente  Varrone di Rieti per la forma letteraria della satira menippea, mentre la figura di Trimalchione ha un antecedente nel grossolano anfitrione Nasidieno della satira II, 8 di Orazio.

Anche la fabula togata, l’atellana e il mimo offrono spunti a Petronio perché trattano la primitiva vita di contadini e agricoltori con un linguaggio colorito e plebeo.

Petronio caratterizza i personaggi facendoli parlare più che descriverli (prospettivismo); tale tecnica è presa dal teatro; in ciò si dimostra originale e geniale in quanto i suoi personaggi sono coerenti creazioni fantastiche ed individualità complete.

Durante tutta la narrazione si sorride perché non c’è giudizio morale o biasimo.

Il Satyricon è costituito da un lungo racconto con tre personaggi principali:

 Encolpio, giovane scanzonato, che narra in prima persona le peripezie – spesso a sfondo boccaccesco – di un viaggio in vari luoghi del Mediterraneo per sfuggire all’ira di Priapo a causa di una colpa non meglio chiarita nei confronti del dio (il quale si vendica nella sfera sessuale).

Ascilto, suo compagno, che ad un certo punto scompare.  

Gitone, un bellissimo giovinetto, che è causa di gelosia tra i primi due.

Oltre ai tre compaiono altri personaggi, tra cui Eumolpo, un vecchio letterato assai erudito ma dal temperamento avventuroso e spregiudicato.

All’inizio del I frammento Encolpio è alle prese col retore Agamennone che lamenta la decadenza dell’eloquenza per colpa delle declamazioni e della difettosa educazione dei giovani.

1.

Sono forse i declamatori tormentati da un nuovo genere di preoccupazione quando proclamano “Queste ferite me le sono procurate per la libertà di tutti voi, quest’occhio l’ho sacrificato per voi; datemi una guida, che mi accompagni dai miei figli, perché questi miei garretti stroncati non mi reggono più?2 Queste stesse espressioni sarebbero sopportabili, se potessero aprire la via a quelli che meditano di fare gli oratori. Ma ora, sia   per il turgore della sostanza, sia per il vacuo strepito della forma, giungono solo a questo risultato che, quando questi allievi debuttano nel foro, pensano di essere giunti in chissà quale altro mondo. E mi sembra, che questi nostri giovinetti nelle scuole siano molto sciocchi perché essi non ascoltano né imparano a conoscere quanto serve nella vita, ma pirati che stanno sul lido con le loro catene,3 tiranni, che emanano editti, con i quali impongono ai figli di decapitare i loro padri,4 o addirittura responsi dati in occasione di un pestilenza, che ordinano di immolare 3 o più vergini,5  espressioni inzuccherate e detti e argomenti  sparsi quasi di papavero e di sesamo.

2. allude all’uso secondo cui il vincitore imponeva una barbara mutilazione ai soldati vinti perché non fuggissero.

3. la figura del pirata è tipica della retorica classica.si trova anche nelle declamationes, nella commedia, nel romanzo.

4. anche la figura del tiranno si trova nella retorica

5. Esagerazione caricaturale. Infatti nella retorica antica si trova che in tali contingenze la persona sacrificata è il figlio di chi consulta l’oracolo o il tiranno della città o un giovane che non avesse padre, o una vergine.

2.

Chi viene nutrito in simili ricercatezze, non è da credere che acquisti buon gusto più di quanto possa emanare buono odore da chi soggiorna in cucina. Con vostra buona pace, signori retori, mi sia concesso di dire che siete voi per primi che avete mandato in malora l’eloquenza, voi che con toni leggeri e vani, volti a suscitare sciocchi giochi di parole, avete reso priva di nervi e portata a rovina l’oratoria. Non ancora i giovani erano impegnati in vuote declamazioni, quando Sofocle ed Euripide sapevano trovare le espressioni che rispondevano ai loro sentimenti, non ancora un maestrucolo, vissuto all’ombra di una scuola, aveva mortificato i naturali ingegni, quando Pindaro e i 9 lirici cercarono di riprendere il canto sul metro di Omero e, per non limitarmi a trovare testimoni fra i poeti, ti posso dire che né Platone, né Demostene, si abbassarono mai a un tale genere di esercitazioni. Un’orazione che voglia essere elevata e, per dire, piena di contegno, non è falsata da vernici o da rigonfiamenti, ma trova spicco nella sua naturale bellezza. Del resto, non è da molto tempo che questa gonfia e smodata loquela passò dall’Asia in Atene e riuscì ad influenzare, quasi come un astro malvagio, l’animo dei giovani, che pur mirano in alto, e così una volta mortificati i principi, l’eloquenza giacque e diventò muta.

4.

E che dunque? Sono da biasimare i genitori che non vogliono capire che i figli riusciranno a trarre profitto solo sotto una severa disciplina, dapprima infatti, come in tutte le cose, anche nell’educazione sacrificano all’ambizione le più grandi speranze. Poi poiché bramano affrettare le loro aspirazioni, li spingono nel foro anche se non sono ancora pronti e rivestono i fanciulli, appena nati, di eloquenza di cui confessano non ci sia niente di più pesante. Invece, se lasciassero svolgere gli studi con gradualità, in modo tale che i giovani possano saggiare le proprie potenzialità circa la sapienza,  e correggessero le loro parole con tratti di penna, e stessero ad ascoltare  pazientemente ciò che pensano di imitare, sino al punto da convincersi  che per raggiungere la meta prefissa non può essere magnifico ciò che attira i giovani; se si facesse tutto ciò la tradizionale elevata orazione  riprenderebbe tutta la propria valenza.                                                                                                                                   

Improvvisamente Encolpio si accorge dell’assenza di Ascilto, il che gli fa sospettare qualche inganno. Cercando di trovare la locanda dove alloggia con Ascilto e Gitone, il giovane da lui amato, Encolpio si ritrova in un bordello dove si incontra con Ascilto che gli narra di essere stato violentato da un uomo.

A questo punto Encolpio e Ascilto decidono di separarsi dopo però aver accettato un invito a cena. Verso sera i due si recano al mercato e tentano di sottrarre a un contadino un mantello che conteneva degli scudi cuciti all’interno.

I tre protagonisti si riuniscono. In casa giunge Psiche, ancella della sacerdotessa Quartilla che li accusa di aver profanato il suo dono a Priapo, dio della fecondità e della sessualità.

Quartilla li costringe a partecipare ad un’orgia durante la quale sono torturati tramite estenuanti sevizie erotiche.

I tre scappano.

Uno schiavo di Agamennone li invita a casa di Trimalchione, un ex schiavo che ha accumulato ingenti ricchezze. Questi gioca a palla nella palestra annessa al bagno e sfoggia i propri averi e la propria pseudo-cultura: emerge lo spaccato di una società volgare e corrotta, dominata dal malcostume e dai parvenues ( che può ben essere quella dei tempi di Nerone).

Alle dipendenze di Trimalchione c’è un’ intera squadra di schiavi che si prendono cura degli invitati, accompagnandoli con numerosi canti.

 Nell’atrio della casa ci sono scene dipinte sulle pareti che illustrano la vita del padrone e i fatti dei poemi omerici.

Trimalchione, la moglie Fortunata, il marmista Abinna e altri liberti rivelano sia negli atteggiamenti che nelle parole la vuotezza e l’ignoranza che li caratterizzano.

I protagonisti si sdraiano sul triclinio: come antipasto vi sono olive bianche e nere, ghiri cosparsi di miele e papavero.

A suon di musica viene portato Trimalchione con un mantello scarlatto.

Vi sono portate a sorpresa: false uova di pavone che contengono un beccafico circondato da un tuorlo al pepe, vino Falerno centenario, scheletrino di argento a incitamento del piacere, vassoio con i 12 segni zodiacali, ricoperti da un cibo appropriato e apparentemente vile.

Quattro schiavi a suon di musica sollevano la parte superiore del vassoio e scoprono pollastrelli, ventresche, una lepre, il tutto cosparso con salsa di pesce.

Un commensale parla di Fortunata, la moglie di Trimalchione, accorta amministratrice delle sue ricchezze, anche se con un passato non irreprensibile.

37.

Non avevo ormai voglia di gustare un boccone di più ma giratomi  a quel tal vicino, per saperne quanto più potevo, cercavo di spiegare le vicende, pigliandole da lontano sino a chiedergli chi era quella donna che non cessava di correre qua e là.   “E’ la moglie di Trimalchione – risponde- si chiama Fortunata e ne ha ben donde, perché i soldi li misura a staia. ma l’altro ieri, dico, l’altro ieri, che mai accadde? mi perdoni la tua intelligenza, ma tu non ti saresti sentito di prendere dalla sua mano un pezzo di pane; ma, non si sa come né perché, è salita ai 7 cieli ed è il factotum del nostro Trimalchione. In breve, se a mezzogiorno gli dicesse che è notte fonda, le crederebbe. Lui del resto non sa cosa possiede, tanto è ricco, ma questa assai furba mette le mani dappertutto, anche dove tu non penseresti. E’ sbrigativa, sobria, di buoni propositi, quanto in lei vedi è tanto oro quanto pesa. E’ però una perfida lingua, una gazza che fa la guardia al cuscino del padrone. Chi ama, ama, chi non ama, non ama. In verità questo Trimalchione ha tanti fondi per quanto terreno i falchi ne trasvolano: soldi su soldi. Solo di argenteria, nel bugigattolo del suo portiere, ve ne è ammassata più di quanta chiunque possa accumularne nei suoi tesori. Circa la servitù, penso, e non racconto bugie, che non vi sia neppure la decima parte di loro che riesca a conoscere il padrone. In breve, chiunque tu prendi di questi straricchi, egli se lo potrebbe stringere in una foglia di cavolo. Né puoi credere che egli abbia bisogno di comprare qualcosa: tutto è prodotto in casa, la lana, i cedri, il pepe; se ti piacesse il latte di gallina, lo troveresti.

Trimalchione parla del significato astrologico del piatto zodiacale. Viene portato un cinghiale col berretto (pilleus), circondato da cinghialetti di pasta croccante, distribuiti come cotillons ai commensali. I convitati liberti conversano sulla pochezza umana, sulla siccità, ecc.

Vengono introdotti 3 maiali vivi, uno viene cotto e si scherza.

Trimalchione danza con Fortunata e recita versi. C’è una lotteria.

 Homeristae, attori in costume, recitano versi di Omero.

40.

   “Portentoso” – gridiamo all’unisono e levate in alto le mani verso il soffitto, giuriamo che neppure uomini come Ipparco e Arato erano da paragonarsi al nostro. Finché non giunsero servi che distribuirono gualdrappe per i cuscini, sulle quali erano dipinte reti e cacciatori alla posta con spiedi e armamentario da caccia. E ancora non riuscivamo a capire dove dovevamo rivolgere la nostra aspettativa, quando fuori dal triclinio, si levò un grande rumore ed ecco che dei mastini spartani cominciarono a correre sin dentro la mensa. Ma dietro ai cani, giunse un vassoio sul quale era steso un grossissimo cinghiale con un berretto in testa: dai suoi denti pendevano due piccole sporte fatte di foglie di palma, una piena di datteri freschi della caria, l’altra di datteri secchi egiziani. Intorno si stringevano porcelli piccolissimi, fatti di pasta croccante, come se si sforzassero di succhiare dalle mammelle, per far capire che si trattava di una scrofa. Anche quei porcelli furono offerti in dono.

45.

Norbano in fondo per noi cosa ha fatto di buono? Ha offerto dei gladiatori da 4 soldi già vecchi decrepiti, che a soffiare cascavano. Ho visto in passato bestiari in condizioni migliori. Ha fatto accoppare dei cavalieri da lucerna, che sembravano galli: uno da scaricarlo sul mulo, un altro con le gambe storte, un terzo, di rimpiazzo al morto, morto anche lui, che aveva i muscoli paralizzati. Il solo con un po’ di fiato era un trace, ma anche quello si batteva come a scuola. Per farla breve, finirono tutti sferzati, tanti erano i “dalli!” ricevuti dalla gran massa del pubblico. Proprio dei maestri a scappare.

Bestiari- gladiatori di basso rango costretti a battersi quasi disarmati contro bestie feroci.

Per ridicolizzare paragona i gladiatori alle figurine di cavalieri che spesso decoravano le lucerne.

52.

Ho dei vasi da attingere, circa un centinaio…vi è rappresentata Cassandra che uccide i suoi figli; i fanciulli giacciono lì morti in modo da sembrare ancora vivi. Ho poi una tazza con le anse, lasciatami da un mio padrone, dove c’è Dedalo che introduce Niobe nel cavallo di Troia. Ho poi tazze che rappresentano i combattimenti di Ermerote e di Petraite, tutte assai pesanti; io con la competenza che ho in queste cose, non le baratterei per tutto il denaro del mondo”

Il liberto Nicerote racconta che durante un viaggio, l’uomo che lo accompagnava, si trasformò improvvisamente in lupo e scomparve nel bosco, più tardi lo ritrovò con una ferita ricevuta quando sotto le vesti di lupo, aveva assalito un pollaio.

Trimalchione rievoca un tetro episodio di gioventù quando le streghe vennero a sottrarre i visceri di un giovane morto da poco, lasciando il cadavere impagliato.

63.

Quando ancora ero pieno di capelli, infatti da giovane anch’io ho dovuto percorrere la via degli stravizi, morì il mio tenero padrone, in verità una perla d’uomo, un gingillo che non gli mancava un numero. e mentre la madre poveretta piangeva, noi eravamo lì in gran numero a piangere, improvvisamente le streghe cominciarono a stridere; avresti potuto pensare che un cane inseguisse una lepre. Avevamo allora un uomo della Cappadocia, lungo, molto audace, e che si faceva valere; avrebbe potuto sollevate un toro infuriato. Egli audacemente afferrata la spada, si lanciò fuori della porta, e, avvoltosi la mano sinistra con gran cura, proprio qui, sia salvo dove mi tocco, riuscì a trafiggere una di quelle femmine. Ascoltiamo un gemito, e certamente non mento, non la scorgemmo più. Il nostro omaccione, rientrato, cadde sul letto e aveva tutto il corpo pieno di lividi come se fosse stato frustato poiché certamente la mano maledetta lo aveva toccato. Noi, chiusa la porta, torniamo di nuovo al triste ufficio ma mentre la madre abbracciava il corpo del figlio, tocca e vede un manichino fatto di paglia. Non aveva cuore, né intestini, né alcunché: certamente le streghe avevano sottratto in volo il fanciullo e avevano messo al suo posto un fantoccio di paglia. Vi prego, è necessario che mi crediate, vi sono donne che la sanno più lunga di noi, che girano di notte e la testa, che è sopra, la pongono sotto. Del resto quel nostro omaccione assai lungo, dopo questo fatto, non riprese più colore, anzi dopo pochi giorni morì divenuto pazzo

1. Parla Trimalcione.

67.

Dunque arrivò Fortunata con la sopravveste trattenuta da una cintura color verdino, tanto da far rilevare tutta in giù la tunica ciliegina e con anelli attorcigliati alle caviglie, e scarpe alte di pelle bianca con bordi dorati. Con un fazzoletto che portava al collo, si asciugava le mani e finalmente si getta sui cuscini dove era sdraiata Scintilla, la moglie di Abimnna, e si dà a baciarla tutta festosa. “Ma eccoti, dice.” Fortunata fa scorrere giù i bracciali dalle braccia flaccide e li mostra a Scintilla che li guarda, poi passa a sciogliersi gli anelli dalle caviglie, e una reticella che affermava essere di oro zecchino. Trimalchione notò ciò e ordinò che gli portassero tutto, dicendo: “Vedete i veri lacci delle donne, e noi sciocchi, ci facciamo spogliare. Queste qui devono pesare sei libbre e mezzo; io a dire il vero, ho un bracciale piccolo di 10 libbre di peso, e dire che l’ho fatto coi millesimi destinati a Mercurio”. E per evitare che qualcuno pensasse che mentiva, fece portare una stadera perché tutti verificassero il peso. Né Scintilla seppe trattenersi: si tolse dal collo un medaglione d’oro che era solita definire il suo Felicione; poi protese 2 orecchini a pendagli e li passò a Fortunata affinché li ammirasse e aggiunse: “Di regali del mio signore, posso affermare che nessuno ne ha di migliori”

Accompagnato dalla moglie Scintilla, entra Abinna, un ricco liberto che lavora nel campo dell’edilizia funebre.

Dopo alcuni momenti di euforia Trimalchione elenca alcune disposizioni testamentarie.

Dopo una lite con Fortunata, Trimalchione rievoca le sue imprese passate.

75.

 A forza di buona condotta sono arrivato ad avere questa fortuna. Quando venni dall’Asia ero alto quanto questo candelabro. Ogni giorno mi misuravo con esso, e per far crescere più in fretta la barba, mi ungevo le labbra con l’olio della lucerna. Tuttavia per 14 anni fui il beniamino del mio padrone. Non mi vergogno di ciò che il padrone ordina. Io d’altro canto cercavo di soddisfare la padrona…Basta come gli dei vollero in quella casa cominciai a comandare io e il padrone non ebbe altra volontà che la mia. In breve mi fece coerede con l’imperatore e venni in possesso di un patrimonio da senatore. In una parola feci costruire 5 navi, le riempii di vino -allora era come oro- e le spedii a Roma. Naufragarono tutte e 5 come se lo avessi ordinato. Per la verità altro che barzellette. In un solo giorno Nettuno mi divorò 30 milioni di sesterzi. Credete che mi sia disperato? Per ercole, non mi feci né di qua né di là. Tale e quale come se non fosse successo niente. Ne feci delle altre, più grandi, più forti, più belle perché nessuno doveva pensare che non fossi un uomo coraggioso. Voi sapete meglio di me che una nave più è grande più è forte. Le caricai ancora di vino, di lardo, di fave, di profumi, di schiavi. In quest’occasione Fortunata fece un bel gesto. Vendette tutto l’oro che aveva, tutto il guardaroba e mi mise in mano 100 monete d’oro. Per il mio patrimonio fu come il lievito. E quando gli dei aiutano, si fa presto. Con un solo viaggio guadagnai 10 milioni di sesterzi. Riscatto subito tutti i poderi che erano stati del mio padrone; mi faccio costruire una casa, compro interi mercati di schiavi e dei giumenti. tutto quel che toccavo cresceva come un favo di miele. Quando cominciai a esser più ricco di tutto il paese intero, lasciai il gioco: mi ritirai dal commercio e mi misi a far prestiti ai liberti.   

Poi Trimalchione inscena un finto funerale Dopo il dessert sono tutti ubriachi. Trimalchione legge il suo testamento.

 Finge di essere morto, nella confusione i 3 fuggono.

Usciti ubriachi dalla casa del liberto, i tre, gelosi, sono pronti a duellare ma Gitone sceglie di stare con Ascilto.

 Vanno in un albergo e Encolpio e Ascilto litigano per Gitone che lascia il primo e gli preferisce il secondo.

Encolpio, disperato, entra in una pinacoteca ed incontra un vecchio di nobile aspetto ma poco curato: Eumolpo, che, vedendo il giovane intento a guardare un quadro rappresentante la caduta di Troia, lamenta la decadenza delle arti e dei costumi e recita un carme sulla presa di Troia, Troiae halosis, in 65 trimetri giambici.

Poi Eumolpo narra come riuscì a sedurre un giovane fingendosi persona morigerata.

Encolpio ed Eumolpo raggiungono le terme. Encolpio, ritrovato Gitone, si riconcilia con lui. Dopo varie traversie Ascilto esce di scena.

Encolpio, Gitone, Eumolpio decidono di lasciare la città e di imbarcarsi sulla nave di Lica, antico nemico di Encolpio, che morirà in un naufragio. Con lui c’è la compagna Trifena, caratterizzata da un insaziabile desiderio amoroso.

Eumolpo attacca i costumi delle donne e cita come esempio la salace vicenda della matrona di Efeso.

111.

C’era   una volta ad Efeso – antica città dell’Asia minore, nota come colonia ionica- una donna di tanta rinomata virtù che persino dai paesi vicini le donne accorrevano a vederla come una meraviglia. Ora questa donna, perduto il marito, non si accontentò di seguire il feretro, come è d’uso, a capelli sciolti e a battersi il petto nudo, sotto lo sguardo della gente attonita, ma volle anche seguire il morto fin nel sepolcro. e deposto il corpo in una camera sotterranea, alla maniera greca, volle notte e giorno, ininterrottamente, custodirlo e piangerlo. E così si affliggeva e si intestardiva a morire di fame e non riuscivano padre, madre e familiari a distoglierla, e perfino i magistrati della città, fatto un estremo e inutile tentativo, dovettero ritirarsi. Tutti compiangevano una donna così straordinaria che da 5 giorni si lasciava morire senza toccare cibo. Accanto alla poveretta si era posta una fedelissima servetta, che ora univa le sue lacrime al pianto e ogni volta che la lampada funeraria si affievoliva, si preoccupava di ravvivarla. In tutta la città non si faceva che parlare del fatto e gli uomini di ogni condizione dovevano riconoscere che quello era un esempio fulgido e unico di pudicizia e amore coniugale. Ma in quel periodo il procuratore della provincia dispone che di fronte al sepolcro dove la matrona piangeva la spoglia del marito, si ponessero due ladroni in croce. La notte successiva, un soldato, messo a guardia delle croci, per evitare che qualcuno sottraesse i cadaveri per seppellirli, vide prima del bagliore della luce, che sempre più rifulgeva tra i sepolcri, udì il suono del triste lamento e, come è tipico della natura umana, gli venne il desiderio di conoscere la causa di ciò. Discese nel sepolcro e vista la bella donna, in un primo momento, quasi allibito che fosse un fantasma o una creatura infernale, rimase di sasso. Subito dopo, scorto il cadavere composto e vista la donna in pianto e le guance segnate dai graffi delle unghie, comprese di che si trattava, una donna che non riusciva a trovar pace per la perdita del marito; allora pensò di portare nel sepolcro il frugale suo cibo e prese ad esortare la donna che non si ostinasse in un dolore superfluo e in si spezzasse il cuore in lamenti che ormai erano del tutto inutili. Un’unica sorte attende gli uomini, una sola ultima dimora, ed aggiungeva altre parole simili con cui si cercano di risollevare i cuori esacerbati. Ma quella, colpita dalle parole consolatorie, che per lei non avevano senso, con maggior violenza si lacera il petto, si strappa le trecce, e le sparge sul cadavere. Ma il soldato per questo non batté in ritirata ma ripetendo le stesse parole di conforto provò ancora una volta a far prendere un po’ di cibo alla donna, sino a quando la servetta sopraffatta dal profumo dolce del vino, senza rendersi conto di ciò che faceva, stese per prima la mano, ormai vinta dall’allettante pietoso invito. Poi rifocillata dalla bevanda e dal cibo, cercò di abbattere la resistenza della padrona: “Ma che ti gioverà, le dice, tutto questo se ti lascerai morire di fame, se ti sotterrerai qui viva, se, prima che il destino lo abbia stabilito, vorrai rimetterci la tua anima innocente? Ma vuoi che la cenere fredda o i Mani qui ben composti siano sensibili a questo tuo sacrificio? Vuoi tu tornare a vivere? Vuoi tu liberati di questa tua fisima da donnicciola e quanto più a lungo potrai, vuoi gustare la gioia del sole splendente? Proprio questo cadavere qui composto deve ricordarti che a te conviene vivere”. Nessuno suo malgrado ascolta, quando lo si invita a prendere cibo o a corrispondere ai richiami della vita. Pertanto la donna, fiaccata dall’astinenza di lunghi giorni, si lasciò indurre a infrangere l’ostinato rifiuto e si ingozzò di cibo con non minore ingordigia della serva che per prima si era arresa. Ma voi sapete bene quale altra eccitazione è solito cogliere il corpo umano, una volta saziato lo stomaco. Ed ecco che il soldato, con le stesse moine usate per ottenere che la donna riavesse il desiderio di vivere, attaccò a stuzzicare la virtù. E alla irreprensibile donna, non sembrava che quel giovane fosse di aspetto sgradevole o sgarbato nelle parole, tanto più che la servetta continuava ad ingraziarselo e le ripeteva come un ritornello:” Ma ti riesce davvero a contrastare un amore di cui già ti compiangi nel cuore? E non ti viene in mente in quale strada hai tu messo piede?

Perché indugiare oltre? Neppure quest’ultima parte del corpo la donna seppe tenere ancora in astinenza e all’uno e all’altro passo ormai vincitore, il soldato seppe indurla. Insieme dunque si giacquero non solo quella notte in cui consumarono le nozze, ma nel giorno seguente e nell’altro ancora, dopo aver chiuso bene le porte della camera funeraria, affinché se qualcuno conosciuto o sconosciuto, si avvicinasse alla tomba, pensasse che sul cadavere del marito la castissima donna avesse ormai esalato l’ultimo respiro. Ormai il soldato, preso dalla bellezza della donna, e dall’alone di mistero che la circondava, coi suoi scarsi mezzi, quante leccornie poteva acquistava e al calar della notte, le recava dentro la tomba. Intanto i parenti di uno dei crocifissi, appena si accorsero che la vigilanza si era allentata, lo staccarono durante la notte così come era appeso e provvidero a rendergli i supremi onori. Il soldato, preso dall’amore e dimentico del dovere, fatto giorno si accorse che una delle croci era priva del cadavere; temendo il supplizio, espose alla donna quanto era accaduto e aggiunse che non avrebbe atteso la sentenza del giudice   ma avrebbe lasciato alla spada il compito di far giustizia per l’imperdonabile trascuratezza. Ella doveva preparare il posto a lui che doveva morire. Un solo sepolcro come aveva voluto il fato sia per lo sposo che per l’amante. la donna mostrandosi pietosa oltre che virtuosa dice “Non permettano mai gli Dei che in un solo periodo di tempo debba assistere ai funerali dei 2 uomini che a me furono più cari. Preferisco appendere sulla croce il morto che mandare a morte il vivo”. Detto ciò fece togliere dalla bara il marito e lo infisse sulla croce che era rimasta spoglia. Il soldato acconsenti al fatto della donna tanto astuta ma il giorno successivo il popolo non riuscì a rendersi conto per quale motivo il morto fosse andato a piantarsi in croce.  

Scoppia una tempesta: Eumolpo, Gitone, Encolpio vengono sbattuti sulla spiaggia di Crotone, dove Eumolpo recita un poema sulla guerra tra Cesare e Pompeo in polemica con Lucano. Lungo la strada verso la città sono assaliti dai cacciatori di testamenti ed Eumolpo, per scacciarli, formula un testamento in base al quale erediteranno i suoi beni solo coloro che mangeranno il suo cadavere.

141.

 La nave che, come avevi promesso, sarebbe dovuta arrivare dall’Africa con i servi e col denaro non è giunta. I cacciatori di eredità, ormai rimasti a mani vuote, cominciano ad essere illiberali. Perciò o mi sbaglio o la fortuna, come è suo costume, comincia a pentirsi di averci trattato bene. 1…Tutti coloro che nel mio testamento sono ricordati con un lascito, eccetto i miei liberti, potranno ereditare tutto quanto lascio loro, solo a patto che taglino a fettine tutto il mio corpo e lo mangino alla presenza del popolo. Presso alcuni popoli sappiamo, ed è ancora in vigore una usanza, secondo la quale i defunti devono essere mangiati dai loro parenti, e la disposizione è osservata con tale scrupolo che spesso chi cade ammalato, viene biasimato perché sciupa così la sua carne. Così io raccomando ai miei amici, di non rifiutare ciò che io dico, ma che mangino tutto il mio corpo con il medesimo spirito con cui hanno sempre maledetto la mia anima.

1. La frase è pronunciata da uno dei complici di Eumolpo, che si finge un ricco naufrago, a Crotone. Segue una lacuna. Il discorso seguente è tratto dal falso testamento di Eumolpo.

Encolpio, divenuto impotente per colpa della collera del dio Priapo, è vittima di una ricca amante, Circe, che crede di essere stata da lui disprezzata. Il giovane tenta di recuperare la virilità ricorrendo anche alla magia.

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La fama diffusa della ricchezza (di Eumolpo) ottenebrava gli occhi e l’anima di quei poveretti. Gorgia era pronto a fare qualsiasi cosa. 1 “Quanto al rifiuto del tuo stomaco, io non ho alcunché da temere. Esso obbedirà al tuo volere, se gli prometterai ricompensa maggiore, in cambio dello schifo di un’ora sola, Chiudi appena gli occhi e fingi di mangiare non viscere umane, ma dieci milioni di sesterzi. A ciò si aggiunge che non ti mancherà di trovare qualche intingolo col quale mutare il sapore. Infatti nessun tipo di carne piace per sé stesso, ma è l’arte che riesce a trasformarla e a conciliarla anche se lo stomaco non la gradisce. Se vuoi che questo mio progetto sia anche corroborato da esempi storici, ti posso dire che i cittadini di Sagunto, ridotti allo stremo dalle truppe di Annibale, si diedero a mangiare carne umana, e non aspettavano un’eredità, La stessa cosa, fecero i Petelini2 in una estrema carestia e da questo banchetto non avevano nient’altro da guadagnare che il non morir di fame. Allorché Numanzia fu conquistata da Scipione, si trovarono delle madri che tenevano al seno i corpi dei loro piccoli mezzo rosicchiati.                                                                                                                    

1 Lacuna nel testo.2 oggi Policastro